L’orrore delle centinaia di migranti lasciati morire in mare per il mancato soccorso nelle acque greche, ripropone per l’ennesima volta la questione delle migrazioni verso l’Europa. Si parla di numeri, di soldi, e su questi dati si pretende di fondare decisioni risolutive. La pretesa principale consiste nella ricerca di accordi con i governi, che tali non sempre sono (come in Libia), dei Paesi di partenza dietro pagamento di somme “incentivanti” a svolgere il ruolo di guardiani delle coste. Con i risultati che conosciamo. Da una parte, il finanziamento di fatto delle reti dei trafficanti di esseri umani con tutte le loro complicità, che rafforzano la loro potenza economica e organizzativa, perché oltretutto si fanno pagare anche dai migranti. Dall’altra, il cimitero mediterraneo, o atlantico lungo le coste dal Marocco alla Spagna.
Le migrazioni nel Mediterraneo hanno occupato la scena dei media e della politica in Italia, e non solo. La narrazione consolidata ci dice che gli africani migrano da Sud a Nord, correndo rischi anche estremi pur di entrare nell’eden europeo. Ma in Africa le migrazioni sono un fatto naturale da tempo immemorabile, e la stragrande maggioranza degli africani migra attraverso le frontiere terrestri. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) i 36.6 milioni di africani migranti nel 2017 (27 milioni dall’Africa sub-sahariana) rappresentano solo il 14% dei migranti nel mondo, contro il 41% degli asiatici e il 24% degli europei. Secondo un’indagine della stessa fonte, l’80% degli africani che pensano all’emigrazione non ha alcun interesse a lasciare il continente e non ha alcuna intenzione di lasciarlo definitivamente.
Nel 2019, dati Oim, l’Africa ha accolto 7.3 milioni di rifugiati e richiedenti asilo, un quarto dei rifugiati nel mondo (28.7 milioni). Ciò significa che un migrante internazionale su quattro in Africa è un rifugiato, contro un migrante internazionale su dieci nel resto del mondo. Tra il 2000 e il 2019 il numero dei migranti internazionali in Africa è aumentato considerevolmente: da 15.1 a 26.6, pari al 76%, l’incremento più elevato tra le grandi aree del mondo. Malgrado questo aumento, l’Africa accoglie solo il 10% dei 272 milioni di migranti internazionali nel mondo, contro il 31% dell’Asia, il 30% dell’Europa e il 22% del Nord America. Inoltre, il numero dei migranti internazionali, rispetto alla popolazione locale, è del 2% in Africa contro il 3,5% per l’insieme del mondo. L’Africa orientale accoglie la maggior parte, il 30%, dei migranti internazionali residenti nel continente.
Oltre la metà, il 53% per la precisione, dei 40.2 milioni di migranti provenienti dall’Africa ha come destinazione l’Africa stessa, il 26% l’Europa, l’11% l’Asia e l’8% il Nord America. Metà (47%) dei migranti internazionali in Africa sono donne. Nel continente la popolazione migrante è mediamente più giovane (30,9 anni) rispetto alla media mondiale dei migranti internazionali (39 anni). Tutti questi dati confermano che i flussi migratori in Africa avvengono principalmente all’interno del continente.
Le migrazioni dall’Africa evocano i flussi di persone irregolari (i cosiddetti “clandestini”) dal Nordafrica verso l’Europa. I dati disponibili raccontano però un’altra storia. Come detto, la maggior parte delle migrazioni avviene all’interno dell’Africa stessa; soprattutto le entrate regolari nell’Unione europea, in provenienza dai principali Paesi africani, sono maggiori di quelle irregolari via mare verso l’Italia. In ogni caso, le migrazioni irregolari riguardano la stessa Africa. Si pensi ai flussi tra Uganda e Repubblica democratica del Congo, dall’Africa orientale a quella australe, o dall’Africa sub-sahariana al Nord Africa, dove Paesi come Libia e Marocco sono al tempo stesso Paesi di destinazione, di transito e di partenza.
Questo quadro non deve nascondere i problemi. Secondo la Fondazione sudanese Mo Ibrahim, tra il 2019 e il 2100, il numero dei giovani in Africa aumenterà del 181%, mentre quelli in Europa diminuiranno del 21.4% e quelli in Asia del 27.7%. Alla fine del secolo, i giovani africani rappresenteranno il doppio della popolazione totale dell’Europa. Attualmente la maggior parte dei giovani africani giudica la propria situazione insoddisfacente a causa della difficoltà a trovare lavoro. Bisogna allora temere una corsa verso l’Europa e immaginare scenari apocalittici? La soluzione, secondo la Fondazione, non è in termini di migrazione ma di mobilità. Anche le frontiere africane sono spesso chiuse o poco permeabili, mentre la mobilità dei giovani, insieme con una formazione più adeguata, consentirebbe loro non solo di restare nel continente ma di migliorare la propria posizione. A causa delle restrizioni, la rete dei trafficanti di essere umani in Africa genera immensi guadagni, stimati a 7 miliardi di dollari (2016), l’equivalente dell’aiuto umanitario dell’Unione europea nello stesso anno.
Invece di contribuire al reddito dei trafficanti di esseri umani con politiche che incentivano la migrazione irregolare, o con finanziamenti che finiscono direttamente nelle tasche dei trafficanti stessi, l’Unione europea dovrebbe accompagnare gli Stati africani nel gestire le proprie politiche di mobilità e di formazione. L’Europa se ne avvantaggerebbe anche per quella migrazione di cui ha comunque bisogno, per la sua economia e per l’equilibrio demografico.