Tutto procede come da programma. La destra va all’assalto della giustizia con una controriforma approvata ieri, 15 giugno, dal Consiglio dei ministri, scritta a più mani: quelle del ministro Nordio, dell’avvocato di Berlusconi nel “processo escort”, Francesco Paolo Sisto, e di Giulia Bongiorno, storica avvocata di Andreotti, oggi parlamentare della Lega. L’assalto – di questo si tratta, Nordio ha detto esplicitamente che la magistratura deve stare con la bocca chiusa – parte dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio (art. 323 del codice penale), già modificato nel 2020, perché scritto male, tanto da essere di difficile attuazione (le inchieste non arrivavano al processo): la soluzione è stata trovata con il suo azzeramento. Contenti i sindaci che avranno mani libere; molti quelli del Pd che aprono così un (ennesimo) fronte interno: come voterà il partito in parlamento? Dopo aver gonfiato il cervello degli italiani con la “paura della firma”, che paralizzerebbe l’attività amministrativa, ora si presenta su un piatto d’argento l’abolizione di un reato che, nella sua ratio, avrebbe dovuto contenere l’illegalità amministrativa che l’Europa chiede di applicare.
La controriforma tocca poi il reato di traffico di influenze illecite (articolo 346-bis: punisce chiunque, sfruttando relazioni con un pubblico ufficiale, indebitamente fa dare o promettere denaro a sé o ad altri o altre utilità), prevedendo, tra l’altro, che le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere sfruttate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite); le relazioni devono essere sfruttate “intenzionalmente”; l’utilità, data o promessa al mediatore, deve essere economica; il denaro o altra utilità deve essere dato o promesso per remunerare il soggetto pubblico, o per far realizzare al mediatore una mediazione illecita (della quale viene data una definizione normativa). Applicabili anche per il traffico d’influenze illecite le attenuanti per la particolare tenuità e la causa di non punibilità per la cosiddetta collaborazione processuale. E via!
Per quanto riguarda le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, si amplia il divieto di pubblicazione del loro contenuto, consentita solo se è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento, o utilizzato nel corso del dibattimento. Attualmente è pubblicabile – se di interesse pubblico, s’intende, e nel rispetto del principio di continenza – tutto ciò che è noto alle parti. Con la riforma, solo ciò che passa al vaglio di un giudice, escludendo ciò che è contenuto in un’ordinanza di custodia o in un provvedimento del tribunale del riesame, o nelle richieste della procura, nei provvedimenti di fermo, nelle informative della polizia giudiziaria, ma anche negli atti di una rogatoria internazionale. Tagliando via tutto ciò che può contenere materiale interessante per la cronaca – che non sta solo negli atti dei giudici.
Sulla custodia cautelare si misura il garantismo peloso della destra: prima della decisione sulla custodia cautelare, l’indagato deve essere interrogato, e poi un collegio di tre giudici decide la misura. Ovvio che i rischi di fuga sono centuplicati. Come ha spiegato il presidente dell’Associazione magistrati, Giuseppe Santalucia, “se mi devono interrogare perché il pm ha chiesto la cattura, e resto a piede libero sino a quando i tre giudici non decidono, il pericolo che mi dia alla fuga è più reale”. In più nei tribunali del territorio non esiste la disponibilità di così tanti giudici. E neanche i neoassunti possono rimediare, visto che devono passare tre anni prima che possano aspirare al ruolo di gip.
Sono inoltre inserite alcune innovazioni relative all’informazione di garanzia: si specifica, testualmente, che essa debba essere trasmessa a tutela del diritto di difesa dell’indagato; si specifica che in essa debba essere contenuta una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista (è richiesta solo l’indicazione della norma violata). Si limita la notifica dell’atto tramite la polizia giudiziaria ai soli casi di urgenza. È espressamente sancito il divieto di pubblicazione dell’informazione di garanzia, finché non siano concluse le indagini preliminari.
Modificata la disciplina dei casi di appello del pubblico ministero, che attualmente consente d’impugnare le sentenze di proscioglimento: con le nuove norme la procura non può appellare le sentenze di proscioglimento per i reati oggetto di citazione diretta (contravvenzioni, delitti puniti con la pena della reclusione non superiore, nel massimo, a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla pena detentiva e altri reati specificamente indicati). Restano appellabili le decisioni di proscioglimento per i reati più gravi.
La controriforma è dunque un passo che allarga le maglie della giustizia e restringe quelle della cronaca, berlusconianamente, cioè niente affatto in senso “garantista” – parola nobile lordata dagli autori del testo approvato in Consiglio dei ministri. Sul fronte più politico imbarca nella maggioranza il cosiddetto terzo polo, renziani e calendiani, ma questa non è una novità, essendo essi già ampiamente dialoganti e disponibili con la destra; mentre, come detto, apre guai all’interno della casa di Elly Schlein. Giorgia Meloni veleggia in mari tranquilli.