Magistratura politicizzata? Tema non nuovo in Italia, che sembra avere travalicato i nostri confini. La domanda è lecita se in Spagna, mentre il premier socialista Pedro Sánchez chiude un accordo per un appoggio esterno degli indipendentisti catalani al suo nuovo governo, l’Audiencia nacional (cioè la corte di Madrid con giurisdizione sui crimini particolarmente gravi, come il terrorismo) ha spiccato un mandato di arresto nei confronti del capo di Junts, Carles Puigdemont e di Marta Rovira, ex segretaria generale della Sinistra repubblicana (Erc), l’altra forza del separatismo catalano. L’accusa: avere orchestrato le manifestazioni dell’ottobre 2019 contro l’incarcerazione dei leader secessionisti rimasti in patria. In astratto, i due eventi, cioè la trattativa per il governo e l’iniziativa giudiziaria, sarebbero indipendenti; però, come diceva qualcuno, “a pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca”. Perché una delle condizioni poste dai due esiliati – il leader di Junts in Belgio e la dirigente di Erc in Svizzera –, per dare il via al governo, è appunto l’amnistia per l’accusa di secessione riguardo al referendum illegale del 2017.
Insomma, quella giudiziaria è una piccola complicazione che si inserisce in un accordo però ormai raggiunto. E del resto, se si fosse andati a nuove elezioni, la situazione sarebbe stata pressoché la stessa di quella offerta dai risultati della scorsa estate. Stabili, secondo i sondaggi, tutti i partiti, tranne i popolari di Alberto Núñez Feijóo, che avrebbero avuto un leggero incremento. Quest’ultimo ha annunciato una mobilitazione contro il presunto “attacco alla democrazia”. Che consisterebbe poi nel fatto che, secondo le regole della democrazia parlamentare, un partito arrivato secondo, il Psoe, riesce a formare una maggioranza in virtù di un accordo politico. Qualcosa del genere avrebbe potuto accadere anche in Italia, un anno fa, se il Pd e i 5 Stelle avessero giocato la propria partita invece di regalarla in partenza all’avversario.
In Spagna cresce comunque la tensione. Centomila persone, il 29 ottobre, avevano invaso le strade di Madrid contro i socialisti. Negli ultimi giorni, sono state organizzate manifestazioni alle quali hanno partecipato circa settemila persone che, con le bandiere nazionali, hanno sfilato nel centro della capitale. Non è mancata, ovviamente, la presenza dei neofranchisti di Vox. Il loro leader, Santiago Abascal, ha fatto appello alla polizia perché non esegua “ordini illegali”. Un vero e proprio invito alla sedizione, che ha messo in imbarazzo Feijóo. Proteste si sono tenute anche in altre città, tra cui Barcellona e Valencia. Le conseguenze non sono state gravi, un arresto e qualche ferito; ma le proteste certo non finiranno qui, e si faranno ancora sentire i nazionalisti più estremi.
“Non ci aspettiamo nulla da coloro che, con azioni o omissioni, appoggiano l’assedio delle sedi dei socialisti” – ha tuonato Sánchez; mentre, dal canto suo, il leader popolare ha fatto in qualche misura appello agli alleati dell’estrema destra, invitandoli a moderare le modalità della protesta: “Il malessere sociale è responsabilità di Sánchez, ma le proteste devono partire dal rispetto che è sempre mancato al Psoe e ai suoi alleati. Non siamo come loro”.
Nelle settimane scorse, a sostenere la trattativa per la formazione del governo, più di duecento giuristi avevano firmato un appello a favore dell’amnistia. Il blocco conservatore, invece, nel Consiglio generale del Poder judicial (il Consiglio superiore della magistratura), era riuscito a far passare una dichiarazione in senso contrario, con nove voti contro cinque.
Ora ci sarà la consultazione dei 172mila militanti socialisti, chiamati a esprimere il loro parere sull’intesa entro sabato 11 novembre. “Appoggi l’accordo per formare un governo con Sumar (la sinistra radicale, ndr) e con le altre forze politiche?”: è il quesito al quale dovranno rispondere anche attraverso una piattaforma online. Non dovrebbero esserci sorprese, perché, dentro il partito, l’area che vorrebbe un’intesa con il Partito popolare è minoritaria.
“Vale la pena di ricordare – dice Steven Forti, professore di Storia contemporanea presso l’Universitat autónoma de Barcelona – che nella scorsa legislatura Sánchez ha guidato un governo di minoranza formato dal Psoe e Unidas Podemos, appoggiato esternamente da diverse formazioni regionaliste e nazionaliste, inclusi gli indipendentisti baschi e una parte dei catalani”. Malgrado ciò, “l’esecutivo è riuscito – dice ancora Forti – ad applicare una coraggiosa agenda progressista, che non solo è considerata un modello per le sinistre europee, ma che ha permesso alla Spagna di ottenere risultati macroeconomici molto positivi, lodati anche dalle istituzioni comunitarie”. Uno scenario che però difficilmente potrà ripetersi. Sánchez dovrà infatti tenere conto che “la destra – aggiunge l’accademico –, che controlla il Senato e la maggior parte delle regioni, farà di tutto per far cadere l’esecutivo. Non si può escludere, insomma, che la legislatura possa essere breve”.