L’ultima spiaggia. Forse è esagerato evocare il film di Stanely Kramer, dove gli umani si preparano a vivere gli ultimi momenti della propria esistenza prima dell’apocalisse. Ma di sicuro le elezioni anticipate in Spagna del prossimo 23 luglio, per il rinnovo delle Corti generali, il parlamento bicamerale, rischiano di trasformarsi, in caso di sconfitta, nell’ultimo atto di una sinistra europea in piena crisi, spazzata via da un pericoloso vento di destra e di estrema destra, che da noi ha già trovato piena cittadinanza. A Madrid e dintorni, i popolari di Alberto Núñez Feijóo sono ancora favoriti dopo la netta vittoria delle amministrative dello scorso 28 maggio (vedi qui), ma le cose stanno cambiando: i sondaggi danno in rimonta i socialisti e la nuova formazione di sinistra Sumar (“Aggregare”) che ha inglobato Podemos. Il Partito popolare sarebbe al 31,3%, i socialisti al 29,5, Vox al 14,8, e Sumar, che inverte la rotta al ribasso, al 13,4. Insomma, un testa a testa.
Ricordiamo che dopo il precedente risultato negativo il premier Pedro Sánchez decise, com’è sua prerogativa, di sciogliere le camere e chiamare alle urne gli spagnoli e le spagnole, lanciando così una sfida al Paese dall’alto di un buon governo, che ha lavorato bene soprattutto sui temi dell’occupazione e della precarietà. Senza mezzi termini, il leader socialista ha affermato che è in gioco non tanto una semplice alternanza di governo ma la “tenuta della democrazia”. Anche in questo caso, l’affermazione può apparire esagerata. In fondo, nella storia della Spagna democratica postfranchista, destra e sinistra si sono già alternate al governo. Ma ora la posta in palio è diversa. Qualora vincesse il Pp, e se questo fosse costretto a ricorrere all’alleanza con i neofranchisti di Vox, tanto cari a Giorgia Meloni, lo scenario sarebbe per la sinistra europea appunto da “ultima spiaggia”, con un recupero e una rifondazione rinviate a tempi lontanissimi.
Proprio l’alleanza con i neofranchisti è il punto debole per i popolari, che vorrebbero, in caso di vittoria, fare a meno del loro sostegno: ipotesi, questa, poco verosimile. Allo stato attuale delle cose, il Pp prenderebbe 169 seggi, insufficienti per governare da soli. Il tema Vox è utilizzato da Sánchez per screditare gli avversari. In un’intervista rilasciata al quotidiano online “Eldiario.es”, il leader socialista aveva già messo in guardia l’elettorato sui gravi rischi che correrebbe la democrazia spagnola in caso di vittoria della destra. Una deriva che va contrastata “con il voto maggioritario della sinistra, del centro e anche delle persone di destra”.
La linea di Feijóo è invece tesa a tranquillizzare l’elettorato moderato, ma non si può dire altrettanto per il leader di Vox, Santiago Abascal, Numerose sono le criticità democratiche del suo programma. Intanto, sono stati registrati diversi episodi di censura su determinate iniziative culturali, teatrali o letterarie. Come riporta il quotidiano “il manifesto”, interrogato su questo tema, Abascal ha risposto che “laddove avremo le competenze sulla cultura, faremo quello che ci pare, e cioè che bisogna fare cultura secondo interessi e gusti degli spagnoli”. I risultati di questa affermazione sono stati sconcertanti: un’opera di Virginia Woolf sull’omosessualità è stata proibita, censurato l’ultimo film di animazione di Buzz Lightyear per il bacio tra due donne. Un’opera teatrale che rendeva omaggio a un repubblicano è stata cancellata, mentre è stata contestata apertamente un’opera di teatro di Lope de Vega. Insomma, un oscurantismo più preoccupante di quello espresso da Meloni e colleghi.
