“Stiamo dando l’immagine di un partito in cui la corsa per il potere è più importante del rispetto delle regole”. Chi parla è Pippo Civati in occasione delle primarie del Pd del novembre 2013, stravinte da Matteo Renzi contro Gianni Cuperlo e, appunto, il fondatore di Possibile. Il quale puntò l’indice contro l’improvviso quanto sospetto aumento dei tesserati. E non possiamo dimenticare “la notte dei lunghi coltelli”, con i famosi centouno che affossarono Romano Prodi nella corsa al Quirinale – anche in questo caso per miserabili logiche di potere. Ora il problema dentro il Nazareno è un altro, ma in fondo in fondo il tema è sempre lo stesso: potere, potere, potere, per raggiungere il quale le maledette primarie, inventate da quel genio della politica che fu Walter Veltroni, appaiono uno strumento.
Questa premessa per tentare di capire il perché del “fuoco amico” che sta subendo, anche nei vergognosi talk-show televisivi, Elly Schlein (vedi qui e qui), segretaria del principale partito di opposizione, divenuta tale dopo avere battuto Stefano Bonaccini nelle primarie “aperte” anche ai non iscritti – lui però aveva vinto quelle riservate agli iscritti – dello scorso febbraio. Uno smacco insopportabile per il presidente dell’Emilia-Romagna, di poco attenuato, o per niente, dalla nomina a presidente del partito.
La posta in gioco è alta, anzi altissima. Anche se mancano ben quattro anni alle elezioni politiche, già pensa a una rivincita, augurandosi, secondo i maligni, addirittura una sconfitta alle prossime europee del nuovo Pd, che porrebbe le basi per un ritorno al vertice del partito di uomini dell’apparato, pronti a cancellare così ogni sia pur timido tentativo di spostare a sinistra quel partito che doveva riunire il meglio della tradizione di sinistra con quella cattolico-democratica. Ricordiamo le recenti tappe di questa telenovela: dopo avere guidato il Pd più moderato e atlantista della sua storia, e dopo la successiva sconfitta alle elezioni di un anno fa, Enrico Letta decise di riscrivere il “Manifesto dei valori”, che non avrebbe cancellato del tutto il vecchio spostandolo “a sinistra ma non troppo”, come allora ironicamente si disse questa operazione politica. Ma già questo bastò a mettere in allarme coloro che vogliono costruire quel partito “riformista” che nessuno degli undici segretari che si sono succeduti, compresi i tre reggenti, è mai riuscito a realizzare.
Ecco dunque le fughe da quello che potrebbe diventare il partito bolscevico 2.0. Il primo ad andarsene è l’ex Dc Beppe Fioroni, poi l’economista liberale Carlo Cottarelli e, infine, Andrea Marcucci, renziano di ferro, che non si indirizzano però verso altri partiti. A differenza di Enrico Borghi, diventato senatore di Italia viva, e di Caterina Chinnici. Borghi ha detto di volersene andare dal Partito democratico perché diventato “la casa di una sinistra massimalista figlia della cancel culture americana che non fa sintesi e non dialoga”. E la citata figlia di Rocco Chinnici, Caterina, ha addirittura indossato la casacca di Forza Italia.
Sulle recentissime defezioni liguri abbiamo documentato ampiamente (vedi qui). Ora, l’uscita di persone che nulla avevano e hanno a che fare con la sinistra potrebbe fare bene a Schlein. Ma i nemici della giovane e inesperta segretaria – che pure in segreteria si ritrova persone avvedute e di spessore, come Sandro Ruotolo, Giuseppe Provenzano e Pierfrancesco Majorino, che forse dovrebbe consultare un po’ più spesso – sono sparsi un po’ qua e un po’ là. Si va dall’ex segretario Nicola Zingaretti, che davanti al pubblico della festa dell’Unità la sostiene per poi dire, pensando di essere inascoltato, che con lei non si arriverà al 17%. Ma, come abbiamo già detto, i nemici di Schlein, vero e proprio incubo della sinistra italiana, sono i moderati, quelli che guardano a un centro inesistente, anche perché bastano già loro a rappresentarlo. Che mettono la mano alla pistola se solo sentono nominare timidamente la parola salario minimo, lotta alla precarietà, attenzione ai diritti dei lavoratori – “ma senza urtare la sensibilità degli imprenditori, mi raccomando”.
Adesso l’altra figura che si sta profilando all’orizzonte come futuro segretario del Pd – o nuovo inquilino di Palazzo Chigi, visto che al Nazareno in molti pensano a una fine anticipata della legislatura – è Paolo Gentiloni, attuale commissario europeo per gli Affari economici, già premier tra il 2016 e il 2018. Per quello che conta, lo scenario che al riguardo descrive “Il Foglio” è a dir poco caotico, e non aiuta affatto il già complicatissimo lavoro di Schlein. Nel Pd, almeno così sembrerebbe, già sognano l’ex ambientalista al posto di Giorgia Meloni: lui sarebbe in grado di mettere d’accordo tutti, da Azione fino alla sinistra, compresi i 5 Stelle, che non potrebbero dire di no a una sua candidatura al vertice di un governo di centrosinistra. Ci sarebbe posto anche per Matteo Renzi, il quale si è avvicinato a Gentiloni, sempre secondo il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, che però non spiega in che cosa si tradurrebbe questo interessantissimo evento. Non è dato sapere, poi, se una scelta del genere dovrebbe essere avallata dalle primarie.
Abbiamo già accennato ai limiti e alle difficoltà di Elly. Ma un partito serio, non un circo Barnum, farebbe quadrato intorno a lei, e anche coloro che rappresentano legittimamente un’altra area dovrebbero dare il loro contributo. Invece siamo nella confusione più totale, al cui interno ancora una volta il pensiero del Pd va comunque nella direzione del potere, con un’impossibile “vocazione maggioritaria” già sognata da Veltroni. Un impegno che ancora una volta collocherebbe nel dimenticatoio la domanda principale: un partito di sinistra chi deve rappresentare? Ma se Schlein, a modo suo, sta cercando di dare una risposta a questo interrogativo, gli altri sono in tutt’altre faccende affaccendati.