Roma è una città troppo bella e complessa per poterla raccontare in poche battute. Per questo abbiamo deciso di dividere la nostra ricerca in puntate dedicate alle questioni di fondo. Ma mentre parliamo e ci interroghiamo sulle possibili soluzioni all’ingorgo permanente, sull’inceneritore o lo stadio della Roma, c’è chi fa i fatti con lo sguardo lungo degli investimenti finanziari e, nello stesso tempo, chi rimane senza un tetto, magari per morosità incolpevole. In questa tappa ci occuperemo, dunque, di affari nel centro storico e nuova emarginazione nelle periferie.
Grand Hotel Bulgari
La svendita di fine stagione è stata incubata durante la pandemia, ma progettata già da una decina d’anni. Ora i grandi passaggi di proprietà si stanno moltiplicando tutti insieme, cambiando il volto del centro storico. Gli esempi sono tanti. Qui ci concentreremo solo su tre casi. Partiamo dal nuovo hotel Bulgari, situato in Piazza Augusto Imperatore, a due passi da via del Corso e piazza di Spagna. L’edificio, che oggi ospita il nuovo hotel di lusso, era stato inaugurato nel 1950 da Alcide De Gasperi. Sorge di fronte al Mausoleo dell’Ara Pacis (il cui restauro ha suscitato montagne di polemiche). Esempio importante di architettura razionalista a Roma, il palazzo era dell’Inps, ma già nel 2015 erano arrivati i primi sfratti per le attività commerciali presenti alla base dell’immobile. Si era parlato di un’offerta per i ventiduemila metri quadrati (vincolati) dell’ex sede dell’istituto previdenziale. Quest’anno la conferma: la proprietà passa nelle mani della prestigiosa casa del lusso, che continua a investire in alberghi e turismo di alta gamma. “Il lusso? Non può essere inclusivo” – ha sentenziato alla vigilia dell’apertura lo chef super-stellato Niko Romito. “Dobbiamo pensare ai ristoranti fine dining come all’alta gamma della ristorazione. E come per altri settori l’alta gamma, le prime linee, non sono per tutti”.
Botteghe Oscure, il bottegone di lusso
Le storiche stanze che hanno ospitato la sede del Partito comunista italiano, al numero 4 di Via delle Botteghe Oscure nel centro di Roma, vicino a Piazza Venezia, sono state trasformate in suite di lusso. A dare la notizia è stato Giampaolo Angelucci, presidente della Finanziaria Tosinvest, che ha spiegato il progetto per la realizzazione di un albergo, composto da settanta camere e dotato di terrazza con ristorante, che sarà gestito sotto il marchio di una delle più note multinazionali attive nel settore dei resort di lusso. Dalle notizie circolate sulla stampa, si è saputo che il busto di Antonio Gramsci non verrà rimosso dal marmo. Così come la bandiera della Comune di Parigi, conservata nella teca che si specchia sul pavimento disegnato da Giò Pomodoro: una stella d’oro a cinque punte solca l’androne. Per mezzo secolo questo era stato l’indirizzo del Partito comunista: un edificio imponente, fortino nel cuore di Roma, ribattezzato “il bottegone” da Giampaolo Pansa. Ora il palazzo che fu edificato da due costruttori comunisti, i fratelli Alfio e Alvaro Marchini, su sollecitazione diretta di Palmiro Togliatti (c’è anche una leggenda sull’uso dell’oro di Mussolini per la realizzazione della costruzione), è diventato un hotel di lusso. La stanza che fu di Togliatti sarà una suite a cinque stelle.
Bill Gates compra Palazzo Marini
Una società di San Juan di Portorico ha acquistato per 165 milioni Palazzo Marini, nel centro storico di Roma. Dopo una profonda ristrutturazione, diventerà un hotel di lusso. Si tratta di un grande palazzo da migliaia di metri quadrati che si affaccia su Piazza San Silvestro, ex proprietà dell’immobiliarista Sergio Scarpellini, in posizione strategica quasi unica (a due passi da Fontana di Trevi, Piazza di Spagna, Via Condotti e distanza pedonale anche da Piazza Navona e Via Veneto). Da tempo girava voce dell’imminente sbarco di Four Seasons, la catena canadese di alberghi superlusso di Bill Gates e del principe Al-Waleed bin Talal. Aveva fatto discutere a maggio del 2022 la notizia della gestione di Palazzo della Rovere, in via della Conciliazione, affidata al Four Seasons di Bill Gates per trasformarlo in un hotel di lusso. Il fondatore di Microsoft ha deciso poi di raddoppiare l’investimento a Roma, e per questo avrebbe puntato su Palazzo Marini: un’operazione da 165 milioni di euro per trasformare in una struttura di lusso la proprietà di prestigio a piazza San Silvestro appartenuta alla società Milano 90 di Sergio Scarpellini, uno dei più noti immobiliaristi di Roma, morto nel 2016. Fino al 2015 Palazzo Marini è stato concesso in affitto alla Camera dei deputati.
