Martedì 20 giugno decine di migliaia di persone hanno preso parte (a Bogotà, Cali, Medellín, Barranquilla, Bucaramanga, Cúcuta e in altre città colombiane) a quella che è stata battezzata la marcha de la mayoría, una manifestazione contro le riforme sociali di Gustavo Petro. La protesta è avvenuta due settimane dopo la mobilitazione che Petro aveva chiesto ai suoi sostenitori, chiamati in piazza per sostenerlo e contrastare quello che il presidente ha definito un golpe blando, messo in atto dalle forze conservatrici del Paese. Stando ai numeri, e per quello che il fatto può significare negli equilibri politici complessivi, un’opposizione ancora senza una leadership pare essere riuscita a mobilitare più gente di quella scesa in piazza a sostegno di Petro.
Nei primi mesi del suo mandato, il presidente era partito col piede giusto, avviando un progetto di “pace totale”, che lo aveva portato a riaprire il dialogo con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e con i dissidenti delle Farc, per arrivare a una fine delle ostilità. Ultimamente, con l’Eln si era persino giunti alla firma, all’Avana, di una tregua delle armi della durata di sei mesi a partire da agosto. Altro passo cruciale la ripresa delle relazioni con il Venezuela, che aveva portato alla riapertura del confine tra i due Paesi e allo scambio degli ambasciatori. Ancora un successo, infine, era stata l’approvazione della riforma fiscale, che prevede di raccogliere circa venti trilioni di pesos nel primo anno, per raggiungere poi i cinquanta trilioni da investire nella spesa sociale. Di certo, uno dei principali risultati del governo.
Con l’andare del tempo, però, Petro non è riuscito ad assicurarsi un sostegno sufficiente per far passare i suoi altri progetti di riforma. Un sondaggio del 2 giugno, da parte dell’istituto Invamer, ha rivelato che la sua popolarità ha toccato il punto più basso dall’inizio del mandato, con un’approvazione del 33,8% e una disapprovazione del 59,4%. Infine, nelle ultime settimane le difficoltà che il governo è andato incontrando, unite ad alcuni scandali e alla sostanziale incapacità di procedere nell’azione riformatrice, hanno fatto traballare la maggioranza. Degli ultimi giorni, è il rinvio dell’importante progetto di riforma del lavoro, archiviato in quanto il dibattito parlamentare previsto non è avvenuto per mancanza del quorum. Uno smacco per l’esecutivo, che dovrà ora attendere il prossimo semestre per ripresentarlo ma con modifiche; mentre rimangono ancora in fase di progetto la riforma sanitaria e quella delle pensioni. Quando era stata presentata, il 13 febbraio, la riforma sanitaria aveva generato molte polemiche, anche se rimane un obiettivo importante, grazie al quale portare l’assistenza medica in tutto il territorio, rafforzando la prevenzione delle malattie e superando le lacune di una sanità, già messa in ginocchio dal Covid, non in grado di raggiungere le regioni più isolate del Paese sprovviste di centri medici, di materiale sanitario e di professionisti. Secondo il giudizio dell’opposizione, il sistema voluto da Petro non sarebbe in grado, invece, di sostenersi economicamente, generando problemi alla tenuta dei conti.
Al potere da meno di un anno, Petro con il ricorso alla piazza ha di fatto sancito la fine del periodo in cui aveva privilegiato quell’approccio dialogante con l’opposizione che aveva caratterizzato gli inizi del suo mandato, assicurandogli un sostegno diffuso e attirando sulla Colombia l’attenzione mondiale dei media. Il presidente non ha una maggioranza al Senato, e dipende dai liberali alla Camera dei rappresentanti. Il mese scorso, il Partito dell’Unione per il popolo ha lasciato la maggioranza e si è dichiarato indipendente. Una decisione che avevano già preso i conservatori qualche settimana prima, con il risultato di rendere ancora più arduo per Petro andare avanti con le riforme.
Di fronte alle difficoltà di coagulare a livello parlamentare maggioranze che gli consentano di procedere sulla via delle riforme per le quali è stato eletto, Petro ha scelto di far ricadere le colpe dell’impasse dell’azione di governo sull’opposizione di destra, di cui si dichiara vittima, dato che il rischio a questo punto è quello di deludere le aspettative dei suoi sostenitori. Il passaggio alla nuova fase, che accentua il carattere “attivista” della sua linea politica, è fornito dalla cartina di tornasole della radicalizzazione vissuta dal Paese, a cui il presidente ha ceduto dopo avere promosso un rimpasto del suo gabinetto, con la rinuncia alla carica da parte di alcuni esponenti moderati, accusati di non avere fatto abbastanza per l’approvazione delle riforme in programma. Il ricorso alla mobilitazione popolare nasce dalla convinzione che le riforme siano destinate a fallire se non godono del sostegno della gente: solo elemento che possa alimentare la speranza che un parlamento, in cui il governo progressista non ha la maggioranza, sia coinvolto nel processo riformatore.
Il governo del primo presidente di sinistra della Colombia vive inoltre una complessa crisi scatenata da uno scandalo che coinvolge due membri chiave della cerchia ristretta del presidente: il suo capo di gabinetto, Laura Sarabia, e l’ambasciatore colombiano in Venezuela, Armando Benedetti, che era stato il responsabile della campagna elettorale di Petro. Sia Sarabia sia Benedetti sono stati licenziati da Petro dopo che l’ufficio del procuratore generale ha avviato un’indagine sul loro operato. All’origine dello scandalo, alcuni articoli pubblicati dalla rivista “Semana”, che riportano un’intercettazione in cui l’ex ambasciatore minaccia di rivelare un presunto finanziamento illegale di 3,4 milioni di dollari a sostegno della campagna di Petro. Per il momento, non ci sono prove accertate, e Benedetti sostiene che la registrazione sia stata manipolata. La magistratura colombiana ha comunque annunciato che avvierà un’indagine sul finanziamento della campagna presidenziale. Quanto al presidente, ha negato che qualsiasi membro della sua amministrazione abbia ordinato intercettazioni illegali, o accettato fondi della campagna da fonti illecite. Ma, in attesa di sapere se quanto pubblicato da “Semana” corrisponde a verità o meno, lo scandalo è arrivato nel momento peggiore per Petro. In più, recentemente, il colonnello della polizia Óscar Dávila, a cui era stata assegnata l’indagine sulle intercettazioni illegali pubblicate da “Semana”, è stato trovato morto. Si tratterebbe di un suicidio, secondo quanto appurato dalla procura. Ma tutto ciò ha contribuito a indebolire la legittimità di Petro, rendendo il lavoro del governo più difficile.
Gli effetti di questa complessa crisi non hanno tardato a farsi sentire, rendendo incerta ancor più la prospettiva dei tre anni di governo che restano alla fine del mandato presidenziale. Petro dovrà uscire dall’impasse senza farsi cuocere a fuoco lento, e realizzare le riforme che i suoi sostenitori si aspettano. Intanto, una conseguenza immediata dello scandalo è stata l’interruzione dei dibattiti programmati sulle riforme sociali. Una battuta di arresto nell’agenda delle riforme che, oltre a quella del lavoro, riguardano le pensioni e la sanità. Resta da capire se la mobilitazione popolare sarà in grado di far superare questa fase – che, in caso contrario, potrebbe diventare la pietra tombale del processo riformatore –, e se Petro riuscirà ad avere la meglio nel braccio di ferro con le forze della conservazione, senza che gli equilibri e gli spazi democratici nel Paese, come già da qualche parte si accusa, abbiano a soffrirne.