Come Fratelli d’Italia, Vox promette interventi duri contro l’immigrazione, come il famoso “blocco navale” per fermare gli sbarchi, che il nostro governo non è poi mai riuscito a mettere in pratica. Non mancano attacchi al diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, all’eutanasia, ai diritti delle persone trans e Lgtbqi+, e prese di distanza dalla violenza di genere, dal cambiamento climatico, dalla “memoria democratica”. Delirante l’idea di rendere illegali partiti e associazioni indipendentisti e di svuotare di competenze le comunità autonome, che in precedenza Vox voleva addirittura cancellare. Vox, inoltre, è liberista sul fronte economico, e non poteva essere diversamente, con il taglio delle tasse ai grandi patrimoni e la drastica riduzione della progressività fiscale.
Ce n’è abbastanza per denunciare l’attacco alla democrazia. Sánchez, al cui fianco è sceso in campo l’ex primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero, ha così intensificato la sua campagna elettorale. Come sfida, si è fatto intervistare dalle principali televisioni che durante la precedente campagna elettorale lo avevano continuamente attaccato. Il giovane leader ha fatto appello a tutta la Spagna, rurale e urbana; ha promesso lezioni universitarie gratuite per chi supera gli esami al primo tentativo, e il trasporto pubblico urbano gratuito per gli studenti fino a 24 anni. Misure comunque costose, in un contesto delicato come quello spagnolo, ma per la verità in buona compagnia nel vecchio continente.
Come dicevamo, dal canto suo Feijóo ha chiesto agli elettori e alle elettrici di dargli la possibilità di governare da solo, facendo così a meno dei neofranchisti, i quali però, qualora fosse necessario il loro sostegno per governare, lo faranno pagare profumatamente. Mezza Spagna, infatti, è già governata da alleanze tra la destra e l’estrema destra. Alle scorse amministrative sono stati ben cento gli accordi firmati tra le due formazioni politiche, sia nei municipi sia nel governo delle tre comunità autonome in mano alle destre, con un programma che dava più spazio alle idee degli estremisti rispetto a quelle dei popolari. Ma un conto è il governo locale, un altro quello nazionale.
Sumar, il cui risultato sarà determinante per la vittoria della sinistra, contende a Vox il terzo posto. La brillante ministra del Lavoro, la comunista Yolanda Díaz, ideatrice appunto della nuova alleanza di sinistra, ha conseguito importanti risultati in termini di lotta alla precarietà e aumento dell’occupazione. Grazie alla riforma del lavoro, oltre venti milioni di persone lavorano con contratti spesso a tempo indeterminato, mentre il salario minimo – obiettivo che qui da noi appare da tempo irraggiungibile, per ragioni diverse che esulano dalla presenza della destra al governo – è passato dai 735 euro mensili del 2018 ai 1080 euro del 2023. Una politica che ha suscitato le ovvie proteste della Ceoe (Confederación española de organizaciones empresariales), la Confindustria spagnola.
La Spagna sarebbe così il secondo tra i Paesi Ocse ad aver aumentato del 36% questo parametro decisivo per combattere le condizioni dei cosiddetti working poors. Come recita la testata online “Europatoday”, le scelte di Madrid “sono in linea con quelle di altri Paesi Ue: la Germania aumenterà il salario minimo del 15%, i Paesi Bassi del 10,1%, Il Portogallo dell’8,7% e la Francia del 6,6%. L’Italia è invece uno dei pochi Paesi europei a non aver ancora introdotto un salario minimo per legge”. Di fronte a queste conquiste, una vittoria della destra sarebbe determinata solo o quasi da quel vento destroide e neofascista che scuote il continente. Insomma, una specie di “moda” politica e culturale, che ovviamente in alcuni Paesi, in primo luogo l’Italia, ha delle ragioni più pregnanti. E fare a meno del governo più a sinistra, nella storia recente europea, sarebbe appunto un’apocalisse che non lascia ben sperare per le europee del prossimo anno.