Il peronista Sergio Tomas Massa, col 36,69% dei voti, supera a sorpresa l’ultra-destro Javier Milei, che ottiene il 29,99%, più o meno la percentuale delle primarie dello scorso 13 agosto, quando era risultato il candidato presidenziale più votato. Da allora, e fino a ieri, quando gli argentini dovevano eleggere il presidente, la metà della Camera, un terzo del Senato e i governatori della provincia di Buenos Aires, Entre Ríos e Catamarca, el león, come viene chiamato dai suoi Milei, era stato al centro del dibattito politico e dell’attenzione mediatica, vista la concreta possibilità che, sulla spinta di quella che sembrava un’irresistibile avanzata, vincesse addirittura al primo turno (ne abbiamo parlato qui). Entrato papa nel “conclave elettorale”, ne è però uscito cardinale, e dovrà vedersela il prossimo 19 novembre con l’odiato Massa.
Non ha convinto la candidata della destra tradizionale, Patricia Bullrich, votata appena dal 23,84%, mentre alle primarie si era piazzata al secondo posto. Il risultato di ieri rende persino probabile una dissoluzione di Juntos por el cambio (JxC) la formazione con cui si era presentata, frutto dell’alleanza tra il partito di Mauricio Macri (il Pro) e l’Unión cívica radical (Ucr). “Non saremo mai complici del comunismo in Argentina, né delle mafie che hanno distrutto questo Paese”, ha detto Bullrich ieri sera, mentre lo stesso ex presidente Macri aveva a lungo tentennato prima di appoggiarla chiaramente in campagna elettorale, scambiando messaggi di simpatia con Milei. E ha confermato di volere sostenere Milei su temi particolari, nel caso vincesse. Il Pro di Macri, Bullrich e Horacio Rodríguez Larreta è passato da sicuro vincitore, un anno fa, al terzo posto.
L’assunzione di posizioni estreme ha portato Bullrich – lei ex montonera – a promettere “una via di uscita giusta” per i condannati per crimini contro l’umanità dall’ultima dittatura. Ma non sono sembrati sulla stessa linea gli alleati dell’Ucr, che nelle scorse settimane, in alcune province storicamente in mano loro, hanno precisato che “noi radicali non votiamo pazzi, negazionisti, anti-diritti, terroristi o repressori”. Mentre Ricardo, figlio dell’ex presidente radicale Raúl Alfonsín, aveva twittato: “Solo chi non ha idea di cosa sia il partito può negare che le proposte di UxP (la formazione peronista, ndr) sono molto più vicine alle idee del radicalismo di quelle di JxC”, chiedendo il voto per Massa dopo le primarie. Il pessimo risultato di ieri, e la probabile scelta di Bullrich e Macri a favore di Milei, spingeranno nel prossimo futuro i radicali a posizionarsi altrimenti in vista dell’appuntamento elettorale decisivo.
Quanto agli altri candidati, hanno ottenuto il 6,79% il peronista ribelle Juan Schiaretti, e il 2,70% la trotzkista Myriam Bregman. Erano ammessi al voto 25,9 milioni di argentini, ma, nonostante la sua obbligatorietà, si è recato alle urne il 77,7%, mentre il 2% ha scelto la scheda bianca. Oltre che da coloro che non sono andati a votare o hanno votato scheda bianca, il futuro del Paese dipende da chi ieri ha votato per Juntos por el cambio, e, in misura minore, dagli elettori di Juan Schiaretti e di Myriam Bregman.
