Spiega un magistrato napoletano interno alle cose della capitale: “La riforma Nordio? È come un babà messo al forno che alla fine non è cresciuto. Tanta fatica per nulla”. Al di là dell’irriverente paragone, l’intervento correttivo di Palazzo Chigi sulla minacciata abolizione del “concorso esterno in associazione mafiosa”, rende l’idea del guardasigilli Nordio, un’anatra zoppa. Sembra proprio che sia stato quanto mai tempestivo l’intervento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, magistrato di lungo corso, che appunto ha smentito che la riforma in cantiere preveda la modifica del reato del “concorso esterno”: checché ne dica Nordio, per il quale l’attuale formulazione “rende evanescente il reato”.
Sarebbe stato un affronto nel giorno in cui Simone Saporito – sindaco di un paesino calabrese, Petilia Policastro – ha fatto stampare un manifesto di cordoglio per la morte (suicidio) di un mafioso criminale, Rosario Curcio, uno dei killer di Lea Garofalo, la donna che si ribellò alla ’ndrangheta e per questo fu uccisa. Potremmo anche discutere sulla necessità di qualificare diversamente da oggi il reato che Carlo Nordio vorrebbe cancellare; ma proprio la storia di Petilia Policastro racconta quanto sia purtroppo – ancora oggi – contigua alla mafia una parte della società civile.
È soprattutto l’abolizione del reato dell’abuso d’ufficio che tiene banco nelle polemiche politiche. Diciamo che il mondo politico è diviso trasversalmente sulla ipotesi della riforma Nordio. Gran parte degli amministratori locali, anche del Pd, sono per l’abolizione. Uno dei più importanti penalisti italiani, Franco Coppi, storico difensore di Andreotti e dello stesso Berlusconi, ha invece criticato il ministro Nordio, perché con l’abolizione dell’abuso d’ufficio “i magistrati contesteranno agli indagati direttamente il reato di corruzione”.
Ora, dietro le quinte, sicuramente il Colle sta svolgendo un prezioso ed equilibrato ruolo di garanzia. Cosicché, sfogliando i petali della margherita, l’abolizione del reato di abuso d’ufficio non c’è più. Si dovrebbe procedere con una ulteriore “tipizzazione” del reato. Anche la volontà di affidare a un collegio di giudici la decisione di procedere con la custodia cautelare dell’indagato avrebbe di certo sollevato nei palazzi delle istituzioni rilievi per i “disservizi” che provocherebbe l’introduzione del collegio.
Il volere copiare da diversi sistemi giudiziari internazionali l’istituto dell’interrogatorio preventivo, per decidere sulla libertà personale dell’indagato, appare irragionevole, perché senza i necessari contrappesi si configurerebbe come istigazione alla latitanza.
Siamo ancora solo alle prime battute dell’opera omnia di Carlo Nordio. Nel Consiglio dei ministri del 15 giugno scorso, si discusse la prima delle tre tranche che compongono la riforma della giustizia. È annunciata anche la stretta sulle intercettazioni telefoniche, che hanno avuto una bella riforma dell’ex ministro guardasigilli Andrea Orlando, già una stretta importante, consentendo ai giornalisti di pubblicare solo quelle rilevanti ai fini del processo (depositando tutte le altre in un archivio segreto). Nordio vorrebbe invece ulteriormente limitarne la pubblicazione a quelle utilizzate in un provvedimento del giudice. Una scelta ritenuta molto penalizzante per il diritto di cronaca, tenendo conto che il giudice nella stragrande maggioranza dei casi utilizza per motivare un provvedimento solo una intercettazione rispetto alle diverse ritenute rilevanti nel processo.
E dunque come sarà la riforma della giustizia? Il timore è che la gestazione della riforma che, nella sua definizione, ha via via inserito delle modifiche importanti potrebbe risultare vana, perché nelle aule di Camera e Senato potrebbero essere presentati emendamenti che annullerebbero il lavoro di mediazione fatto in queste settimane. E il guastatore potrebbe essere Matteo Renzi.