“Abbiamo poco tempo per evitare la catastrofe. Forse un secolo, un secolo e mezzo. Il futuro dell’umanità è messo seriamente a rischio, e anche se disponiamo delle conoscenze per intervenire, non facciamo niente. Dobbiamo ripartire dal diritto e dobbiamo farlo a livello planetario. Per questo propongo una Costituzione per la Terra perché gli Stati, presi isolatamente, sono impotenti”. La proposta di Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto allievo di Norberto Bobbio, è assolutamente dissonante e controcorrente, non solo per l’idea di una Costituzione planetaria che riunifichi tutta l’umanità (superando il concetto di “nemico”), ma anche e forse soprattutto per i contenuti dei cento articoli della bozza costituzionale universale: lavorare per la pace, difendere l’ambiente, sciogliere gli eserciti, vietare le armi nucleari, e anche le armi “normali”; introdurre un demanio globale per preservare l’ambiente e la natura dalla distruzione e un fisco mondiale che faccia pagare più tasse ai super ricchi per tentare di ridurre le diseguaglianze che sono diventate abissali. Insomma, una proposta radicale che si àncora nella più grande tradizione filosofica e giuridica, a partire da quel Progetto per una pace perpetua di Immanuel Kant che la cultura occidentale ha messo da tempo nel cassetto dei sogni impossibili.
Ferrajoli, che cos’è la Costituzione per la Terra? E com’è possibile tentare di frenare la corsa dell’umanità verso la catastrofe?
La mia proposta sembra utopica e irrealizzabile, ma in realtà è l’unica strada realistica da percorrere di fronte alle grandi sfide epocali che stiamo affrontando: la distruzione dell’ambiente, la guerra, il dramma dei migranti, lo sfruttamento del lavoro. E nessuna di queste sfide può essere affrontata dai singoli Stati o dai singoli poteri economici (per quanto ci siano filantropi come Bill Gates). Tutte queste cose richiedono una rifondazione della convivenza internazionale. In pratica una rifondazione della Carta dell’Onu. Sia quella Carta sia le tante Carte esistenti prevedono la pace e i diritti. Ma non basta prevederli, occorre attuarli. Per questo occorre introdurre istituzioni di garanzia, che sono una cosa molto diversa dalle istituzioni di governo (legislative, esecutive, ecc.) che sono sempre locali. Ciò che serve, ora, sono invece istituzioni di garanzia globali in attuazione dei diritti: un servizio pubblico sanitario mondiale, un’istruzione mondiale, un reddito di base mondiale. E ovviamente un fisco mondiale per finanziare le istituzioni di garanzia. E soprattutto istituzioni di garanzia di beni vitali. Il costituzionalismo si deve espandere oggi in direzione dei beni e non più solo dei diritti. Da un lato, a garanzia dei beni naturali come l’acqua potabile, la natura, le grandi foreste, i ghiacciai, dalla cui sopravvivenza dipende la sopravvivenza dell’umanità. E, dall’altro, con la messa al bando dei beni micidiali a cominciare dagli armamenti atomici, ma anche di tutte le armi. Proclamare la pace e i diritti senza avere fatto nulla per attuarli significa avere violato le promesse solenni stabilite in tante carte internazionali. La situazione attuale è di estremo pericolo, perché per la prima volta c’è il rischio che l’umanità si estingua. E tutte queste minacce non erano presenti nel 1945-48. Non c’era ancora il riscaldamento climatico attuale e la stessa diseguaglianza non era così visibile come ora. E allora l’unica risposta – per quanto possa sembrare utopistica (e non possiamo non essere pessimisti) – è la rifondazione della Carta dell’Onu.
Si deve dunque ripartire dalle istituzioni esistenti, come l’Onu?
