Nelle prime ore dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022, quando la famigerata colonna di blindati di oltre 65 km sembrava marciare inesorabilmente su Kiev, e persino gli esperti americani avevano stimato in poche ore la possibile resistenza ucraina, il vicepremier ucraino Fiodorov lanciò il famoso appello a Elon Musk, mutando il corso della guerra (e forse di tutte le guerre future): “Mentre stai colonizzando Marte ci stanno massacrando”. Il magnate rispose a stretto giro di Twitter: “Ditemi a chi posso inviare i dati sui miei diciottomila satelliti”. La risposta del governo ucraino diede il senso di quella nuova idea di conflitto che ha mutato completamente le relazioni geopolitiche fra i singoli Paesi: “Mettili in rete”.
Si affacciò sulla scena, per la prima volta, una inedita combinazione bellica, composta da potenze tecnologiche private, come Space X (la compagnia spaziale di Musk oggi dispone di più di ventiquattromila oggetti orbitanti in grado di scannerizzare il movimento su tutta la superficie terrestre di qualsiasi elemento che si sposti), e da un’attivazione della società civile che, forte di tecniche che decentrano verso il singolo individuo una potenza operativa fino a oggi riservata solo ai grandi apparati militari o civili. Questa forma di combattimento, basata sullo scambio rapido e molecolare di dati, sorprese e sbaragliò, nella prima fase dell’operazione speciale concepita da Putin, le preponderanti forze russe.
La forza devastante di quella colonna di carri armati, che sembrava destinata a occupare in pochi giorni la capitale ucraina, fu neutralizzata proprio grazie a una formicolante azione di localizzazione di ogni singolo mezzo blindato da parte dei satelliti di Space X, che trasmettevano i dati Gps in rete: dati che poi venivano ripresi e diffusi dai cittadini ucraini mediante le ordinarie attività digitali, con i social che usavano nella vita quotidiana, creando un sistema di tiro al bersaglio implacabile, che scompaginò la strategia russa basata ancora sulla massa di impatto dei mezzi corazzati. Da quel momento, i satelliti di Musk divennero un corredo irrinunciabile della resistenza ucraina, e poi, via via che la guerra mutava di segno, sostennero anche le azioni di contrattacco.
Lo stesso Dipartimento di Stato statunitense, che pure aveva sempre giocato con le compagnie americane che coprivano o sostituivano gli apparati ufficiali nei teatri di azione, come ben ricordiamo in Sudamerica o nei Paesi asiatici, comprendeva che questa volta il rapporto fra governo centrale e gruppo privato era quasi simmetrico, se non proprio alla pari. Si era ormai alle prese con una privatizzazione della guerra, così come, negli anni precedenti, abbiamo assistito – quasi fosse una parte dello showbiz e non una strategia bellica – alla privatizzazione dello spazio promossa proprio da Musk, ma seguita ormai da altri grandi gruppi industriali, come Amazon di Bezos.
Nei giorni scorsi, lo stesso Musk ha fatto filtrare la notizia che, nella tarda primavera, la sua compagnia spaziale non ha assicurato la copertura dal cielo alle forze ucraine che avevano elaborato un piano per colpire massicciamente la flotta russa nel Mar Nero. Un’operazione, fanno sapere i collaboratori del proprietario di Twitter, che avrebbe potuto spingere il Cremlino addirittura a una rappresaglia nucleare. Se ne deduce, viceversa, che altre azioni della controffensiva di Kiev siano state appoggiate da Space X perché ritenute non squilibranti.
Si ratifica così il potere discrezionale di una proprietà privata, che arriva ormai non solo a integrare le forze convenzionali di un Paese – cosa che abbiamo visto nella storia, dai primi mercenari alle bande dei condottieri medievali, fino alla brigata Wagner, che affianca Mosca nelle sue scorribande in Africa e nella stessa Ucraina –, ma addirittura a interferire sulle strategie e i livelli di violenza che arrivano a sfiorare le mobilitazioni nucleari.
Nel caso di Musk riguardo al Mar Nero, il ruolo del magnate è stato di moderazione, ma in altri casi è stato invece di garante delle aspettative di vittoria ucraine. Ora, il punto da stabilire è quale sia il limite che debba costringere una proprietà privata, di questo stiamo parlando, a ricondursi sotto la sovranità di un’istituzione pubblica che, per quanto possa essere guidata da logiche imperiali o totalitarie, rimane comunque un potere più giustificato di un interesse esclusivamente speculativo.
Si pone così, nella maniera più eclatante, il nodo di chi oggi si trovi realmente alla guida del pianeta. La guerra è un caso estremo, sotto gli occhi di tutti. Ma ogni giorno assistiamo a situazioni in cui poteri privati interferiscono e alterano politiche pubbliche. Pensiamo all’andamento dei mercati finanziari e monetari, o al sistema sanitario, o all’insieme della ricerca scientifica e tecnologica.
Le ultime proposte in materia di intelligenza artificiale, per esempio, pongono in discussione la capacità di autonomia di ogni singolo essere umano, nei confronti di sistemi che palesemente si basano sulla possibilità di intervenire e deviarne il libero arbitrio. Si realizza così l’ultima intuizione di Carl Schmitt, che proprio in punto di morte integrò e corresse la sua definizione di Stato – quel sistema capace di proclamare lo stato di emergenza – aggiungendo: uno Stato deve avere il controllo delle onde elettromagnetiche. Eravamo nell’anno simbolo 1984. Il termine “onde elettromagnetiche” indicava l’insieme dei processi allora debuttanti della comunicazione digitale.
Oggi siamo al dualismo finale: chi decide lo stato di emergenza di ogni singolo individuo? Le pubbliche istituzioni o il miliardario di turno? Due domande che potrebbero essere un utile contributo per ridare identità e funzione a una nuova idea di sinistra.