Ha giurato il 3 settembre il generale Brice Oligui Nguema, alla testa di un colpo di Stato militare in Gabon che, forse, ha messo fine alla dinastia Bongo da oltre cinquant’anni al potere. Da questo punto di vista, quello in Gabon si distingue dal recente golpe in Niger e da quelli nei Paesi della fascia saheliana degli ultimi anni. Il passato coloniale francese è comunque il tratto comune a tutte queste vicende. Il colpo di Stato, guidato dal generale capo della guardia repubblicana, è avvenuto il 30 agosto, dopo che le elezioni del 27 si erano svolte nel caos e tra numerose irregolarità, come l’apertura con grande ritardo dei seggi elettorali e la mancanza di schede, senza contare l’assenza di osservatori internazionali indipendenti, africani o europei, di giornalisti stranieri e la sospensione della diffusione delle reti tv francofone internazionali (France 24, Rfi, Tv5 Monde).
Alla testa di una coalizione di forze di opposizione, Albert Ondo Ossa – principale concorrente del presidente in carica, Ali Bongo, che correva per il terzo mandato consecutivo – aveva denunciato ancora prima della chiusura dei seggi l’organizzazione della frode elettorale, ammonendo il clan al potere: “Se pensano di avere la guardia presidenziale al loro fianco si sbagliano”. Per tutta risposta, il governo aveva sospeso l’accesso a Internet, proclamando il coprifuoco per impedire manifestazioni e contestazioni. Era stato questo, del resto, lo scenario che si era presentato a ogni elezione di Ali Bongo, fin dalla prima nel 2009, con manifestazioni di protesta da una parte e una dura repressione dall’altra.
Il 30 mattina, immediatamente dopo l’annuncio della rielezione di Ali Bongo col 64% dei voti e un tasso di partecipazione del 57%, i militari hanno preso il potere presentandosi in televisione a nome di un “Comitato di transizione di restaurazione delle istituzioni”. La presa del potere è avvenuta senza spargimento di sangue e l’annuncio dei militari è stato salutato favorevolmente dalla popolazione: lo stesso generale Nguema era stato acclamato dalla folla il giorno prima. I militari hanno giustificato il loro intervento per la “grave crisi istituzionale, politica, economica e sociale” che attraversa il Paese, hanno denunciato l’irregolarità del voto e l’irresponsabilità della gestione del potere. Tutte le istituzioni sono state sciolte e l’ex presidente è stato messo agli arresti domiciliari, poi dichiarato ufficialmente “in pensione”.
La reazione sul piano diplomatico è stata molto misurata, anche da parte delle grandi potenze, Stati Uniti, Cina e Russia, tra un invito alla prudenza e l’annuncio di seguire attentamente gli sviluppi della situazione. La reazione più attesa è stata naturalmente quella francese. Parigi ha ufficialmente condannato il colpo di Stato, ma la sua presa di posizione è sembrata fin dall’inizio del tutto formale, guidata dalla prudenza e dal tentativo di restare neutrale nella disputa. La risposta più dura è venuta dall’Unione africana, che ha condannato la presa del potere da parte dei militari e ha sospeso la partecipazione del Gabon da tutti gli organi e da tutte le istanze dell’organizzazione panafricana.
I militari al potere si sono affrettati a mandare segnali rassicuranti. Hanno svolto un’intensa attività diplomatica incontrando le diverse rappresentanze accreditate a Libreville, gli imprenditori e i sindacati, e riaprendo tutte le frontiere quattro giorni dopo il golpe. Il generale Nguema ha parlato di transizione, ha denunciato la corruzione della famiglia Bongo – e soprattutto, al contrario dei militari golpisti nigerini e degli altri Paesi del Sahel, non ha inveito contro Parigi, né chiesto il ritiro delle sue truppe dal Paese, peraltro un piccolo contingente di quattrocento unità. Gli avvenimenti in Gabon impongono, però, alcune riflessioni, sia sulla politica francese in Africa sia sul futuro del Paese.
