Il fiume di soldi del Recovery Plan all’interno del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, potrebbe essere l’occasione che si attendeva da anni per rilanciare i progetti di risanamento urbanistico della grande periferia. Il condizionale però è d’obbligo, perché sulla carta le risorse messe a disposizione della città sono tante, visto che solo tra Pnrr (finanziato con il fondo Next generation Eu (Ngeu) e fondo nazionale complementare (legato al Pnrr) si parla di almeno cinquecento milioni di euro. Intervenendo in Commissione speciale Pnrr, il sindaco Roberto Gualtieri aveva fornito la cifra complessiva di un miliardo e 431 milioni. Per quanto riguarda le periferie, sono stati messi a punto cinque Piani urbani integrati per un totale di 330 milioni di euro (con particolare attenzione alle biblioteche e il recupero del complesso monumentale dell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà) a fianco ai tre progetti innovativi per la qualità dell’abitare (Pinqua) per quaranta milioni di euro e nove interventi per la riduzione di emarginazione e degrado, con un costo di dieci milioni. Ma a parte la chiarezza definitiva sulle cifre, le incognite da sciogliere per la concreta attuazione dei progetti, e soprattutto per la equa e bilanciata distribuzione delle risorse tra centro e periferia, sono ancora tante, legate prima di tutto alla capacità tecnica e politica dell’amministrazione comunale di rendere operativi i tanti progetti approvati e alla sua capacità di fare da tramite tra le politiche nazionali e le reali esigenze dei cittadini che sul territorio ci vivono, in una città che ogni giorno è alle prese con problemi antichi: dal traffico allo smaltimento dei rifiuti, passando per l’emergenza mai risolta del diritto all’abitazione per migliaia di famiglie.
Roma centro addio
Il primo elemento da tenere in considerazione riguarda la grande mutazione sociale e demografica della capitale. I fenomeni si sommano e sovrappongono. Da una parte, l’invecchiamento della popolazione che segue le dinamiche nazionali; dall’altro, il progressivo svuotamento del centro a favore di una periferia che ormai è la vera città. “Lo sviluppo urbano di Roma – scrive il professor Carlo Cellamare, docente di Urbanistica all’Università la Sapienza nel libro Fuori Raccordo – è stato fortemente caratterizzato, dal dopoguerra a oggi, dalla crescita delle sue periferie, sia quelle pianificate sia quelle abusive, e anche quelle prodotte dalla speculazione. Sebbene la dicotomia centro-periferia non sia più valida in senso stretto, permane una condizione di perifericità (e quindi di marginalità) di molti territori della città di Roma. La periferia è la parte prevalente della città. Si potrebbe dire che Roma è la sua periferia”. La grandezza del territorio del Comune di Roma vanta il record europeo dell’estensione delle metropoli con i suoi 1290 chilometri quadrati. Ma la distribuzione della popolazione e la conformazione urbanistica hanno subito profonde trasformazioni negli ultimi anni. Dei circa tre milioni di abitanti, una esigua minoranza abita nei palazzi di un centro che è sempre più dedicato al turismo di lusso. Al centro di Roma i residenti effettivi sono poco più di 150mila (la metà dei numeri medi di altri municipi). Si calcola che un milione di romani vivono in appartamenti all’interno dell’anello ferroviario. Un altro milione fuori dall’anello e altre 800mila persone fuori dal Raccordo Anulare. Praticamente il centro, come l’avevamo conosciuto nella storia della capitale, non esiste più. Roma è la sua periferia e i centri si sono moltiplicati. L’esodo verso le zone fuori dal Raccordo riguarda sia le famiglie che non possono permettersi di acquistare casa a Roma, sia quelle di ceto medio o medio-alto, che cercano una qualità della vita che la grande città non può offrire dal punto di vista del contatto con la natura e i tempi di vita. In questa popolazione, che emigra verso nord o verso sud, ci sono ovviamente anche migliaia di immigrati che aumentato le quote di pendolarismo con la capitale.
