Nell’intervista che si può leggere qui, Luigi Ferrajoli sostiene delle tesi del tutto condivisibili. Si tratta in sostanza della proposta di una democrazia sociale dispiegata a livello planetario, sotto l’imperio di un nuovo diritto internazionale che dovrebbe prendere corpo mediante una rifondazione dell’Onu. Sarebbe la sintesi, pienamente realizzata, di socialismo e liberalismo (intendendo questo termine in senso politico e non economico in quanto liberismo). Molto importante, in questo quadro, la distinzione tra istituzioni di governo e istituzioni di garanzia: le prime, sembra di capire, potrebbero anche restare in capo agli Stati nazionali, le seconde sarebbero invece internazionali e dovrebbero essere appannaggio dell’Onu, che andrebbe messo nella condizione di farle rispettare. Conseguenza implicita in questa prospettiva (a cui però Ferrajoli nell’intervista non fa riferimento) sarebbe la formazione di una Corte costituzionale internazionale, che potremmo immaginare, per ciò che ne sappiamo oggi, strutturata un po’ sul modello della Corte penale internazionale, che tuttavia, per intervenire, ha bisogno della fattiva collaborazione dei singoli Stati: se si tratta di acciuffare qualcuno accusato di crimini di guerra, la Corte deve ricorrere alle polizie e agli organi giudiziari dei diversi Paesi. Ma, com’è noto, né gli Stati Uniti né la Russia hanno sottoscritto lo Statuto di Roma del 1998 che ha istituito la Corte; e Putin potrebbe oggi essere arrestato soltanto se viaggiasse in uno Stato che decidesse di consegnarlo alla giustizia (o in futuro se cambiassero le cose in Russia).
Questo per dire che una rifondazione dell’Onu, di cui ci sarebbe grande bisogno, presupporrebbe che essa fosse espressione di una confederazione mondiale di Stati, tutti concordi nel rispetto del diritto internazionale – o retti da principi illuminati secondo la prospettiva di Kant, che confidava in una progressiva affermazione della ragione. In mancanza di ciò, permanendo forti differenze e contrasti tra gli Stati – ed essendo questi, certo in misura maggiore o minore, comunque guidati da interessi oligarchici scarsamente inclini alla democrazia sociale –, la proposta di Ferrajoli mira a un processo costituente dal basso, che coinvolga movimenti e associazioni, così da svolgere un ruolo di pressione sui governi. Si tratterebbe, in altre parole, della funzione di una società civile internazionale, che avrebbe il compito di porre all’ordine del giorno la necessità di riconoscere i diritti della “madre Terra”, per usare un’espressione introdotta dai popoli indigeni dell’America latina. Ma dove casca l’asino? Non certo nell’elencazione dei vari punti di una possibile Costituzione, quanto piuttosto in una mancanza: Ferrajoli non pronuncia mai la parola conflitto.
“Conflitto” è un termine più ampio di “guerra”. In particolare, il conflitto sociale, così come l’abbiamo conosciuto nel Novecento, sia pure a sprazzi – e sconosciuto a Kant, per il quale l’alternativa secca era tra la guerra e la pace –, incarnato soprattutto ma non solo dal movimento operaio, aveva la caratteristica di confliggere attraverso mobilitazioni democratiche di massa, e di riuscire poi a prolungare il conflitto con ricadute decisive nella politica anche a livello istituzionale. Se una pur coraggiosa rivolta come quella iraniana, oggi non ottiene nulla, ciò è il risultato anzitutto di un deficit, dell’assenza di una piattaforma politica: voi che vi ribellate all’imposizione teocratica, quali cambiamenti di regime avete in mente, quale forma di governo? E quali interessi intendete coinvolgere insieme con quello a una maggiore libertà per le donne? Quali riforme economiche volete fare? Assumete ancora il Corano quale stella polare, come fu con la rivoluzione del 1979 e il suo spirito sacrificale, o intendete rompere del tutto con quella tradizione? A oggi invece in Iran non esiste neppure, per quanto se ne sa, un coordinamento clandestino di opposizione.
Allo stesso modo, si può dire che un eventuale movimento planetario – a partire dalle situazioni specifiche inerenti alle differenti culture – potrebbe assumere come suo programma “di massima” quello di una rifondazione dell’Onu: ma dovrebbe poi far vivere questo programma in una serie di obiettivi intermedi, diciamo così, che potrebbero costituire una piattaforma rivendicativa su un piano sovranazionale, sì, ma non ancora ambizioso come quello di una Costituzione per la Terra.
Prendiamo per esempio quella che in un certo senso è una precondizione essenziale di tutto il discorso: la proposta di un fisco mondiale, in grado di tassare fino al 70% (dice Ferrajoli) i patrimoni di coloro che sono spropositatamente ricchi. Sul piano europeo, che è quello che ci interessa più da vicino, questo si tradurrebbe nell’obiettivo (minimo?) di un’armonizzazione delle politiche fiscali tra gli Stati dell’Unione. Anziché dilaniarsi su un’intesa sui migranti (che sarebbe del tutto pacifica, nel segno di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione degli stranieri attraverso il lavoro e la formazione), i Ventisette dovrebbero cercare un ben più arduo accordo su una fiscalità progressiva, introducendo magari una sorta di “patrimoniale europea”. Questo (semplice?) obiettivo sarebbe forse a portata di mano se ci fosse una mobilitazione, in primis sindacale, a livello di tutti gli Stati europei. Il passo successivo consisterebbe nel cominciare a mettere mano a una federazione che superi l’evidente impasse dell’Unione come fin qui l’abbiamo conosciuta.
Ma per questi obiettivi è necessario il conflitto. Se non c’è questo, con il rimescolamento delle carte che esso comporta anche nell’ambito delle differenti culture in senso antropologico, prevale la “servitù volontaria”, cioè il consegnarsi, da parte degli individui, mani e piedi legati ai poteri dominanti. È perciò proprio il conflitto sociale la vera utopia da rilanciare oggi, attraverso cui ogni utopia successiva potrebbe prendere forma. Ma il conflitto – quello con le forze della conservazione sociale, che nel mondo contemporaneo vanno assumendo tratti nuovamente minacciosi, come si vede per esempio dalla ripresa di una propaganda intorno a fantomatici complotti mondiali – implica talvolta uno scontro determinato da queste stesse forze. Non è interesse di un ipotetico movimento planetario – che avrebbe tra i suoi scopi il disarmo non solo nucleare, ma anche riguardo alle armi possedute dai singoli – arrivare a una sorta di guerra civile, e però ci sono oggi gruppi avversi che sembrano prepararvisi. Bisogna tenerne conto, per farli desistere anzitempo con le armi della politica democratica.