La Francia, ex potenza coloniale fino all’indipendenza nel 1960, è da sempre il Paese più influente. Parigi ha legato in maniera indiscutibile la sua politica a quella di Omar Bongo, l’uomo forte solo al comando, che ha diretto il Gabon col pugno di ferro dal 1967 al 2009. Il dispotismo, la violazione dei diritti umani, la corruzione sono stati assecondati da Parigi, ricevendone in cambio non solo un appoggio diplomatico nel continente, ma vantaggi economici nello sfruttamento delle risorse naturali, in particolare del petrolio. Alla morte di Omar Bongo, Parigi non ha esitato a sostenere la successione dinastica del figlio, Ali Bongo. La sua caduta al terzo mandato, dopo che nel 2018 aveva subito un ictus, che lo aveva allontanato per alcuni mesi dal Paese e fatto nascere dubbi sulla sua capacità a governare, impone alla Francia di rivedere l’intera sua politica in Africa. La perdita d’influenza nella regione del Sahel è dovuta al fallimento della sua presenza militare per contrastare il jihadismo, una presenza che ha finito per irritare i militari e scontentare la popolazione. In attesa di vedere che cosa significherà, per i regimi del Sahel, gettarsi nelle braccia della Russia e del gruppo Wagner, indebitandosi sempre più con la Cina, Parigi e i media francesi hanno cominciato a mettere in discussione la politica nei confronti dell’Africa: una riflessione che s’impone, del resto, a tutti i Paesi occidentali, Italia compresa, tra proclami di “piani Mattei” e chiusura delle frontiere.
L’incertezza regna tuttavia a Libreville. Il generale Nguema è lui stesso un membro del clan dei Bongo, cugino del presidente decaduto. Nel novembre 2020, una Ong americana contro la corruzione, nel denunciare gli affari della famiglia Bongo, aveva segnalato l’acquisto tra il 2015 e il 2018, da parte del generale, di tre proprietà immobiliari nei pressi di Washington per un valore di un milione di dollari pagati in contanti. Lui aveva rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti, dicendo: “Penso che sia in Francia sia negli Stati Uniti la vita privata dovrebbe essere rispettata”. La corruzione è del resto uno dei problemi più radicati: Transparency International nel suo “Indice della corruzione 2022” classifica il Gabon al 136° posto su 180 Paesi esaminati.
Il Gabon si era aperto al multipartitismo nel 1993, ma, come dimostrano le vicende della famiglia Bongo, l’alternanza al potere non è mai stata una possibilità concreta. L’opposizione è molto dispersa, e anche quando è riuscita a coalizzarsi ha poi trovato nei brogli elettorali una barriera insuperabile. Sarà indispensabile seguire l’annunciata transizione per capire come intendono muoversi i militari. Non sembrerebbe esistere una tradizione militare “democratica” tra le forze armate; e il generale Nguema non sembra certo muoversi sulla scia del capitano Thomas Sankara che, con il colpo di Stato dell’ottobre 1987, volle rendere il Burkina Faso il Paese degli uomini liberi, salvo poi essere assassinato dal suo braccio destro. L’oppositore uscito sconfitto dal voto, Albert Ondo Ossa, ha chiesto di essere proclamato presidente, al termine di un riconteggio delle schede elettorali, e ai militari di farsi da parte per tornare a un governo di civili. Ha poi avanzato l’ipotesi che il golpe possa essere stato voluto dallo stesso clan dei Bongo, consapevole di non potere reggere la situazione creata dall’ostinazione di Ali a restare al potere. Insomma, una semplice “rivoluzione di palazzo”. E non manca chi sospetta che la Francia abbia visto con favore la caduta di un personaggio legato a Parigi, ma diventato ormai impresentabile. Albert Ondo Ossa stesso afferma di avere avvisato Parigi che un colpo dei militari si stava preparando.