Sì, ma è evidente che l’Onu oggi non conta più nulla perché non è basata su una Costituzione rigida, come quella italiana per esempio. Questi trattati e le tante carte esistenti non avendo la rigidità delle Costituzioni nazionali sono state violate impunemente, e si risolvono in una semplice retorica. Sono dichiarazioni d’intenti senza possibilità di attuazione. Per garantire davvero il diritto alla salute universale (introdotto nel 1966) è necessario istituire un Servizio sanitario pubblico mondiale. E così per la necessità di introdurre un demanio planetario che sottragga al mercato i beni vitali, le res communes omnium. Un demanio, se vuole essere di garanzia, deve essere di rango costituzionale sovrastatale.
Ma di fronte a una politica sempre più miope e a un mercato predatorio, come si possono raggiungere questi obiettivi?
Penso che si debba partire dal basso. I soggetti protagonisti di questo processo sono i movimenti, le associazioni, dovrebbero esserlo anche i partiti se avessero il gusto di rifondare la loro ragion d’essere. Noi abbiamo dato vita a un’associazione che vuole costruire una rete internazionale. Io personalmente ho avuto decine di contatti all’estero, soprattutto in Spagna e America latina, perché sono uscite le traduzioni del mio libro (Per una Costituzione della Terra, l’umanità al bivio, Feltrinelli). Nel libro, a quello che vedo, a interessare molto è proprio la distinzione tra istituzioni di governo e istituzioni di garanzia. Con la nostra nuova associazione chiediamo a tutti gli aderenti (che sono migliaia) di dare vita nelle loro città a scuole o centri che raccolgano le adesioni, ma soprattutto discutano il progetto proponendo emendamenti o modifiche in modo che si realizzi un vero processo costituente dal basso. Che possa poi magari anche sfondare nella sfera dell’informazione e della politica.
Questo grande interesse per il progetto lo avete riscontrato per ora solo all’estero?
Dopo le traduzioni spagnole, abbiamo avuto un grande riscontro appunto in Spagna e in America latina. Il libro ha venduto molto in quei Paesi, e abbiamo avuto tantissime adesioni al progetto. Partecipo quasi ogni giorno a collegamenti con quelle realtà, che mi invitano a intervenire nelle loro discussioni su questi temi.
Ma stiamo parlando solo dell’ambito universitario?
Naturalmente con le università ho più contatti, ma si sono poi aggiunte tantissime associazioni della società civile. Qui in Italia ho partecipato a decine di iniziative, ma mi ha sorpreso vedere nell’Aula Magna di Buenos Aires mille persone che volevano capire la proposta. In Brasile lo stesso. Il presidente Lula conosce il progetto della Carta e mi ha invitato a discuterne. Qui da noi si tratta però di superare l’attuale cecità, perché le verità scomode e sgradite non vengono credute. Come abbiamo potuto verificare con la pandemia, che avrebbe dovuto farci capire l’interdipendenza dell’umanità intera. E invece abbiamo rimosso tutto e non abbiamo imparato niente. Figuriamoci riuscire a far comprendere il problema del riscaldamento climatico (anche perché noi viviamo nella parte ricca del mondo). Il nostro obiettivo, utilizzando anche le possibilità che ci offrono le tecnologie, è quello di estendere il più possibile la rete sia a livello nazionale, sia a livello internazionale. Un processo che sarà favorito dalle traduzioni del libro, che io vorrei far arrivare anche in Cina. Vorrei che la nostra bozza di Costituzione per la Terra fosse tradotta in tutte le lingue. Attraverso le università e le associazioni deve diventare una rivendicazione dei diritti. Oggi non basta più solo denunciare come fanno giustamente i ragazzi di Friday for Future. Anche Noè cercò di convincere i suoi contemporanei che ci sarebbe stato il diluvio, ma nessuno gli credeva.
Nel libro ci sono proposte molto forti ma che sembrano elaborate da un marziano… come l’abolizione delle armi.
