Quando nel 2019 il senatore a vita Mario Monti, non rimpianto presidente del Consiglio portabandiera del “risanamento” e delle politiche di austerità imposte dalle autorità europee, elogiava maliziosamente nell’aula di palazzo Madama “il grande contributo che l’onorevole Giorgetti più di ogni altro, come presidente della commissione Bilancio della Camera, diede alla riforma costituzionale sul pareggio di bilancio”, il governo in carica era il Conte 2 a trazione 5 Stelle-Pd. E la Lega di Matteo Salvini era – insieme agli alleati-rivali di Fratelli d’Italia, guidati da Giorgia Meloni – in prima linea nella contestazione all’attuale leader pentastellato sul tema della riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, sul quale l’allora capo dell’esecutivo era accusato un giorno sì e uno no di avere tradito gli interessi nazionali “con il favore delle tenebre”. Conte, dopo un lungo negoziato iniziato già all’epoca del governo gialloverde, siglò poi la riforma del Mes poco prima di essere sostituito da Mario Draghi, all’inizio del 2021. Con il suo elogio non richiesto da Giorgetti, oggi ministro dell’Economia nel governo Meloni e gran sacerdote della continuità draghiana, Monti smascherava la quota non marginale di propaganda e di “teatro” contenuta nella retorica anti-Unione delle destre. Non è un caso che sia stato proprio Giorgetti, attraverso il parere positivo sul Mes compitato dal suo capo di gabinetto per il parlamento, a togliere la maschera da underdog (per citare la definizione che Giorgia Meloni ha dato di se stessa) al governo di destra-centro.
Il teatro non ha chiuso i battenti
La notizia però è che il teatro che Monti si divertiva a sbertucciare non ha chiuso i battenti e che anche in queste ultime settimane abbiamo assistito alle repliche dello show delle destre patriottiche contrapposte ai progressisti (veri o presunti) che invece sarebbero legati al carro europeo. Mercoledì prossimo alla Camera si voterà sulla richiesta di sospensiva di quattro mesi avanzata dalle forze di maggioranza sulla ratifica della riforma del Mes, sulla quale spingono, manco a dirlo, Pd e neocentristi di Italia viva, che su certi temi viaggiano di conserva, con rare eccezioni. A proposito di spettacolo, ha fatto rumore il voto della commissione Esteri di Montecitorio (che ha preceduto il confronto in aula) in assenza dei deputati del destra-centro: “Aventino di maggioranza”, un caso più unico che raro nella memoria dei cronisti parlamentari. Tutte queste complesse manovre hanno origine dalla competizione interna alla maggioranza.
In particolare, il leader della Lega Matteo Salvini – che ha perfino lanciato l’idea di un patto unitario che metta insieme tutte le destre europee, dai popolari tedeschi alle forze nazionaliste o variamente neo o postfasciste – ambisce a recuperare qualche punto percentuale nelle elezioni europee del 2024, dopo la vittoria nelle politiche segnata dal fiato corto del Carroccio e di Forza Italia e dall’egemonia di Fratelli d’Italia. Lui dice di essere “d’accordo” con la presidente del Consiglio sul fatto che il Mes “non sia uno strumento utile in questo momento”, mentre a titolo personale aggiunge: “Io penso non ci serva neanche in futuro”. Tradotto: la Lega potrebbe opporsi alla ratifica anche fra qualche mese, benché l’ok al rinnovo del trattato non obblighi nessuno a servirsi del malfamato strumento, ideato all’epoca del “salvataggio” europeo che inferse un durissimo colpo all’economia e alla società greca nei primi anni dieci di questo secolo. Non è un segreto, però, che in altri settori della coalizione (vedi Forza Italia e altre frattaglie moderate) il sì alla riforma del Mes non sia visto affatto come un tabù.
Non è l’anticamera di una crisi
A tagliar corto ci ha pensato Giorgia Meloni intervistata dal “Corriere della sera”, ricordando il negoziato in corso per la modifica del Patto di stabilità (ne abbiamo parlato in precedenza qui) e il completamento dell’unione bancaria: “Questi strumenti vanno visti insieme. Chi oggi chiede la ratifica non sta facendo l’interesse italiano”. Oggi. Domani – è l’avvertimento fra le righe di Meloni – deciderò io, magari quando potrò sbandierare un successo, più o meno concreto, sul Patto di stabilità. Alla fine, gli alleati lasceranno volentieri a lei l’onere del voltafaccia: nessuno, oggi, nei corridoi parlamentari, si spinge a ipotizzare una crisi di governo sul Mes. Che, del resto, secondo quanto documentano i sondaggi, è argomento ignoto a un italiano su tre: quota che sale oltre la metà se il campione interpellato lo si limita a chi di norma si astiene alle elezioni o non ha un’appartenenza politica definita.
La strada della normalizzazione
In definitiva, il Mes non sarà che una nuova tappa della “normalizzazione” della destra italiana. Un processo che un recente reportage del “Guardian” considera in corso in tutta Europa. Dietro l’ondata montante delle destre “c’è anche un processo bidirezionale di normalizzazione: mentre il centrodestra adotta sempre più i punti di discussione dell’estrema destra e si apre agli accordi, i partiti intelligenti di estrema destra moderano alcune delle loro opinioni più repellenti per gli elettori”. Quindi – osserva il quotidiano britannico – “dall’Italia alla Finlandia, gran parte del centrodestra europeo è intransigente sull’immigrazione quanto l’estrema destra, mentre i partiti di estrema destra sono impegnati a pianificare disciplina economica, ridimensionando l’euroscetticismo e minimizzando il passato sostegno alla Russia”.
E Meloni? “La sua strategia si è concentrata sulla normalizzazione – ortodossia economica, sostegno all’Ucraina, buoni rapporti con Bruxelles – mentre continua silenziosamente la sua guerra culturale in patria”, come ben sa chi da noi si occupa di scuola, cultura, famiglia, diritti, informazione. In questo quadro così stravolto a livello continentale, difficile immaginare che possano essere le schermaglie fra Giorgetti, Salvini e altri sul Mes a gettare ombre sulla prosecuzione dell’esperienza dell’attuale governo.