Il problema della segreteria di Elly Schlein è di essere il frutto, nel bene e nel male, di una vicenda puramente politica, com’è quella del Pd e dei suoi riti, tra i quali spicca quello delle “primarie”. Se si esclude un legame con il movimento Lgbtq, non c’è un altro radicamento sociale da parte di questa leadership. La preistoria di Occupy Pd – una contestazione interna allo stesso partito, animata da Elly ai tempi della elezione del capo dello Stato nel 2013, in uno snodo tra i più ingarbugliati nella storia della Repubblica – era anch’essa una vicenda tutta politica. In questo senso, le pur differenti segreterie che si sono succedute alla testa del Pd sono state una conseguenza dello stesso peccato d’origine di questo partito che, fin dalla sua fondazione, vorrebbe essere – vuoi più al centro, vuoi più a sinistra – un partito di opinione progressista senza referenti sociali precisi. Schlein è apparsa finora in sostanziale continuità con questo difetto di fondo.
Non stiamo pensando a un partito “di classe” di tipo novecentesco, ma a un’organizzazione che si faccia espressione, anzi direttamente promotrice, di una coalizione di interessi sul piano elettorale (e magari non solo su questo), nel segno di una riduzione delle diseguaglianze sociali e di un cambiamento del modello di sviluppo per la realizzazione di un nuovo rapporto con l’ambiente. Un partito utopico, si potrebbe dire, considerando come l’utopia, al di là del significato della parola (che indica qualcosa di collocabile in un “non luogo”, quindi qualcosa di inesistente), sia oggi un punto di riferimento indispensabile per qualsiasi progetto di trasformazione che non voglia rassegnarsi a gestire le cose come stanno.
È scontato, lo si sapeva, che Schlein si troverà sempre più a fronteggiare una opposizione interna. All’ultima riunione della direzione questa è venuta fuori intorno a una difformità di giudizio riguardo all’opportunità del suo essersi recata a portare la propria solidarietà a una manifestazione dei 5 Stelle. Non è in questione, certamente, la valutazione sul carattere di questa formazione (che può essere negativa finché si vuole), ma solo il fatto che l’utopia di una coalizione di interessi per la trasformazione sociale oggi non può non fare i conti, in primo luogo, con la necessità di un’alleanza – di una piattaforma programmatica di opposizione – con i 5 Stelle. Anche perché soltanto vincolando questo “movimento” all’interno di un accordo ad ampio raggio sarà possibile, un po’ alla volta, eliminarne gli aspetti ancora persistenti dell’originario qualunquismo.
Per fare questo, tuttavia, Schlein dovrebbe presentarsi non come una variante del ceto politico Pd, ma come una vera e propria rottura con il suo recente passato – anche a costo di dovere sopportare un’altra scissione alla sua destra. Non basta. Come si diceva, un partito utopico dovrebbe individuare un suo oggetto sociale di riferimento. Del resto, i partiti populisti questo “oggetto” ce l’hanno: sono gli evasori fiscali, le partite Iva, gli interessi corporativi di un regionalismo che mette insieme i padroni con i servi, e, più in generale, i pruriti bottegai e tutti i poujadismi possibili. A loro volta i 5 Stelle – non dimentichiamolo – si sono rivelati, soprattutto nelle ultime elezioni, espressione del tradizionale malessere del Mezzogiorno.
Perché il partito di Elly, rafforzandosi elettoralmente (ciò lo si potrà vedere eventualmente nelle europee del 2024), dovrebbe rinunciare a presentarsi come l’espressione politica del costituirsi di una coalizione di interessi – oltre che, beninteso, come l’emanazione di un’opinione progressista anche generica, che non ci sta a essere governata da una compagine ultraconservatrice?
A questo proposito, quasi disperatamente nei suoi articoli su “terzogiornale”, Michele Mezza insiste sulla necessità di aprire una riflessione sulla smaterializzazione della produzione odierna, individuando, nel contempo, i nuovi soggetti sociali – precari ma non solo, talvolta anche “imprenditori di se stessi”, come nel linguaggio obbligato dei nostri tempi – che potrebbero essere i protagonisti di una stagione di rinnovamento della vita sociale e politica (nel nostro Paese e altrove). Le professioni e i mestieri della rivoluzione tecnologica in atto sarebbero i primi destinatari di una proposta politica di riforme (nel vero senso della parola, non in quello neoliberista), che – a partire da una rivendicazione di “socializzazione delle piattaforme digitali”, se la parola “socializzazione” può ancora avere un significato – potrebbe diventare il nocciolo di una coalizione di interessi.
È evidente che bisognerà comunque scontare il riflesso conservatore insito in qualsiasi “rivoluzione”; ma è anche sicuro che, evitando di mettere mano a una proposta politica rivolta ai nuovi soggetti sociali, avremo sì quel riflesso ma non il cambiamento che pure sarebbe immaginabile. Proprio come sta accadendo adesso.