“Quando c’era lui i treni arrivavano in orario”. Non stiamo parlando di Mussolini, ma stiamo solo immaginando che cosa potranno scrivere gli storici del futuro quando racconteranno i tempi del governo Meloni. Il ministro Salvini non perde un’occasione per dimostrare agli elettori (e agli storici) di essere più capace della sua premier di mettere a terra la politica dello “spezzeremo le reni”. In questo caso, nel caso degli scioperi dei treni e degli aerei, è incappato però in uno scivolone clamoroso, e anche dall’area del centrodestra e dei benpensanti, sempre pronti a lanciare strali contro scioperi e conflitti, si sono levate voci moderate contro la mezza precettazione. In molti hanno capito il carattere di propaganda elettorale della mossa di un ministro che, seppure informato da due mesi della proclamazione dello sciopero, non ha fatto nulla per tentare una conciliazione con i sindacati e per evitare, quindi, quei gravi disagi ai cittadini abbandonati sulle pensiline delle stazioni con temperature africane.
Altri commentatori, più esperti delle materie lavoristiche, hanno fatto presente l’anomalia di un ministro che interviene a gamba tesa, e all’ultimo momento, in una vertenza sindacale scavalcando la collega del dicastero del Lavoro, mentre si sarebbe dovuto occupare principalmente di strutture, infrastrutture e buona organizzazione. Non leggiamo da nessuna parte che al ministero delle Infrastrutture venga attribuita anche la funzione di regolazione dei conflitti sindacali. Qualche maligno sospetta che Matteo Salvini, quando ha capito che non sarebbe stato lui il premier, abbia voluto a tutti i costi la guida del ministero delle Infrastrutture per potersi esprimere al meglio nella sua battaglia contro i lavoratori e gli immigrati. Nelle infrastrutture vengono infatti comprese le linee ferroviarie, le stazioni e i porti, oltre alle strade e alle autostrade. Un’occasione d’oro per poter operare contro le Ong che soccorrono in mare gli immigrati, e per poter contrastare i fastidiosi ferrovieri che ci lasciano a piedi dagli anni Novanta del secolo scorso.
L’altra anomalia riguarda il fatto che il ministro è intervenuto solo dopo la segnalazione (anche questa fuori tempo massimo) della Commissione di garanzia che ha appena rinnovato il suo vertice di comando. Una commissione che, fino a qualche anno fa, era sulle prime pagine quasi ogni giorno per gli interventi su scioperi, normali, selvaggi, precettati, non considerati. Fino al 1990, cioè fino alla legge n.146, l’intervento regolativo dello Stato in materia di diritto di sciopero era stato alquanto circoscritto: per lungo tempo, l’unica norma che si occupava espressamente della tematica era l’art. 40 della Costituzione, il diritto di sciopero deve essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo disciplinano. Alla legge sulla regolamentazione del diritto di sciopero, nella vasta aerea dei servizi essenziali, la politica italiana era arrivata dopo anni di polemiche e di scontri tra due diritti: il diritto di sciopero in capo ai lavoratori e il diritto alla mobilità, in capo a tutti i cittadini. Tutti coloro che si sono occupati di questi temi sanno, però, che quella legge non ha mai disciplinato compiutamente le modalità di esercizio del diritto. La scelta del legislatore è stata quella di lasciare ampi margini alla contrattazione collettiva.
Ma Salvini, non potendo (almeno per ora) sostituire i ferrovieri con i militari, se n’è infischiato del ruolo dei sindacati e della contrattazione – per poter mandare un messaggio forte al proprio elettorato. Il ministro si è messo il cappello da capotreno, ma in realtà non aveva nessuna premura di far funzionare la macchina. L’importante era bloccare l’agitazione, senza entrare neppure nel merito delle questioni. Sul “Foglio”, che non ha mai adottato la testatina di “quotidiano comunista”, leggiamo una critica neppure poco velata: “(…) prenderla sul personale è un po’ abboccare all’amo. Il ministro dovrebbe mantenere un ruolo di indirizzo e di garanzia. Lo sciopero (che Salvini ha precettato) nasce da questioni contrattuali e di tutela della qualità del lavoro molto specifiche, anche differenziate per le due principali aziende del trasporto ferroviario in Italia. E lo stesso vale per le astensioni dal lavoro e le proteste nel settore aereo. Nulla a che fare con le agitazioni ricorrenti e generiche del trasporto pubblico locale, quelle tipiche di molti venerdì…”.
Che cosa incassa dunque Salvini? Altissime adesioni dei ferrovieri, con decine di cancellazioni tra i treni non garantiti e ritardi tra quelli che circolano. “I ferrovieri di Trenitalia e Italo hanno risposto in massa alla protesta indetta a seguito dell’incapacità di due aziende di chiudere due vertenze aperte da mesi – spiega una nota della Filt Cgil –, ma anche contro un’ordinanza vergognosa del ministero dei Trasporti che penalizza lavoratori e lavoratrici e osteggia pesantemente il diritto di sciopero previsto dalla Costituzione”.
L’ordinanza del ministro Salvini, tra l’altro, oltre a essere illegittima e sbagliata – precisano i sindacati dei trasporti – “ha creato più confusione e maggiori disagi, illudendo alla vigilia gli utenti che lo sciopero fosse revocato, e mandando in tilt il sistema della circolazione dei treni, visto che erano state già programmate le cancellazioni”. L’altro bel risultato che Salvini incassa è un ricorso al Tar, il Tribunale amministrativo regionale, a nome della Cgil, come ha fatto sapere in una intervista al Tg3 il segretario generale, Maurizio Landini.
Chissà se alla fine questa storia non porti un beneficio reale all’Italia. Che crei cioè i presupposti di una nuova alleanza tra lavoratori e cittadini per superare, nell’epoca della rivoluzione digitale e dell’avvento dell’intelligenza artificiale, un’antica, strumentale, contrapposizione di interessi.