Le armi dovrebbero essere considerate beni illeciti. Lo sosteneva perfino Thomas Hobbes, teorico dello Stato assoluto nel Seicento, e poi Immanuel Kant. Quando si parlava del monopolio pubblico della forza. Le armi producono non soltanto le guerre, ma anche la criminalità. Nel mondo ci sono circa mezzo milioni di omicidi all’anno. In Italia, dove si producono armi ma nessuno va in giro armato, gli omicidi sono meno di trecento. In Brasile sono sessantamila, negli Stati Uniti trentacinquemila, perché le armi prima o poi si usano. E tutti si armano per paura. Alle spalle di tutto questo ci sono solo gli interessi dei produttori di armi. Ma anche per la guerra vale lo stesso discorso come diceva già Kant, e poi Eisenhower. La vera garanzia della pace è dunque l’eliminazione delle armi e degli eserciti (che servono solo a fare le guerre o i colpi di Stato). Ma oggi i populisti dicono il contrario, come abbiamo visto con il ministro Salvini che introdotto la legittima difesa con le armi, anche se è una norma che fortunatamente non ha inciso in modo particolare.
Un altro punto assolutamente dissonante con il presente riguarda il fisco mondiale? Lo possiamo spiegare?
Si tratta di una vicenda spaventosa. Negli Stati Uniti, ai tempi di Roosevelt, la tassazione dei redditi più alti arrivava al 95% (oltre una certa cifra). Non si ammetteva il fatto che si potessero avere miliardi che non è neppure possibile utilizzare, se non per inquinare la politica. E fino agli anni Settanta la tassazione era del 70%. Anche in Italia, stesso discorso. Oggi l’aliquota massima è del 43% che accomuna le persone normali a quelle più ricche. Questo è l’effetto della globalizzazione, perché i manager possono attribuirsi stipendi miliardari che non hanno nulla a che fare con le loro funzioni, visto che spesso portano le aziende alla rovina. Possono farlo perché le aliquote sono basse. La parola d’ordine abbassare le tasse favorisce solo i ricchi. Le tasse sono crollate a vantaggio dei grandi manager. La differenza tra lo stipendio di un operaio Fiat e Valletta era di dodici volte negli anni Cinquanta, con Marchionne era di 439 volte e di oltre mille volte per i manager statunitensi. Un fisco globale serve per rendere trasparenti i capitali e per finanziare le istituzioni di garanzia come la Sanità pubblica mondiale. Non è vero, dunque, il luogo comune che non ci sono i soldi (a parte l’evasione fiscale per esempio che toglie allo Stato centoventi miliardi l’anno, con una corruzione che ne toglie altri sessanta). Bisognerebbe portare le imposte di chi guadagna un milione l’anno oltre il 70%.
Stiamo parlando quindi di una grande utopia. Ma è realizzabile?
Ovviamente non ci sono ragioni per essere ottimisti. Forse dobbiamo dare per scontata la catastrofe. E che magari solo dopo la catastrofe ci potrà essere un momento di risveglio della ragione e forse il varo di una carta come la Costituzione per la Terra che proponiamo. Capisco che si tratta di un’ipotesi molto improbabile; ma vorrei insistere sul fatto che improbabile non significa impossibile. È la vera rivoluzione, il vero socialismo e liberalismo. Tutti sappiamo che sta per succedere, ma poi nessuno fa niente. Per questo è necessario, prima di tutto, superare la conflittualità tra Stati sovrani. Tutte le cose che la politica promette verranno fatte solo in parte. C’è un senso di impotenza diffuso. L’unica cosa è non pensarci. Ma il processo è inesorabile e siamo di fronte a più catastrofi. Oltre l’ambiente abbiamo la corsa al riarmo e la crescita esponenziale della diseguaglianza. Non dico che la catastrofe sia imminente. Ma il percorso è avviato, ed è molto più veloce di quello che era stato previsto. Alternative non ne ce sono. Per questo noi proponiamo di ripartire dai centri Costituente Terra, per ricominciare a dare contenuti alla politica.