In una giornata di sorprese, quella più grossa è stato il risultato di Massa, che non è solo il candidato presidenziale di Unión por la Patria (UxP), ma anche il ministro dell’Economia di un Paese con un’inflazione indomabile, che ha raggiunto il 140% e probabilmente toccherà il 150% a fine anno. Dove un dollaro si cambia ormai a mille pesos, e dove, col fallimentare governo di Alberto Fernández e della sua vice Cristina, coloro i quali vivono sotto la soglia della povertà sono aumentati, toccando ora il 40% della popolazione. Nella sua duplice veste di candidato e ministro, Massa è riuscito a prendere le distanze da Alberto e Cristina, e, grazie al pericolo del barbaro Milei alle porte, e a qualche provvedimento azzeccato, come quello di tagliare le tasse fino a un certo livello di reddito, non è stato punito dagli elettori, come forse sarebbe accaduto in un Paese normale. Ha persino sfiorato la vittoria al primo turno, che sarebbe scattata qualora avesse raggiunto il 40% dei voti e il 10% in più del candidato arrivato secondo. Il risultato di ieri lo conferma il candidato più votato.
Massa è nato cinquantuno anni fa a Buenos Aires da una famiglia di italiani, di condizione economica modesta. Suo padre aveva una piccola impresa edile e sua madre era casalinga. Ha studiato legge e politicamente nasce come uomo di destra, diventando poco più che ventenne segretario dei giovani liberali. Il matrimonio con la figlia di un leader peronista gli fa cambiare convinzioni politiche: decisione che gli permette di ricoprire alcune cariche nel governo di Carlos Menem, passato alla storia per aver privatizzato tutto quanto era privatizzabile nel Paese. Nel 2007 è sindaco di Tigre, e poco dopo capo di gabinetto di Cristina Fernández, la leader del kirchnerismo, la corrente di sinistra del peronismo. Poi la successiva trasformazione, nel 2015, quando Massa si schiera elettoralmente contro Cristina e la accusa di essere corrotta. Finché, quattro anni dopo, entra nel governo della stessa Cristina, e, nell’agosto scorso, è voluto da lei come ministro dell’Economia. All’apparente incoerenza delle scelte politiche di Massa fa da contrappeso la totale coerenza nella sua volontà di ricoprire incarichi di potere.
Appreso il risultato di ieri, ha confermato di volere un governo di unità nazionale con “i migliori di ogni forza politica”. E di volere “aprire una nuova tappa istituzionale nella politica argentina. (…). La grieta è morta e il 10 dicembre inizia una nuova tappa nel mio governo”, ha detto, parlando della profonda spaccatura che da anni divide il Paese. Ha promesso di “costruire una nuova tappa per la storia politica” argentina, e che sarà “il presidente del lavoro e della sicurezza”. “So che molti di quelli che ci hanno votato sono quelli che stanno soffrendo di più. Non vi deluderò”, ha detto dalla Chacarita a Buenos Aires, il quartier generale dal centro di Unión por la Patria. Ha ottenuto quasi 9,5 milioni di voti, rispetto ai 6,5 che aveva ottenuto nelle primarie.
Ma il successo di Massa è stato anche accompagnato da quello di Axel Kicillof, che, nella provincia di Buenos Aires, dove vive il 38% dei 46 milioni di argentini e vota il 37% del corpo elettorale, è stato rieletto superando il 45% dei voti, migliorando di quasi dieci punti il suo risultato delle primarie di agosto. La riconferma era prevedibile, ma la misura del suo successo non era per nulla scontata, visti gli scandali che hanno colpito la sua campagna nelle ultime settimane, in particolare quello che ha coinvolto il suo capo di gabinetto, Martín Insaurralde, costretto a dimettersi alla fine di settembre per le fotografie che lo ritraevano in vacanza su uno yacht di lusso, in compagnia di una modella, in Spagna.
Kicillof, ex ministro dell’Economia di Cristina, esponente di punta del kirchnerismo, che solo per l’opposizione di alcuni governatori non era stato candidato alle presidenziali, era dato al 30%, ma il suo risultato è stato travolgente. Ha annichilito il conservatore Néstor Grindetti, con quasi il 27% dei voti, e la candidata di Milei, Carolina Píparo, con il 25%. L’esito di ieri lo consacra come il punto di riferimento del peronismo di sinistra.
