I curdi puniscono Kemal Kilicdaroglu. Nel ballottaggio di ieri, che ha fatto seguito al voto del 15 maggio (vedi qui il nostro articolo del 16 maggio scorso), il leader del kemalista Partito repubblicano del popolo (Chp) è stato sconfitto dal presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan, alla testa del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). Il 52,16% dei voti è andato al leader islamista contro il 47,84% all’avversario che ha perso, conteggi alla mano, perché il popolo più vessato e sofferente di un’area geografica che va ben oltre la Turchia, non si è fidato delle promesse di apertura e di dialogo da parte dell’esponente di una cultura politica, quella kemalista, anch’essa da sempre ostile ai diritti dei curdi.
L’affluenza, che a livello nazionale si è attestata intorno all’88%, è stata infatti in quella regione più bassa: questi voti in meno hanno dunque fatto la differenza. Per favorire Kilicdaroglu il Partito democratico del popolo (Hdp) – vicino ai curdi e tuttora a rischio chiusura, da parte della Corte costituzionale, per i presunti legami con il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) – aveva deciso di non presentare alcun candidato e di correre alle parlamentari sotto il simbolo della Sinistra verde. Alcuni leader dell’Hdp, come Selattin Demirtas e Figen Yuksekdag, sono in carcere dal 2016 per presunti legami con i gruppi armati – a dimostrazione della politica fortemente repressiva del governo nei confronti di questa minoranza.
Per questa ragione, le affermazioni di Erdoğan prima del voto, secondo le quali avrebbe stabilito un dialogo con i curdi, fanno sorridere soprattutto se si considerano le richieste di Ankara a Svezia e Finlandia di estradare gli esuli curdi: condizione richiesta per togliere il veto al loro ingresso nella Nato, evento poi avvenuto per Helsinki. A ridosso del ballottaggio, il kemalista ha ammorbidito il proprio sostegno ai curdi, spostando decisamente a destra la campagna elettorale, per esempio promettendo la cacciata di tutti gli esuli siriani. Così la popolazione curda – che aveva consentito al leader del Chp di strappare al primo turno numerosi collegi a Erdoğan – non ha riconfermato (almeno non nella stessa misura) questo sostegno.
La vittoria del Sultano avviene nonostante la gravissima crisi economica che affligge il Paese (vedi qui il nostro articolo del 28 aprile scorso). L’inflazione, che viaggiava intorno al 60% nel 2022, ora sembra in calo, ma è pur sempre su valori preoccupanti, intorno al 40%, con un costo della vita alto anche per gli occidentali che si recano nel Paese euroasiatico, e con un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità valutato intorno al 60%.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare, per combattere l’inflazione il presidente ha tentato l’inedita ricetta dell’abbassamento dei tassi di interesse, senza però che questo sortisse risultati positivi. La lira turca è infatti in discesa sul dollaro verso nuovi minimi storici, a 20,05. Per Erdoğan si tratta del terzo mandato, il che significherà venticinque anni di potere dopo avere ricoperto sia il ruolo di premier sia quello di presidente. Una vittoria conseguita anche con pratiche poco ortodosse come la distribuzione di denaro alla popolazione: cosa che ha suscitato l’indignazione e la protesta del suo avversario. Erdoğan ringrazia “ogni persona del nostro popolo che ancora una volta ci ha dato la responsabilità di governare il Paese per altri cinque anni. Dovremo essere uniti e solidali. Lo chiediamo con tutto il cuore. Non siamo gli unici vincitori. Chi ha vinto è la Turchia e noi non abbandoneremo mai la democrazia”.
Per Kilicdaroglu, invece, si è trattato delle “elezioni più ingiuste degli ultimi anni”. Il kemalista ha accusato Erdoğan di “aver messo in campo tutti i mezzi dello Stato contro di lui”. Il presidente ha vinto soprattutto nelle aree rurali più arretrate del Paese e nelle città dell’interno, mentre il suo avversario si è affermato nelle grandi città e nelle regioni costiere. Compresa Istanbul, dove Erdoğan era stato sindaco dal 1994 al 1998. Per il leader islamista, fautore di una politica repressiva soprattutto nei riguardi delle donne, dei mezzi di comunicazione e del mondo Lgbtq, diventato un vero e proprio incubo per tanti leader della terra, la sfida sarà più complicata di quelle precedenti quando si era affermato al primo turno. Secondo alcuni osservatori potrebbe radicalizzare la sua politica islamista e repressiva, ma sarebbe per lui un’avventura perché si ritrova di fatto metà del Paese contro, e questo dato non potrà ignorarlo.
Con la vittoria Erdoğan vede riconfermato il suo disegno imperialista mai nascosto, come pure la possibilità di giocare ancora un ruolo importante all’interno del conflitto russo-ucraino. Ambizioni che sarebbero state cancellate di colpo se il risultato fosse stato sfavorevole. Il suo sogno, come di altri attori della diplomazia, è di ospitare Putin e Zelensky sul suolo turco. Obiettivo sfiorato nel marzo 2022, quando Antalya ospitò i ministri degli Esteri dei due Paesi in guerra.