Non sarà magari Bruno Kreisky, uno di quei leader socialdemocratici, come Willy Brandt e Olof Palme, fortemente connotati a sinistra che resero nobile quel mondo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. E tuttavia Andreas “Andi” Babler, il candidato più progressista della Spö (Partito socialdemocratico austriaco) è riuscito nell’ultimo congresso del 6 giugno scorso a battere, sia pure in modo rocambolesco, il suo avversario Hans Peter Doskozil, ex poliziotto e presidente del Burgenland, piccola regione a est di Vienna, fautore di una dura politica anti-migratoria. Come Kreisky, che portò la settimana lavorativa a quaranta ore, il nuovo leader socialdemocratico si è affermato proponendo, tra le tante cose “di sinistra”, appunto l’abbassamento delle ore lavorative a trentadue, a parità di salario. Ma la sua è stata una vittoria complicata dall’imperizia di chi ha gestito la macchina elettorale del congresso. In un primo momento, infatti, aveva cantato vittoria Doskozil. Poi, dopo un nuovo controllo, tutto è cambiato, e l’esponente della sinistra si è affermato con il 52,6% contro il 46,8% dell’avversario: ovvero con 317 voti contro 280.
Si erano sbagliati a contare i voti dei seicento delegati, invertendo i consensi dei due candidati. Un errore grossolano, frutto, a quanto pare, del caos nel quale versa la macchina organizzativa del partito. Una situazione che ha trovato d’accordo entrambi i contendenti nel definire questa fase “il punto più basso mai raggiunto dalla socialdemocrazia austriaca”. Babler, cinquantenne, è un uomo che viene dal mondo del lavoro. Esattamente dalla Semperit. E ha militato nella gioventù socialista. Il suo programma assomiglia a quello di Elly Schlein. Ha infatti come punti di riferimento la cultura ambientalista, femminista, e quella appunto del mondo del lavoro. Inoltre, e in questo si differenzia dalla leader democratica, è fortemente critico nei confronti dell’Unione europea, definita da lui peggiore della Nato. Considerazione che aveva alzato un polverone, al quale però lui ha risposto rilanciando in un comunicato: “La formulazione può essere esagerata – ha ammesso –, ma invece di discutere di cavilli semantici sarebbe meglio parlare di come rendere l’Unione più sociale e più vicina ai suoi cittadini”.
Babler, a differenza del suo avversario, è molto aperto sul tema migranti. Infatti a Traiskirchen, cittadina di diciottomila abitanti della quale è sindaco da due sindacature, eletto con il 70% dei voti, si trova il più grande centro di prima accoglienza per migranti malgrado sia collocato in Bassa Austria, dove il Partito popolare (Öevp) ha scelto di governare insieme alla Fpöe, il partito filonazista. Come ha riferito “il manifesto”, a favorire la sua elezione un appello di artisti e intellettuali: primo firmatario Robert Menasse, il cui bisnonno è stato tra i fondatori del partito. Lo scrittore, autore di un romanzo sull’Unione europea, La capitale (Sellerio 2018), si è di nuovo iscritto dopo anni di assenza.
Questo spostamento a sinistra arriva dopo un periodo complesso. Dal 2018 la Spö era stata diretta da Pamela Rendi-Wagner, di area centrista. Arrivata terza nelle primarie riservate agli iscritti, dopo Babler e Dosksozil, aveva deciso di ritirarsi dalla politica rinunciando anche al suo seggio in parlamento, e tornando così alla sua professione di medico. Una sconfitta che ha dato spazio alle posizioni polarizzate dei due candidati. Proprio l’assenza di un mediatore tra le due parti – ruolo che per la verità poteva essere ancora ricoperto dall’ex leader, per senso di responsabilità – prefigura uno scenario complicato per il partito. Doskozil sosterrà il suo avversario, come sarebbe logico, malgrado la differenza anche radicale tra i programmi politici dei due? Oppure dovranno essere loro stessi a individuare la linea giusta, arrivando a dei compromessi, anche perché, malgrado la vittoria di Babler, il partito è uscito comunque spaccato in due?
Il prossimo anno il Paese sarà chiamato alle urne per le europee e le politiche, ovvero per il rinnovo del Nationalrat, la prima Camera (la seconda, il Bundesrat, è una rappresentanza delle nove regioni). I sondaggi danno come primo partito i neonazisti della Fpö, che viaggerebbero intorno al 27-30%, mentre i socialdemocratici sarebbero intorno al 23%, al secondo posto, insidiati dal Övp (Partito popolare dell’Austria) al governo insieme ai verdi, che potrebbero restare nell’esecutivo eventualmente insieme ai socialdemocratici e ai liberali della Das Neue Österreich (La Nuova Austria), di centrosinistra.
Malgrado le difficoltà, la sinistra austriaca dimostra una sua vitalità e nessuno parla di scissioni, malgrado le diverse posizioni in campo. Il confronto con il partito della “fusione a freddo” è anche in questo caso impietoso. La leader del Nazareno è “costretta” a muoversi con i piedi di piombo, perché teme “fughe di massa” (si fa per dire), incapace com’è la classe politica del Pd di convivere con posizioni diverse. La differenza è presto spiegata: il principale partito della sinistra austriaca, fondato nel 1889, pur nelle differenti linee politiche che lo hanno caratterizzo nel corso di una lunga storia, non ha mai messo in discussione la propria identità. Da noi, invece, l’incapacità di gestire l’anomalia comunista ci ha infilato in un cul de sac del quale gli avversari politici, Berlusconi in testa, hanno approfittato a mani basse.