
Il governo Meloni continua a scivolare pericolosamente sulle scelte economiche ed è costretto a praticare la vecchia arte del dietrofront. Della serie: “come non detto”. Lo si capisce dagli scontri continui nella maggioranza sull’impianto della manovra economica e finanziaria per il prossimo anno, in particolare sul fisco e le pensioni. Ed è un fatto politico evidente anche guardando a quello che sta succedendo sui singoli provvedimenti.
L’operazione “spezzeremo le reni” alle banche, per esempio, è già un flop: dalla tassa sugli extraprofitti l’erario ricaverà poche briciole rispetto a quello che era stato annunciato, perché la norma è stata rivista e corretta, e il governo è stato costretto a introdurre una via d’uscita per gli istituti di credito che si stanno patrimonializzando, salvandosi così dalla tassa sui cosiddetti “extraprofitti”. Le parole che aveva pronunciato in agosto il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari (uomo di fiducia di Giorgia Meloni e, pare, ispiratore della norma) contro i banchieri furbetti e sull’apologia del primo governo capace di tenere testa alle banche, meglio di quello che aveva fatto Mario Draghi con le società energetiche, sono ormai archiviate: a riascoltarle, provocano l’irritazione della premier Meloni quasi quanto gli ormai famosi “fuorionda” dell’ex compagno Giambruno. Che succede?
Le ultime notizie dal fronte bancario sono molto chiare. Anche Intesa Sanpaolo, dopo Unicredit, non pagherà la tassa sugli extraprofitti, introdotta dal governo con il blitz di agosto e diventata legge il 9 ottobre scorso, scegliendo l’opzione di evitarla accantonando riserve non distribuibili per 2,5 volte l’importo. Un’opzione che si sta rivelando un vero e proprio boomerang per l’esecutivo, che aveva sperato di incamerare fino a due miliardi di euro di “profitti ingiusti”, come sono stati chiamati dalla stessa Giorgia Meloni, che a quanto pare (visti anche certi suoi precedenti al tempo dei governi Berlusconi, quando da ministro della Gioventù si era dovuta scontrare con l’Abi per il Fondo giovani) porta nel suo Dna politico l’ossessione del complotto dei banchieri.
Tecnicamente le banche, per evitare la tassa, scelgono la strada della “messa a riserva degli utili”. Il prossimo 3 novembre, tanto per fare un esempio concreto, Intesa Sanpaolo renderà noti i conti trimestrali, e gli analisti prevedono un utile netto di 1,74 miliardi, che accrescerà il capitale e consentirà di creare la riserva “antitassa” senza compromettere gli impegni presi sulla remunerazione ai soci. Stessa mossa da parte di un altro colosso, Unicredit, che aveva stimato una tassa di 440 milioni, che però è stata evitata accantonando a riserva non distribuibile la ragguardevole somma di 1,1 miliardi. “La legge dà due opzioni: pagare la tassa o rafforzare le riserve – ha detto l’amministratore delegato Andrea Orcel – abbiamo scelto la seconda”. Sulla stessa lunghezza d’onda di Intesa e Unicredit, anche Mediobanca: la media degli analisti stima un utile netto trimestrale di 315 milioni, ed è certo che preferirà tesaurizzare circa 250 milioni che pagare i circa cento milioni della sua imposta. Gli esperti stimano che, in relazione alle scelte delle prime tre banche leader, in tre giorni sono stati bruciati 1,4 miliardi di tassa sugli extraprofitti: il 70% di quanto aveva messo in conto il governo.
Altre dichiarazioni – che a riascoltarle oggi urtano non poco la suscettibilità di Giorgia Meloni – sono quelle del suo vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, che all’inizio di agosto aveva annunciato un “prelievo sugli extraprofitti delle banche”, definendolo una “misura di equità sociale”, che sarebbe stata comunque limitata solo al 2023. Tutti gli introiti sarebbero andati in “aiuto per i mutui delle prime case, sottoscritti in tempi diversi rispetto agli attuali, e il taglio delle tasse”. Il leader della Lega aveva parlato della possibilità di incassare “alcuni miliardi” da parte dell’Agenzia delle entrate.
La norma varata e poi cambiata dal governo era però sbagliata in partenza, anche perché era stata pensata in modo uniforme per tutte le banche senza considerare le grandi differenze tra i colossi e i piccoli istituti di credito che lavorano a livello locale. Erano state messe sullo stesso piano banche come Intesa Sanpaolo, che investe a livello mondiale, con giganti della finanza come BlackRock, e una qualsiasi Bcc, Banca di credito cooperativo, che offre credito alle piccole imprese e agli artigiani della provincia. Ma l’altro errore della legge è stato quello di permettere, nella comunicazione pubblica, di spacciare l’operazione tasse sugli extraprofitti come una battaglia economica e ideologica contro la speculazione finanziaria, cosa che questo governo non ha mai pensato. Evidentemente il governo ha sbagliato (o voluto sbagliare) obiettivo, perché se davvero si voleva colpire la speculazione, allora si sarebbe dovuta introdurre una norma sulle transazioni finanziarie internazionali, ma sarebbe stata una scelta “sistemica” fuori dalla portata di questo esecutivo. L’altro elemento contestato, e oggetto di una riflessione di ordine costituzionale, riguarda la decisione di avere preso in considerazione solo i margini di profitto (gli “extra” appunto) e non i profitti nel loro complesso.
Intanto il credito rimane uno dei punti di maggiore fragilità dell’economia italiana. I dati di settembre mostrano che i prestiti alle imprese nell’Eurozona sono ormai fermi su base annua, una situazione che non si vedeva dal settembre del 2015. Ma ci sono Paesi in cui si registra già una forte flessione. Tra questi l’Italia, dove il crollo annuo è stato del 6,9%, più accentuato rispetto al -6,4% di agosto. Un calo mai visto. Nel terzo trimestre del 2023, i criteri di offerta sui prestiti alle imprese hanno registrato un ulteriore irrigidimento. Lo ha reso noto la Banca d’Italia nella sua ultima indagine sul credito bancario nell’area euro. Nel frattempo, gli analisti parlano dell’annus horribilis delle erogazioni dei mutui: -33,3% nel secondo trimestre e 29,9% nel primo semestre. Le banche, evitata la super-tassa, hanno ripreso la loro corsa ai profitti e spingono la Borsa. A Piazza Affari, proprio grazie alle banche, il 2023 dovrebbe chiudersi con il nuovo record di utili.