Da Fiumicino alla suite
Paolo Berdini, urbanista e autore di vari libri su Roma (in autunno uscirà per Einaudi, da lui curata, la nuova edizione di Roma moderna di Italo Insolera), con una breve e tormentata esperienza come assessore ai tempi di Virginia Raggi, è convinto che la privatizzazione del patrimonio storico della capitale abbia diversi aspetti che devono essere considerati. Il primo aspetto riguarda il turismo e la mobilità. L’investimento delle grandi firme della moda e delle società real estate sugli alberghi di lusso è legato alla previsione di un nuovo tipo di turismo di alta gamma. Nel prossimo Giubileo del 2025 Roma sarà invasa di nuovo dai pellegrini; ma per fare affari seri i grandi brand hanno deciso di puntare sui turisti top, quelli con disponibilità finanziarie all’altezza dei prezzi delle stanze degli hotel e delle cene preparate dagli chef stellati.
Non c’è solo Bulgari ad aver capito la natura della partita che si sta giocando sulla capitale. Scelte analoghe le stanno facendo altri marchi tipo Gucci o i fondi di investimento. “In vista del Giubileo del 2025 – dice Berdini – ci sono da seguire gli investimenti a lungo termine dei fondi sovrani e dei fondi pensione stranieri. Circolano voci per esempio sull’interesse dei fondi pensione tedeschi su via Nazionale, dove molti negozi risultano oggi chiusi (dopo la pandemia), ma già acquistati dai fondi in vista del nuovo afflusso di turisti”. L’altro elemento importante che Berdini suggerisce è relativo alla mobilità e all’infernale traffico di Roma. Per il turismo di gamma alta non sarà un problema. I grandi hotel del lusso organizzeranno infatti navette private o viaggi con gli Ncc per poter trasportare senza disagio il turista ricco dall’aeroporto alla sua suite. Un turismo comodo che vola sopra la città, anche se non siamo ancora arrivati alle auto volanti di Blade Runner.
Il Comune sta a guardare?
Le amministrazioni capitoline hanno cambiato colore politico e caratteristiche. Ma sulle privatizzazioni, la gentrificazione e la vendita del patrimonio immobiliare storico si registra una certa continuità. La crisi e le difficoltà nella gestione di palazzi e zone centrali della città spinge il Comune a favorire la vendita con il fine della valorizzazione sia del patrimonio, sia dei siti di pregio. Il problema, quindi, non è quello di denunciare una ipotetica “svendita” (anche perché sarebbe necessaria un’analisi caso per caso per capire la natura degli affari che si stanno realizzando), quanto l’avvio di una riflessione sul quadro complessivo, sul disegno della città futura. Che impatto avranno questi processi di finanziarizzazione che sembrano replicare l’esempio di Milano? Quali saranno le ricadute di questo nuovo traffico privato del turismo di lusso su un sistema della mobilità dei cittadini normali che sembra ormai allo stremo? Di recente l’“Espresso” ha dedicato la sua copertina alla Roma immobile. La tentazione forte sembra essere quella di pensare solo al benessere dei ricchi, per fare circolare denaro e investimenti, lasciando libera di scorrere, senza intoppi e fastidi, la città di sopra, abbandonando al suo destino la città di sotto.
“Il sacco di Roma”
Era il titolo di un intervento del consigliere del Pci, Aldo Natoli, ai tempi della discussione sul Piano regolatore di Roma nel 1954 (vedi qui). Natoli – che nel 1969 sarà tra i fondatori del gruppo del Manifesto –, in quella veste di consigliere, dopo aver polemizzato con il sindaco (Salvatore Rebecchini) e la sua giunta a guida democristiana sulla mancanza di controllo dell’espansione della capitale all’insegna dell’abusivismo, “sull’anarchia edilizia” e sulla subalternità dell’amministrazione agli interessi dei privati (allora erano i costruttori), spiegò in un intervento in Campidoglio che “a lungo andare, si potrebbe dire che si è venuta a creare fra i privati e taluni uffici comunali, e forse il complesso dell’amministrazione, una situazione che i biologi chiamano di simbiosi, nella quale sembra che si sia invertito il rapporto normale che dovrebbe esistere fra ente pubblico e i privati, per il quale l’ente pubblico ha la funzione, entro certi limiti stabiliti dalla legge, di moderare gli interessi privati a favore degli interessi pubblici”.
