Il dibattito politico degli ultimi giorni è incentrato sulla nomina di un commissario per la gestione dell’emergenza e della ricostruzione in Emilia-Romagna, e sull’opportunità o meno, da parte del governo, di designare l’attuale presidente della Regione, Stefano Bonaccini. Il centrosinistra paventa il pericolo della nomina di una personalità vicina al governo, e la destra vede nella gestione dei fondi della ricostruzione un’opportunità in vista delle elezioni regionali del 2025. Questo è lo stato dello scontro politico a proposito di quanto accaduto. Non risulta che i principali partiti abbiano riunito direzioni nazionali e organismi dirigenti locali per far il punto politico della situazione, per riflettere sul cambiamento climatico, sul rapporto fra uomo e natura, sull’ecologia e i nuovi modelli dell’abitare, o del fare impresa in un territorio così fragile, in una pianura che, non a caso, nei libri di geografia viene definita alluvionale. Non sembra che siano al lavoro intellettuali, esperti, ambientalisti e conoscitori del territorio, convocati dai vari partiti, al fine di fornire una visione, una prospettiva, un’indicazione politica, sociale e ambientale per il futuro della Regione e dell’Italia nel suo complesso, altrettanto fragile ed esposta al dissesto idrogeologico. Alla fine, i cittadini dell’Emilia-Romagna, in alcuni casi ancora con l’acqua al ginocchio – e in ginocchio –, si trovano solo di fronte al seguente dilemma politico: Bonaccini sì, Bonaccini no.
La politica rimane dunque drammaticamente assente, a parte l’encomiabile protagonismo dei sindaci che rispondono all’emergenza con l’entusiasmo e la buona volontà dei propri cittadini, ma non dispongono dei luoghi effettivi della riflessione politica, del confronto sulle grandi questioni, che un evento del genere dovrebbe sollevare: che cosa significa oggi abitare un luogo, per quali bisogni fare impresa in un dato territorio – a partire da un abitare non alienato completamente dalla natura –, e come e cosa produrre per soddisfarli?
A fronte di tale assenza, dobbiamo rilevare, purtroppo, come negli ultimi anni i presidenti di Regione si siano distinti per una sorta di nazionalismo regionale tramite l’utilizzo dei social network. Ogni giorno mostrano ai loro concittadini che l’ente che amministrano dispone di eccellenze, di primati, di grandi investimenti per lo sviluppo, di nuove costruzioni per il turismo, per il divertimento, ecc. Non fanno eccezione, nell’esaltazione, nemmeno i successi sportivi o canori: chi vince lo farebbe così in virtù di un non meglio specificato sangue regionale. Ci pare molto pericoloso questo “nazio-regionalismo”, perché è in realtà il grimaldello dell’autonomia differenziata e, inoltre, contribuisce a legittimare il nazionalismo tout court, dal momento che fa sembrare che determinati risultati si raggiungano in virtù di una qualche particolarità etnica, nazionale o regionale che sia.
C’è un altro elemento di pericolosità, che vediamo dispiegato anche in Emilia-Romagna dopo l’alluvione. Si tratta del compattamento della cittadinanza, che comincia a pensarsi come popolo romagnolo o emiliano, senza sapere che le identità regionali o subregionali sono invenzioni ancora più grossolane di quelle nazionali. E quel compattamento non può che escludere la politica come campo della riflessione sociale, economica e persino antropologica su quanto è successo, sugli stili di vita, sui modelli di consumo, sul modo di fare impresa (soprattutto agricola in Romagna), sullo sfruttamento del suolo, sull’idea di turismo. Tutto questo viene spazzato via da una seconda alluvione: quella della retorica nazio-regionale.
Sfortunatamente, i dirigenti politici che hanno inventato il nazio-regionalismo non hanno gli strumenti, la cultura e la voglia di contrastare tale compattamento e se ne fanno anzi portavoce. Così, il presidente dell’Emilia-Romagna può stare in tv ogni giorno a magnificare il popolo emiliano-romagnolo, e a promettere che tutto sarà ricostruito uguale a prima, quando invece tutto non dovrà essere come prima. Ma senza politica, e con la retorica vigente degli angeli del fango o del paciugo che dir si voglia, tutto purtroppo tornerà come prima.