Con uno dei soliti decreti legge “milleproroghe”, il 198 del 2022, era stato prorogato l’organo di autogoverno della giustizia castrense, il Consiglio della magistratura militare, che scadeva a primavera di quest’anno. Il provvedimento di convocazione delle elezioni andava fatto entro questo settembre (vedi qui). A poche ore dalla fine del mese – un anticipo di stagione, rispetto ai tipici “milleproroghe” nei giorni del panettone –, è arrivato il decreto-legge 132: ora l’atto di convocazione elettorale si può fare entro il 31 gennaio 2024. Qualche pillola di storia. La prima consiliatura del Consiglio della magistratura militare si insediò nel 1989, dopo complicate battaglie politiche, referendarie e costituzionali.
Era stato previsto un collegio, in carica per quattro anni, di nove persone: cinque magistrati militari eletti e due laici, oltre al presidente della Cassazione e al procuratore generale militare. Nel 2007, con la legge finanziaria per il 2008, il collegio fu ridotto a sette persone, compreso un solo laico; nel 2009 fu ancora ridotto a cinque, di cui due magistrati militari eletti. C’è già stato anche un bello strappo ai quattro anni di durata della consiliatura: quella iniziata nel 2013 è andata avanti fino al 2019, perché nel 2017, dopo l’elezione dei nuovi togati, i presidenti delle Camere non nominavano il laico (che è il vicepresidente). La consiliatura oggi in carica è quella cominciata nel 2019, appunto.
Insomma, 1989-2024: l’anno prossimo il Cmm, come organo dello Stato, compirà trentacinque anni, ma ormai la seconda metà della sua esistenza – vuoi con la riduzione della componente togata elettiva, vuoi col mancato ricambio – se si specchiasse nella riforma approvata negli anni Ottanta farebbe fatica a riconoscersi.
Come si è arrivati a due rinvii? La riforma Cartabia (legge 71 del 2022) prevede una decretazione legislativa sull’ordinamento giudiziario militare (vedi qui). Però, malgrado l’istituzione, ad agosto 2022, di un gruppo di studio al ministero della Difesa, la decretazione il governo Draghi non l’ha fatta, e il governo Meloni l’ha promessa. Davvero non si può parlare di difficoltà giuridiche insuperabili, anzi. La delega, nella riforma, se per certi aspetti lascia cose da definire, invece sull’aumento del numero degli eletti è talmente precisa che, per fare un decreto legislativo, basterebbe copiare le parole. Questo bisogno di tempo, tanto tempo, ancora tempo, cresce come il naso di Pinocchio.
Il recentissimo decreto legge è frutto della riunione del Consiglio dei ministri del 27 settembre. Solo due giorni prima, il governo ha esaminato proprio un progetto di decretazione delegata, anche sul Cmm; un comunicato governativo ha fatto riferimento a un “esame preliminare” e ha anticipato un paio di contenuti. Sono questi: un ufficio di procuratore militare aggiunto per ogni procura e l’aumento a quattro degli eletti al Cmm (anticipazioni prevedibili: erano esplicite già nella legge 71). La legge 71 è del giugno 2022: per le attività preliminari ci vuole più di un anno e, quando il governo ne fa sapere qualcosa, sono uguali alla delega.
Tutto questo, mentre si commettono gravi crimini internazionali. L’anno scorso il ministero della Giustizia, tenendo presente soprattutto lo Statuto di Roma sulla Corte penale internazionale, ha istituito la Commissione per elaborare un progetto di codice dei crimini internazionali, presidenti Palazzo e Pocar. E quest’anno, sempre alla Giustizia, si è insediato il Gruppo di lavoro sul codice dei crimini internazionali, presidente Mura. Due governi, due strutture qualificate, riunioni, studi: nessuna legge.
Il fatto è, fra l’altro, che resta aperta la questione dell’attribuzione del lavoro giudiziario sui crimini di guerra e contro l’umanità alla giustizia ordinaria o a quella castrense. Cioè, fra i punti essenziali da decidere c’è proprio questo: tribunali ordinari o militari? (vedi qui). Stiamo parlando degli sforzi di fare giustizia su quello che succede in molte aree del pianeta, dall’Ucraina all’Africa o al Nagorno-Karabakh. E anche del trattamento dei migranti, su cui il recente rapporto del Panel of experts, all’Onu, offre dati e prove (vedi qui).
La proposta di conversione del decreto-legge 132 è in Senato, ieri (3 ottobre) è stata assegnata alla 6ª Commissione permanente, ma la relazione tecnica dice ben poco. Visto che il potere politico stenta a venire a capo dei problemi, malgrado il contributo dei migliori giuristi, e considerando i lunghi preliminari, la strada più ragionevole sembra quella, intanto, di scegliere la prima fra le tre proposte della Commissione del 2022, Palazzo e Pocar: i crimini internazionali tutti alla giustizia ordinaria. La relazione della Commissione, già lo scorso anno, è stata realistica: “L’unitarietà della giurisdizione risponde all’obiettivo di una ineludibile uniformità di trattamento, anche nell’ottica di una più puntuale aderenza agli obblighi internazionali di prevenzione e di repressione”.