“Non siamo in recessione”, garantisce coi suoi modi felpati il commissario europeo Paolo Gentiloni. “L’Europa, e soprattutto l’Italia, sono a rischio recessione”, ammonisce con un filo di concitazione – e un pizzico di credibilità in più – il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, entrambi a Cernobbio nei giorni scorsi per la consueta adunata dei mandarini dell’alta finanza e della politica. Alla ripresa dei lavori parlamentari, dopo gli ozi pugliesi, è questo lo scenario che si trova di fronte Giorgia Meloni, che deve stringere i tempi sulla legge di Bilancio.
Per arginare gli effetti della prevedibile “modestia” della manovra (“non si può fare tutto” è lo slogan-bandiera del ministro draghiano-leghista dell’Economia, Giancarlo Giorgetti) per ora la presidente del Consiglio sembra essersi preoccupata solo di preparare il terreno dal punto di vista della comunicazione, con l’ennesimo attacco alle misure economiche simbolo del Movimento 5 Stelle, in particolare sul superbonus edilizio, considerato sempre solo come un costo e mai per il suo impatto trainante sull’attività economica (quindi indirettamente a beneficio del fisco). Questo nonostante perfino il “Corriere della sera”, testata non ostile alla compagine governativa, abbia riconosciuto, in un recente articolo sul tema, che la politica dei bonus edilizi (non c’è solo il superbonus) ha avuto “un effetto positivo” sull’economia italiana.
La vicenda è, per così dire, appesa alle modalità con le quali Eurostat valuta e classifica la massa dei crediti in circolazione in conseguenza della misura di stimolo economico – ed è su questo che si gioca molto dello scontro propagandistico sul tema. “Terzogiornale”, a suo tempo, in più di una occasione (per esempio qui), aveva osservato che le autorità europee non avrebbero gradito la funzione di “moneta parallela” che il mercato dei crediti cedibili avrebbe esercitato. Resta un dato di fatto, tuttavia: l’elevato debito pubblico italiano è particolarmente esposto, in questa fase, per l’effetto combinato della politica dei tassi in salita della Bce e per l’abbandono della strategia del quantitative easing, il sostegno sul mercato dei titoli da parte della Banca centrale.
È interessante osservare, comunque, che a un anno dalla vittoria elettorale della coalizione di destra-centro la cabina di regia di palazzo Chigi ritiene ancora spendibile il messaggio “è colpa di quelli di prima”, tra l’altro con l’imbarazzo dovuto al fatto di dover risalire a due o tre governi fa, nascondendo il fatto che prima di Meloni è stato in carica Mario Draghi, sostenuto dagli alleati di Fratelli d’Italia (e non troppo duramente osteggiato neppure dall’attuale premier); e soprattutto dovendo giustificare ex post le numerose dichiarazioni contrarie allo smantellamento del superbonus, che le forze dell’attuale maggioranza, sotto la pressione delle imprese del comparto edilizia, si impegnarono a fare proprio all’epoca dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea. Ma la citata indicazione di Stiglitz sulla situazione economica comune dell’Europa, azzoppata da guerra, sanzioni, caro-energia e rallentamento dei rapporti e degli scambi commerciali con la Cina, suggerisce la debolezza della strategia propagandistica, che mira a cercare lo scontro con Conte per rilegittimare Meloni, come se invece che guidare il suo governo la presidente del Consiglio fosse ancora leader dell’opposizione di destra agli ultimi governi.
Per ora, in concreto, le anticipazioni sulla manovra dicono che ci sarà spazio forse per qualche piccolo “assaggio” di riforma fiscale (come potrebbe essere la detassazione delle tredicesime) e per la conferma dell’intervento sul cuneo fiscale. Gli interventi sulle buste paga, anche se modesti, hanno un peso rilevante in vista della scadenza elettorale delle europee. Ma si moltiplicano le notizie sulle condizioni sempre più difficili della sanità pubblica italiana, che avrebbe bisogno di interventi radicali (e costosi), anche solo per recuperare la situazione sempre più critica delle liste d’attesa in molte regioni.
In ogni caso, la definizione dei contenuti della legge di Bilancio dovrà passare attraverso i negoziati fra le forze alleate, che prevedono nelle prossime ore un confronto fra i leader di maggioranza alla ricerca di un punto di equilibrio. Sullo sfondo, restano le tensioni tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, i principali azionisti del governo Meloni, tutti già pronti sui blocchi di partenza della campagna elettorale per le europee. Con FdI che, informalmente, non esclude di potersi accodare in Europa a una maggioranza di grande coalizione come quella che ha eletto l’attuale presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, Salvini si candida a recitare il ruolo del custode dell’ortodossia della destra, alimenta mugugni sulla gestione dell’emergenza migranti avocata a sé da palazzo Chigi, e chiede “coerenza” all’alleata-rivale, tuonando contro i “veti” a danno della leader del Rassemblement National francese, Marine le Pen, provando a sua volta ad alzarne contro i socialisti. E con Forza Italia, per la prima volta orfana del padre fondatore Silvio Berlusconi, che dovrà tentare di sopravvivere al passaggio per le urne e potrebbe essere tentata di alimentare a sua volta tensioni e distinzioni. Nulla, tuttavia, al momento, autorizza nel breve periodo a coltivare scenari di crisi nella compagine che ha vinto le elezioni nel 2022. Almeno finora, la grande distanza nei consensi che separa FdI dagli alleati rende improbabili ipotesi di strappi sulla legge di Bilancio o sugli altri dossier che contano davvero.