L’ecomostro fortemente voluto dal sindaco di Genova Marco Bucci, e duramente contestato dagli abitanti della Val Bisagno, zona interessata dal percorso di questa fantasmagorica ferrovia sopraelevata, è giunto allo show-down finale, con la presentazione in pompa magna, la scorsa settimana, del progetto di fattibilità. Grande risalto sulla stampa locale è stato dato all’ammontare del finanziamento previsto e già concesso: si tratta infatti della bella somma di circa quattrocento milioni di euro; e nel corso della presentazione l’assessore alla Viabilità ci ha tenuto a sottolineare gli aspetti “ambientali” del nuovo treno metropolitano, che dovrebbe essere parzialmente alimentato (fino al 50%) da sette chilometri di pannelli fotovoltaici.
Al di là del greenwashing, ormai di rito per le grandi opere, nelle ambizioni della “giunta del fare” il nuovo treno dovrebbe trasportare venti milioni di passeggeri l’anno, il che pare un po’ surreale, dato che gli abitanti del quartiere principalmente interessato sono in tutto 58.000, e attualmente il traffico via bus sul percorso non supera le duemila-tremila unità nelle ore di punta, mentre nel comunicato del Comune si parla di 60.000 passeggeri al giorno. Stime che sarebbero “impossibili, fuori dalla realtà”, secondo Vincenzo Cenzuales, presidente dell’associazione MobìGe, una delle anime del comitato che si oppone alla realizzazione dell’opera, il quale aggiunge: “C’è qualcosa che non funziona nei loro conti. E siccome nei documenti presentati al ministero c’erano errori di calcolo, noi non ci fidiamo”.
Altra affermazione ritenuta “incredibile” è quella riguardante i tempi di realizzazione. Nella presentazione si è detto che per il progetto l’inizio dei cantieri è fissato nel luglio 2024, una volta terminato l’iter autorizzativo, e che dovrebbe essere portato a termine nel 2027: “Forse dal punto di vista tecnico potrebbe anche essere possibile” – prosegue Cenzuales – “ma nel cronoprogramma di assegnazione dei soldi da parte del ministero, adottato nel 2022, viene indicato il 2036, e il Comune ha accettato questa ripartizione con una delibera”.
Da sempre, il comitato sostiene inoltre che lo skymetro avrà uno scarso appeal perché – a differenza del tram che è stato da loro proposto come alternativa molto più economica, mediante un dettagliato studio ad hoc – risulterebbe particolarmente scomodo e di problematico utilizzo, sia per la distanza tra le sei stazioni previste, collocate a circa un chilometro di distanza l’una dall’altra, sia per la loro ubicazione sulla sponda opposta del torrente Bisagno rispetto a quella più popolata, con un conseguente problema di accessibilità.
Molto si è polemizzato sull’impatto visivo di un treno che correrà all’altezza delle finestre dei secondi piani dei palazzi limitrofi. Certo, i confusi rendering finora fatti circolare non aiutano a farsi un’idea dell’impatto complessivo della realizzazione di questa megastruttura vagamente retro, a metà tra la sopraelevata di Chicago e le copertine dei romanzi di fantascienza degli anni Quaranta. Le novità principali che emergono, in ogni caso, dalla presentazione del progetto definitivo rispetto alle ipotesi precedenti sono, da una parte, la rinuncia a collocare i piloni nelle prossimità dell’alveo del torrente – come avrebbe permesso una criticatissima legge regionale in deroga ai criteri vigenti, voluta espressamente dal presidente della Regione, Toti, e messa ora prudentemente tra parentesi –, dall’altra, il raddoppio del binario che dovrebbe correre in duplice senso. L’opera sarà quindi interamente a doppio binario, mentre in origine il prolungamento della metropolitana era stato concepito a binario unico, anche per diminuirne l’ingombro. I piloni saranno realizzati sulla sede stradale, non in alveo o in argine al torrente: anche se questo implicherà tutta una serie di difficoltà realizzative che faranno lievitare i costi, con un percorso che si snoderà, in un primo tratto, sulla sponda sinistra, per poi passare alla destra del Bisagno.
In sintesi, dopo una gestazione laboriosa, con numerose modifiche in corso d’opera e diversi passi indietro rispetto all’ipotesi originaria, il progetto presentato non scioglie dubbi e perplessità sulla validità dell’opera, rimangono punti oscuri e complicazioni tecniche, come quella a monte della ferrovia, dove i progettisti hanno escogitato un metodo per realizzare la svolta senza strutture nel torrente, con un doppio attraversamento dell’alveo che dovrebbe comprendere un ponte obliquo lungo un centinaio di metri, di cui peraltro non sono ancora pubblici i dettagli.
Legambiente aveva, già a suo tempo, stigmatizzato la prima versione del progetto di skymetro, parlandone nei termini di un’opera “anacronistica”, ad alto impatto ambientale, di una vera e propria “Caporetto” del sistema dei trasporti genovesi. Ora il comitato che si oppone sta preparando un vero e proprio documento ufficiale, quello che gli abitanti della zona attendono per passare all’attacco con un ricorso al Tar, con cui sperano di bloccare la realizzazione di un’opera ritenuta dannosa, oltre che poco efficace per risolvere i problemi della mobilità in vallata.
La “giunta del fare” non si cura granché di questa opposizione, che giudica pretestuosa e tutta politica, e – sostenuta da una fanfara giornalistica pressoché unanime – prosegue imperterrita nel suo percorso di “modernizzazione”. Una “modernizzazione” dei trasporti pubblici di cui è espressione anche la funicolare che dovrebbe condurre dalla stazione marittima al Forte Begato, pure criticatissima, che mira a creare opportunità per i costruttori in città, raccattando grandi quantità di denaro pubblico per lavori di dubbia utilità, mentre al tempo stesso vorrebbe strizzare l’occhio al turismo progettando “attrazioni” e bizzarrie, in grado di suscitare l’interesse e la curiosità degli utenti non genovesi.
Il “modello Genova” prosegue così a tappe forzate, reiterando il suo occasionalismo e il suo sostanziale dirigismo, di cui testimoniano anche altri interventi recenti, come la ristrutturazione e la valorizzazione immobiliare spacciata per “rigenerazione urbana” dell’area della Fiera del mare, o la squallida trasformazione in una serie di supermercati del vecchio “mercato del pesce”. Uno spazio, quello del “mercato”, ampio e caratterizzato da una pregevole architettura razionalista, che avrebbe potuto ospitare luoghi di aggregazione sociale, custodendo memoria storica e dando impulso a una riflessione sul presente, a una creatività proiettata verso il futuro, che è proprio quello che manca attualmente in città. Mentre l’elenco delle occasioni perdute e delle trasformazioni al ribasso si allunga, Genova ristagna, l’economia è ferma, i prezzi degli immobili continuano a calare, nell’eterna e miracolistica attesa dei capitali milanesi e stranieri che dovrebbero rilanciarla e ridarle fiato.