Quando si parla di innovazione e salti tecnologici contano prima di tutto i tempi. “La velocità dei processi di trasformazione – spiega Vincenzo Comito, storico della finanza e dei sistemi economici, nell’introduzione al suo libro (Come cambia l’industria; i chip, l’auto, la carne, Futura Editrice, 2023, 15 euro) – appare tale che qualsiasi testo sull’argomento rischia di diventare presto obsoleto”. Il libro fornisce una grande quantità di informazioni (di notizie) che è difficile ricavare in modo organico dalla cronaca economica quotidiana: la descrizione dei grandi gruppi (quasi tutti asiatici) che dominano nel settore dei chip e dell’intelligenza artificiale, il declino di aziende americane che erano state leader. Nell’analisi emerge la configurazione di un quadro generale che va oltre l’aggiornamento delle mosse dei grandi colossi industriali e dello scontro tra Occidente e Oriente, o tra Usa e Cina. Attraverso lo studio delle trasformazioni in atto, si tenta di rendere palesi i movimenti più profondi dell’economia mondiale e della nuova globalizzazione post-pandemia.
Anche la scelta dei tre grandi settori non è scontata e potrebbe essere oggetto di critiche da parte di qualche purista. “Può apparire in qualche modo bizzarro – ammette Comito – inserire il settore agricolo e in particolare il comparto della carne in un testo in cui si parla di come sta cambiando l’industria. Ma intanto da tempo nel settore agricolo si assiste a un’invasione dei prodotti e delle tecnologie industriali, a un suo collegamento sempre più stretto con le grandi imprese agroindustriali”. E all’applicazione di grandi innovazioni tecnologiche. “Ma ora la novità è costituita nel settore della carne e derivati (i cui macelli erano già stati nell’Ottocento antesignani delle catene di montaggio delle auto), nonché in quello della frutta e verdura e in prospettiva anche dei cereali, dall’arrivo a una loro produzione direttamente in fabbrica, tendenza che tende persino a cancellare al limite la terra come elemento produttivo di base nel settore”.
Al di là delle grandi trasformazioni, la scelta di dedicare alla carne circa un terzo del libro si giustifica prima di tutto dai numeri. Il settore agroalimentare occupa il 40% della popolazione attiva mondiale, e comprende al suo interno l’insieme delle attività di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo di prodotti alimentari; esso vale all’incirca oggi a livello mondiale, in termini economici e secondo la Banca mondiale, ottomila miliardi di dollari.
Ed è una scelta, quella di inserire l’agricoltura e l’allevamento nella grande area dell’industria, che si giustifica anche dal punto di vista della nuova configurazione che assume la lotta di classe. Ai soggetti tradizionali del capitale e della classe operaia si è aggiunto, ormai da anni, un terzo soggetto: l’ambiente. Nel settore della carne il nuovo scontro tra innovatori e conservatori, tra difensori degli equilibri ecologici e industrialisti “a prescindere” assume connotazioni inedite. Alla tendenza di alcuni governi di tentare di ridurre la produzione e l’uso della carne per ragioni sanitarie ed ecologiche (visti gli altissimi livelli di inquinamento prodotti dagli allevamenti dei bovini) le società rispondono sempre più spesso con le barricate.
È successo per esempio di recente in Olanda, dove sta diventando sempre più forte il partito degli allevatori dei Paesi Bassi, che si oppone alle leggi green varate dal governo guidato dal liberal-conservatore Mark Rutte. Il Boer Burger Beweging (letteralmente “movimento civico dei contadini”), partito populista emergente nel panorama politico olandese, ha infatti ottenuto il 19% dei voti alle ultime elezioni provinciali, facendo crescere il numero dei propri seggi in Senato. Il movimento mette sotto accusa il Memorandum di Rutte, che recepisce le soglie europee per l’inquinamento da azoto e ammoniaca, fortemente legato agli allevamenti. Per legge gli allevamenti olandesi dovranno ridurre di un terzo i cento milioni di capi fra bovini, suini e avicoli allevati nel Paese: ciò comporterebbe, secondo le stime del movimento dei contadini, la chiusura di 11.200 allevamenti, se non si riconvertiranno. Uno scenario analogo potrebbe essere disegnato anche per l’Italia, dove la Coldiretti si oppone a ogni tipo di innovazione.