L’occasione per ridisegnare la città
I progetti Pinqua per la cosiddetta rigenerazione urbana (generalmente orientata alla valorizzazione immobiliare) sono tanti, ma sono legati soprattutto alla riqualificazione fisica, ci spiega il professor Carlo Cellamare, che oltre a insegnare Urbanistica presso La Sapienza di Roma, è direttore del Laboratorio di studi urbani Territori dell’abitare e della rivista “Tracce Urbane”. Si tratta, per lo più, di importanti finanziamenti pubblici per opere, mentre ha un ruolo molto minore l’intervento complessivo nel sociale. Si tratterebbe invece di tenere conto della molteplicità dei centri che caratterizza il profilo attuale di quella che molti studiosi cominciano a chiamare la “postmetropoli”. In questo contesto, la grande scommessa riguarda la realizzazione dei progetti e il relativo ripensamento sulla reale qualità della vita e dell’abitare. Si tratta, insomma, di non ripetere gli errori del passato con la costruzione di cattedrali nel deserto (come le opere per gli eventi sportivi mai portati a termine) o la realizzazione di grandi centri commerciali (come quello di Porta di Roma), che sono rimasti appesi in un territorio senza servizi adeguati e soprattutto senza strutture di partecipazione dei cittadini, fenomeni che hanno fatto parlare di “non luoghi”, seppure visitati da milioni di visitatori-consumatori (Porta di Roma ormai è più visitata del Colosseo). “Noi pensiamo invece a veri e propri poli integrati – dice ancora Cellamare –, poli civici basati sulla centralità delle situazioni locali e sulle tante esperienze di autorganizzazione che si sono sviluppate negli ultimi anni”. I progetti del Pnrr avranno dunque successo se svilupperanno forme di nuova collaborazione, “nuova alleanza” tra le politiche pubbliche e le forme di organizzazione popolare, dai comitati di quartiere alle associazioni della società civile.
Il Pinqua di Tor Bella Monaca
A proposito di periferia romana (quella all’interno dell’anello) sono in ballo tre progetti di fattibilità tecnico-economica che riguardano la rigenerazione urbana del comparto R5 a Tor Bella Monaca, insieme alla realizzazione di un nuovo edificio residenziale in via di Cardinal Capranica e il recupero della caserma dismessa in via del Porto Fluviale. Il progetto relativo a Tor Bella Monaca si estende su un’area di circa 5,4 ettari e prevede la riqualificazione di 416 alloggi, la costruzione di venti unità abitative e la realizzazione di oltre 4.600 metri quadrati di spazi pubblici, inclusa una nuova pista ciclabile. Il finanziamento complessivo è di ventinove milioni di euro (quattordici attraverso un co-finanziamento di Roma Capitale). Le attese sono tante, ma c’è anche un certo scetticismo da parte degli abitanti dei quartieri periferici, che sono stati abituati nella storia a fare i conti con la solitudine e la lontananza dello Stato. “L’arrivo dei soldi del Pnrr e dei finanziamenti europei viene preso con le molle – ci racconta Emiliano Sbaraglia, giornalista e professore di italiano, storia e geografia in una scuola di Tor Bella Monaca –, c’è un progetto specifico per via dell’Archeologia, un luogo che ha bisogno estremo di interventi di manutenzione e di controllo del territorio vista la presenza di una onnipresente piccola criminalità dello spaccio. Finora gli interventi previsti legati a finanziamenti pubblici sembrano destinati soltanto ad abbellimenti estetici della strada e a lavori minori. Ma l’occasione è troppo importante per sprecarla con qualche piccolo intervento di manutenzione”. Nei palazzoni del quartiere di Tor Bella Monaca, racconta ancora Sbaraglia, gli abitanti subiscono il problema dei guasti continui agli ascensori. Non si tratta però di un problema tecnico, ma di manifestazioni dell’azione degli spacciatori che sono arrivati perfino a controllare gli ascensori e a fermarli o farli ripartire secondo le necessità del momento dello spaccio.
Per capire davvero i problemi di quartieri periferici, come Tor Bella Monaca, non basta qualche visita estemporanea o qualche rapido reportage. “Si tratta di vivere con queste persone che sono ricattate da una minoranza violenta e a me – dice ancora Sbaraglia – non sono bastati dieci anni di insegnamento per capire davvero a fondo i problemi. Ora, per ragioni professionali, dovrò lasciare quella scuola, ed emotivamente non è affatto facile concludere questa esperienza. Quello che ho capito? Una cosa molto semplice: non basta fare bene il proprio mestiere nelle ore di didattica. Devi trovare gli strumenti adeguati, oltre l’orario normale, per coinvolgere i ragazzi anche nel pomeriggio, provando a trasmettere loro i valori della convivenza civile e della cultura. Mi pare l’unico modo per essere più forti degli spacciatori”.