Ma il discorso di Natoli non si esauriva nella denuncia della debolezza della giunta comunale, che appariva quasi impotente di fronte a processi che stavano trasformando quello che era stato un paesotto di duecentomila abitanti (i residenti di Roma ai tempi della Breccia di Porta Pia) in una grande metropoli che correva, in quegli anni, verso i due milioni di abitanti, per arrivare ai tre milioni attuali (oltre quattro se si considera tutta l’area metropolitana). Citando il censimento della popolazione del 1951, Natoli spiegò che Roma aveva in quel momento “il primato in Italia dei senza tetto, delle caverne, delle grotte, delle baracche, il primato della coabitazione e, insieme, del numero degli appartamenti vuoti, nonché il primato degli sfratti”. Non era dunque del tutto possibile chiudere gli occhi sul fatto che Roma ha presentato, con particolare intenso ritmo, un incremento della popolazione fuori dall’ordinario.
La nuova emergenza
Natoli parlava di sfratti, borgate, caverne abitate da disperati. Dagli anni Cinquanta, molte cose sono cambiate, e profonde trasformazioni hanno ridisegnato il profilo delle classi sociali. Con la grande campagna culturale a favore della casa in proprietà e con le varie cartolarizzazioni, il problema della casa sembrava risolto. E invece dopo la fine del blocco degli sfratti e degli aiuti per i mutui, durante la pandemia, ci si è accorti improvvisamente che la “questione” non è affatto risolta. “Non solo il problema della casa non è stato risolto, ma non viene neppure affrontato”: lo dice Emiliano Guarneri, segretario del Sunia di Roma, secondo il quale esiste una nuova emergenza casa che è anche il frutto di troppe politiche sbagliate. “Dalla metà degli anni Novanta – spiega Guarneri – sono state smantellate le norme che erano state pensate per salvaguardare gli inquilini. Da quegli anni si è registrato un progressivo abbandono del campo da parte del pubblico: con la chiusura del fondo Gescal, si è praticamente bloccata l’edilizia residenziale pubblica facendo diventare contemporaneamente l’ente pubblico delle case popolare, lo Iacp, un’azienda vincolata al pareggio di bilancio (l’Ater)”, la dismissione degli alloggi degli enti previdenziali pubblici ha sottratto beni in locazione ai ceti medi e medio bassi e la deregolamentazione delle norme sulle locazioni hanno liberalizzato i canoni. Tutte queste scelte e varie altre trasformazioni giuridiche e sociali hanno determinato la situazione attuale. “Oggi siamo di fronte a numeri imbarazzanti – dice il sindacalista del Sunia –, le cifre ufficiali del ministero dell’Interno forniscono la cifra di cinquemila sfratti esecutivi nel 2021, ma si sentivano ancora gli effetti del blocco dovuto alla pandemia. Ora siamo a una media di incremento degli sfratti di 1200 l’anno, mentre ci sono almeno quindicimila famiglie ancora in attesa di una casa popolare”. Si rende necessario un cambio dei paradigmi, ma è chiaro che per intervenire servirebbe “una legge speciale per Roma”.
Gli sfratti occulti
Ci sono le cifre ufficiali del ministero, ma c’è anche un fenomeno strisciante di cui è difficile avere cifre complessive o statistiche formali. Si tratta di quello stillicidio quotidiano che si vive nelle borgate e nei quartieri della grande periferia ogni giorno. Sfratti per morosità incolpevole, interventi delle forze dell’ordine e perfino di polizie private, che pare vengono assoldate da grandi società immobiliari e costruttori. “Le cifre ufficiali non descrivono il fenomeno per quello che realmente è – dice Stefano Portelli, ricercatore post-doc presso l’Università inglese di Leicester e attivista del movimento per la casa a Roma –, noi cerchiamo di seguire gli sfratti uno per uno per dare un supporto anche legale a queste famiglie povere. Abbiamo quindi il polso di una situazione che sta peggiorando costantemente. Solo nel quartiere di Centocelle abbiano notizia di trecento sfratti in arrivo”. Portelli cita una risoluzione del parlamento europeo del gennaio del 2021 che ha fissato i paletti per la garanzia del diritto alla casa e la definizione di alloggio accessibile. Per affrontare il problema, dice il giovane ricercatore, la politica potrebbe disporre di varie strumentazioni, come la “tassazione del vuoto”, ovvero tasse particolari per quei proprietari che tengono sfitti i loro appartamenti. Ma è ovvio che per risolvere i problemi si deve avere il coraggio di andare alla radice. Per questo Portelli, accanto alla sua militanza con gli sfrattati, sviluppa i suoi studi sulle trasformazioni della città: è alle stampe per Carocci una sua ricerca sulle “nuove enclosures”.