Quanto a Javier Milei, porta a casa circa 35 deputati, che diventano fondamentali per la governabilità, e ha cercato di occultare la delusione sua e dei suoi sostenitori. Negli ultimi giorni, secondo un copione già collaudato da altri candidati di destra a livello mondiale, La libertad avanza ha iniziato a parlare di frode. Ieri Milei si è in qualche modo consolato, affermando, dal quartier generale della campagna, che “due terzi degli argentini hanno votato per un cambiamento, un’alternativa a questo governo di criminali che vogliono ipotecare il nostro futuro”. Ieri era anche il suo cinquantatreesimo compleanno, e i suoi fan lo avevano accolto con lo slogan “Se siente, se siente, Milei presidente”. Visto il risultato al di sotto delle aspettative, ha cambiato rotta lanciando precisi messaggi agli elettori di Bullrich, che solo fino a poche ore fa identificava come parte della “casta” politica. “La campagna – ha detto – ha fatto sì che molti di noi che vogliamo un cambiamento ci siamo confrontati, per questo vengo a porre fine a questo processo di aggressioni e attacchi. E sono disposto a fare tabula rasa (…) per porre fine al kirchnerismo”. Rivolgendosi alla dirigenza di JxC ha affermato che “tutti noi che vogliamo un cambiamento dobbiamo lavorare insieme”. Nelle prossime settimane, Milei dovrà cercare di attrarre il voto di quelli che di lui non si fidano, considerandolo uno squilibrato.
Un convincimento comune a molti argentini, non solo per i suoi frequenti scatti d’ira e per alcune sue posizioni deliranti, ma anche grazie all’uscita nei mesi scorsi di una biografia non autorizzata, scritta da Juan Luis González, che si intitola appunto Loco, cioè “Pazzo”. Nel quale l’autore riporta il racconto fatto dallo stesso Milei, a proposito della vicenda del suo mastino morto, con il quale colloquia attraverso un medium, e che sarebbe andato al fianco del “numero uno” per proteggere il suo padrone. Grazie al destino del suo cane, Milei ha cominciato a parlare direttamente con Dio, vedendo per ben tre volte la resurrezione di Cristo. “Finché – scrive González – un giorno successe qualcosa di inatteso. Qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la vita di Milei e dell’Argentina. Ovvero che in una delle conversazioni con ‘il numero uno’, questi gli rivelò (…) che aveva una missione per lui. Doveva mettersi in politica. E gli disse anche di più: che non doveva smettere finché non fosse diventato presidente”.
A questo si aggiunge anche la recente sortita di Guy Sorman, uno degli autori liberali più letti degli ultimi decenni. Recentemente, ha ricordato la sua esperienza come insegnante del candidato di La libertad avanza, spiegando perché è spaventato dall’idea che possa essere eletto presidente. Al giornale “ABC” di Madrid, ha dichiarato: “È terribile. Il problema di Milei è che dice di essere liberale. Era mio studente a Buenos Aires. Prima di tutto, è un pazzo, e solo in secondo piano è liberale”. Inoltre ha affermato che “il problema è che se viene eletto, qualcosa che è possibile che accada, e tutto va storto, andrà male perché è totalmente pazzo. Mentre la gente dirà: ‘Questo è ciò che era il liberalismo. Pazzi che distruggono ancora di più il Paese’”. In tal modo, nel convincimento di uno dei sostenitori del laissez-faire, Milei potrebbe rivelarsi devastante per l’ideologia dello Stato minimo.
Massa e Milei dovranno rivolgersi agli elettori che non li hanno votati fino al giorno del ballottaggio, ed è previsto un dibattito televisivo tra i due il 12 novembre. “Che succede in un Paese instabile se appare un leader instabile?”, si chiede González. Ma da qui a poche settimane, è probabile che gli argentini sapranno sorprenderci ancora una volta.