Se sui temi di politica interna – lotta alla precarietà, salario minimo, più risorse a una sanità pubblica al collasso – un’unità d’azione dell’opposizione si intravede, sia pure al netto delle intemperanze di Giuseppe Conte, la politica estera continua, invece, a essere un elemento divisivo, come rilevato già dalla questione sull’invio delle armi all’Ucraina. Lo ha dimostrato plasticamente l’assenza della segretaria del Pd, Elly Schlein, a una delle diverse fiaccolate di venerdì scorso in varie città italiane (Roma, Milano, Firenze). Gli eventi – organizzati da Amnesty International, Arci, Acli, CgileAoi (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) – avevano come parola d’ordine il diritto dei civili a Gaza – ne sono già stati uccisi circa ottomila – a non essere sacrificati nel nome della vendetta che il governo israeliano ha messo in atto dopo la strage perpetrata da Hamas, il 7 ottobre scorso, contro gli israeliani.
Nell’appello comune, si chiedeva alla comunità internazionale “di affrontare con urgenza la crisi umanitaria a Gaza e le violazioni dei diritti umani”. E poi, al governo israeliano, di “porre fine all’assedio totale della Striscia di Gaza e garantire l’accesso ai beni essenziali e agli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile nella Striscia”. Oltre alla richiesta a Hamas di liberare gli ostaggi israeliani. Come si suole dire, il minimo sindacale in una manifestazione in cui neanche con il lanternino si poteva riscontrare un minimo di ambiguità, a meno di non considerare tale l’accenno alla violazione dei diritti umani da parte dello Stato ebraico.
Ma tant’è. In questo contesto Schlein è stata incapace di aderire a un appuntamento solidale, preda come sempre di un clima di “caccia alle streghe” creato a immagine e somiglianza di quello nato all’indomani dell’aggressione della Russia all’Ucraina, con il conseguente scoppio della guerra. A rappresentare il partito, a Roma, c’erano Marco Furfaro della segreteria, la senatrice Susanna Camusso e il capodelegazione in Europa Brando Benifei. Schlein, impegnata a Mestre in una iniziativa sul piano casa del Pd, aveva comunque manifestato la sua condivisione con le parole d’ordine dell’iniziativa pacifista; ma la sua assenza, l’unica tra i leader dell’opposizione (Renzi e Calenda non li annoveriamo in questa lista), non è certo passata inosservata, e ha in una certa misura sorpreso la piazza.
Questo barcamenarsi aveva fatto seguito alla precedente riunione dei partiti socialisti a Bruxelles, presente la leader democratica, dove non si è andati oltre la richiesta di garantire gli aiuti umanitari e la sicurezza della popolazione, peraltro già apertamente violata dall’esercito israeliano. Sostanzialmente, quel poco più di nulla che accontenta l’anima “riformista”, vero e proprio incubo per chi vuole fare diventare il Pd qualcosa di sinistra. Si tratta di quegli ex renziani che potevano essere disturbati dalla richiesta dei pacifisti a Israele di fermarsi, mettendo in discussione il diritto di Tel Aviv a difendersi anche ponendo in atto crimini di guerra, come ha denunciato l’Onu.
Schlein si è riposizionata a sinistra, se così possiamo dire, sabato scorso, dopo il voto all’Assemblea generale dell’Onu, dove il documento presentato dalla Giordania, che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza senza citare l’aggressione di Hamas – passaggio in verità non necessario per formulare quella richiesta – era stato approvato da centoventi Paesi, mentre quattordici avevano votato contro, tra questi ovviamente Usa e Israele, e quarantacinque si erano astenuti, tra cui l’Italia. Forte del voto favorevole di Francia, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna, la segretaria ha criticato la decisione “pilatesca” di Palazzo Chigi. Ma c’è da chiedersi che cosa avrebbe fatto qualora fosse stata lei alla testa di un esecutivo di sinistra. Sarebbe stata anche lei appunto “pilatesca”? Ovviamente, non lo sapremo mai, ma è legittimo chiederselo – e avere qualche dubbio al riguardo.