Non si tratta poi solo degli scontri politici e sociali determinati dalle direttive europee sulla riduzione tendenziale dell’inquinamento. In gioco, sempre secondo Comito, c’è il futuro stesso di tutto il settore agroalimentare su cui si concentrano ingenti risorse per la trasformazione. Un settore (il primo in fondo nella storia economica dell’uomo) che oggi deve affrontare due sfide gigantesche: la lotta alla fame (nel mondo sono oltre ottocento milioni le persone che non hanno un’alimentazione sufficiente) e la lotta all’inquinamento progressivo e inesorabile che mette a rischio tutti. I salti tecnologici e la ricerca innovativa potrebbero avere conseguenze epocali. “Bisogna anche riferire – scrive Comito a pagina 161 – che un istituto di ricerca cinese è riuscito a ottenere la sintesi dell’amido partendo dall’anidride carbonica (Wang Qi, 2021); questo passo in avanti potrebbe avere conseguenze molto importanti sulla produzione agricola. Con la carne prodotta in laboratorio, la frutta e la verdura ottenuta attraverso l’agricoltura verticale, la produzione di cereali sempre in laboratorio potremmo assistere entro pochi decenni alla pratica scomparsa del settore agricolo o almeno a un suo forte ridimensionamento”.
Se un comparto tradizionale come quello agricolo subisce scosse così profonde, possiamo immaginare la velocità e profondità dei processi di cambiamento in un settore di punta come quello della produzione dei chip, alla base di tutta la tecnologia contemporanea. In questo settore si stanno combattendo battaglie epocali tra grandi colossi (americani e asiatici) e si stanno ridisegnando i profili generali di ciò che è industria. Comito, per spiegare il modello, usa uno schema proposto da “Le Monde” nel 2022. “È molto probabile che un nuovo chip venga progettato negli Stati Uniti, su di un’architettura della britannica Arm, che le materie prime vengano dalla Cina, che la produzione relativa sia effettuata a Taiwan o nella Corea del Sud, su macchine della olandese Asml, che la stessa produzione venga poi assemblata in Malaysia, con i gas speciali necessari inviati dal Giappone; essa sarà poi collocata soprattutto in Cina o in Asia, continente che controlla il 70% del mercato mondiale, con la Cina da sola, almeno secondo alcune fonti, intorno al 60%. Un miracolo della globalizzazione”.
Infine, ma per il libro di Comito è la seconda sezione, lo studio del settore dell’auto, che – come ha scritto Guglielmo Ragozzino su Sbilanciamoci,info – con il petrolio ha fatto da base all’attuale storia del mondo. Nel saggio di Comito ci si concentra sul passaggio (anche qui un salto storico) alla propulsione elettrica. Il caso Stellantis è esemplare delle contraddizioni delle battaglie in corso. “L’Italia, che, a un certo punto, alcuni decenni fa, era diventata il secondo produttore del continente dietro la Germania, è ormai scivolata al settimo posto, dietro quasi a tutti, Germania, Spagna, Francia, Repubblica ceca, Gran Bretagna e persino Slovacchia”. La casa automobilistica che ha ereditato la storia della Fiat ora è in affanno, mentre tutte le altre società produttrici accelerano verso il passaggio all’elettrico entro il 2035: ma se Stellantis soffre, neppure le altre dormono sonni tranquilli, vista l’opposizione delle grandi lobby del petrolio e del motore a scoppio appoggiate in ogni Paese da partiti e movimenti nazionalisti (da noi in prima fila c’è il ministro Salvini).
Al contrario di quello che propugnano le destre europee e americane, bisognerebbe dunque puntare sull’innovazione (in questo caso l’elettrico e l’idrogeno). E sarebbe anche molto importante, alla luce delle trasformazioni tecnologiche in atto, pensare a un piano adeguato di una mobilità urbana che privilegi il trasporto collettivo a scapito di quello individuale. Insomma, un piano generale per la transizione tecnologica ed ecosostenibile del settore dell’automobile, ma anche per quelli dei chip (che paradossalmente si scoprono inquinanti) e per la carne. Ma qui si apre un altro discorso, perché per fare tutte queste cose ci vorrebbero dei governi all’altezza della grande trasformazione e delle istituzioni davvero internazionali. Una classe politica innovativa e lungimirante. L’opposto di quella conservatrice al potere in Italia – ma forse anche di quella democratica che governa negli Stati Uniti, visto che anche per Biden l’assillo principale sembra essere quello di vincere la World Cup contro la Cina.