Sfratti e occupazioni
I movimenti per la casa cercano di essere presenti nei quartieri popolari e nelle borgate e, oltre a sostenere le famiglie sfrattate – perché hanno subito licenziamenti o mancanza cronica di opportunità di lavoro –, si trovano ad affrontare la disperazione di rimanere senza un tetto. “Molte famiglie – ci racconta Maria Vittoria Molinari dell’esecutivo nazionale del sindacato Asia Usb – vengono ospitate dalle parrocchie. Ma ovviamente si tratta di soluzioni d’emergenza temporanee. Dopo un periodo di ospitalità, è necessario trovare delle soluzioni stabili. Le cifre che abbiamo non sono complete, ma sono sempre più preoccupanti. Solo nel quinto municipio abbiamo avuto notizia di cinquecento sfatti esecutivi. Stessa situazione nel sesto. Abbiamo seguito anche la vicenda di una signora di 78 anni sfrattata a Centocelle, ma nella stessa sua condizione ci sono decine di famiglie. Noi però come sindacato non ci fermiamo al conflitto. Siamo per il superamento della legge 431 e abbiamo già pronta una proposta per una nuova legge che regolamenti il prezzo degli affitti”.
Accanto al fenomeno degli sfratti c’è quello delle occupazioni delle case e dei relativi sgomberi che, nell’era Meloni-Piantedosi, si stanno moltiplicando. E c’è un’altra questione, che quasi mai si considera avendo introiettato l’immagine di un popolo di proprietari: l’aumento vertiginoso dei mutui. Anche chi ha acquistato una casa con grandi sacrifici, ed è stato costretto ad accendere un mutuo con una banca, oggi risulta in grande sofferenza con rate che passano tranquillamente dai 700 euro mensili a 1000-1200.
Alto e basso senza popolo
Prendiamo in prestito questa immagine da un bel libro di Walter Tocci, che è stato vicesindaco, su Roma, come se. Alla ricerca del futuro per la capitale (Donzelli 2020). Nel capitolo intitolato “si fa presto a dire popolo” l’autore analizza a fondo le conseguenze dell’emarginazione delle periferie e il cambiamento dei punti di riferimento. “La rappresentanza prende la forma del bipolarismo politico-territoriale, ma crolla il potere di influenza e la condensazione cambia il paradigma, dal dentro-fuori al qui e altrove della società dei consumi e della fiction”. Oggi, dunque, non è più solo questione di centro-periferia, ma di una modificazione dei comportamenti sociali, delle scelte elettorali e delle aspirazioni culturali di chi sta fuori. “Si imprime una torsione alto-basso – scrive Tocci – che fornisce una spiegazione semplice dei problemi della vita: noi viviamo male perché chi si trova in alto – i profittatori, le multinazionali, i politici, ecc. – pensa solo ai propri interessi e sperpera soldi pubblici”. Potrebbe essere il presupposto di una nuova presa di coscienza politica che porti alla mobilitazione, “senonché dall’alto viene sviata l’attenzione verso soluzioni fittizie di gramsciana memoria: uscire dall’euro, respingere i migranti, diminuire il numero dei politici”. Per riprendere il bandolo del cambiamento della città si tratta, dunque, di ricominciare ad affrontare i problemi strutturali (come l’emergenza casa), ma anche ridisegnare percorsi credibili di identità. “Tutti gli insuccessi delle politiche pubbliche – scrive ancora Tocci – possono essere riassunti in queste due categorie: progetti ben radicati nella vita di borgata che però sono stati soffocati dalla malapianta oppure promesse illuministiche rivelatesi inefficaci perché estranee al sentire della gente. Evitare entrambi gli errori è un passaggio stretto, ma è l’unica via per coniugare la rinascita della città con la sua ricca umanità popolare”. L’occasione per seguire il consiglio di Tocci c’è. Ci si dovrebbe lavorare da subito, visto che il 2026, previsto da Fritz Lang con il suo Metropolis del 1927, è dietro l’angolo.
(4. continua. Le precedenti puntate sono uscite il primo, il 6 e il 13 giugno)
Nella foto: la storica sede del Pci in via Botteghe Oscure