Gli altri quartieri
Le analisi delle situazioni della periferia romana si possono estendere a tanti altri quartieri che sono oggetto dell’attenzione del Pnrr. In molte zone della capitale si registra, da qualche anno, un nuovo protagonismo civile. Ci sono esperienze di autorganizzazione, di vera e propria resistenza civile, di dialogo con le istituzioni locali municipali. Qualche studioso (tra cui lo stesso Cellamare) ha parlato di città “fai da te”, con i suoi aspetti negativi e positivi che convivono. Un altro esempio, oltre quello di Tor Bella Monaca, è il Quarticciolo dove si sono sviluppate varie esperienze di autofinanziamento per affrontare le necessità più impellenti. Altro esempio è quello di Pietralata, la zona che è stata indicata e su cui si sta lavorando per il progetto del nuovo stadio della Roma (ne parleremo in una prossima puntata dell’inchiesta). Nel quartiere esiste un campetto di calcio storico che era appartenuto ad una società dilettantesca molto conosciuta a Roma negli anni passati: l’Albarossa. Dal 2010 il campo è gestito dall’associazione Liberi Nantes che ha riattivato il sito che risultava abbandonato da una quindicina d’anni, tramite finanziamenti reperiti dalla stessa associazione. Intorno al campo ora girano molte attività oltre il calcio, che coinvolgono le famiglie del quartiere e decine di migranti residenti (c’è una squadra molto conosciuta in città). Ma dal 2010, nonostante molte interlocuzioni con l’amministrazione pubblica regionale, non si è mai arrivati a un progetto di riqualificazione condiviso, nonostante il fatto che lo spazio sia di proprietà pubblica (regionale). Un altro esempio di rapporto pubblico-privato, che si ripete anche in altre zone di Roma. Una delle questioni in ballo, in epoca Pnrr, ritorna dunque a essere quella del rapporto tra capitali privati e capitali pubblici, tra impresa (di vario genere) e amministrazione. Un tema molto caro a un altro grande esperto dei problemi di Roma, Giovanni Caudo, promotore e consigliere comunale di Roma Futura, ex presidente del III Municipio (Montesacro), e oggi presidente della Commissione speciale Pnrr, nonché docente di Urbanistica a Roma Tre. “Nel primo decennio del Ventunesimo secolo – scrive Caudo in uno dei saggi di Fuori Raccordo – Roma ha conosciuto grandi investimenti, ma per lo più pubblici e attivati con poteri commissariali. Penso alla Città dello sport di Calatrava realizzata a Tor Vergata, alle piscine dei Mondiali di nuoto, al Nuovo centro congressi dell’Eur (la cosiddetta Nuvola) e ai lavori della Metro C. Nel complesso si tratta di quasi dieci miliardi di finanziamenti pubblici, ma nessuna di queste opere è stata ultimata. Soldi pubblici, per lo più sprecati. Le ragioni del futuro devono riuscire ad aprire Roma agli investitori privati, bisogna affrancarsi dal passato e dal modello della cosiddetta rendita capitale. Se le ragioni del Novecento spingevano verso la rappresentazione di una città in espansione, correlata al modello di mercato industriale e postindustriale, oggi la città è lo spazio della dislocazione: non ci sono più un interno e un esterno, non più centro e periferia. La città ci è restituita come un territorio abitato nella sua intera estensione dove la trasformazione avviene con un modello di azione fondato sulla ciclicità dei processi secondo la metafora del metabolismo urbano e sociale”.
Zerocalcare sotto i portici
Il nuovo attivismo e la voglia di partecipazione sembrano contagiosi. Nella zona di Montesacro sta crescendo, per esempio, l’attività di alcune associazioni e comitati che vogliono rivitalizzare i portici di Via Monte Cervialto. Dal 4 all’8 luglio, la Cooperativa sociale Parsec, insieme a Periferiacapitale, Astracult, centro sociale Brancaleone e Municipio Roma III, ha organizzato un Festival dei portici per attirare l’attenzione su un fenomeno che si trascina da anni. Trentadue serrande, quasi tutte deserte e abbandonate, migliaia di metri quadrati di spazio pubblico abbandonato tra i condomini ex Inpdai di via Monte Cervialto nel quartiere Nuovo Salario. “Un patrimonio che cittadine e cittadini sono stanchi di vedere abbandonato, e si sono organizzati per valorizzarlo”, dicono i promotori del Festival di quartiere. “Da questa battaglia – raccontano – è nato il Comitato I Portici di Monte Cervialto, che oggi presenta un’importante iniziativa culturale per trasformare in una piazza e in uno spazio di incontro, un’area altrimenti spenta e buia”. In programma per il 4 luglio la partecipazione di Zerocalcare, mentre il 7 luglio sotto i portici si farà vedere il regista Matteo Garrone che presenterà il suo “Reality”.
(5. continua. Le precedenti puntate sono del primo, 6, 13 e 20 giugno)
Nella foto: la caserma dismessa di via del Porto Fluviale