Ci sono troppi punti “critici” nel 41-bis che vanno risolti. Il regime speciale necessita di una radicale revisione. È questa la tesi del Garante dei detenuti, spiegata nel suo Rapporto: “A partire dall’applicazione reiterata e continua del regime di detenzione speciale, c’è bisogno di aprire un chiaro confronto sulla sua estensione numerica, sulla sua durata troppo spesso illimitata, sulle condizioni materiali di detenzione, sulle singole misure e sulla scrupolosa tutela dei diritti che attengono alla persona e che costituiscono il fulcro irrinunciabile di un ordinamento democratico”.
Colpisce la denuncia del Garante, Mauro Palma: “Nel corso delle proprie visite, il Garante nazionale ha riscontrato un considerevole numero di casi di persone soggette costantemente al regime dell’articolo 41-bis da oltre vent’anni, a volte dall’inizio della detenzione. Questa risalenza a più di vent’anni della prima applicazione del regime speciale alle persone cui è stato costantemente reiterato indica frequentemente, quale fonte della cristallizzazione, l’apparato motivazionale riportato nei provvedimenti ministeriali che ne determinano la proroga nei confronti della singola persona”.
“In effetti, nei provvedimenti di proroga – annota il Rapporto – i riferimenti frequenti sono il reato ‘iniziale’ per cui la persona è stata condannata e la persistente esistenza sul territorio dell’organizzazione criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Due elementi che, a parere del Garante, disattendono le prescrizioni di attualizzazione delle particolari esigenze custodiali espresse costantemente dalla Corte costituzionale”. Insomma, l’“autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza” non è mai stata proposta in gran parte se non in tutti i decreti di rinnovo del 41-bis”.
Irritanti le contraddizioni non risolte del regolamento. Dopo tira e molla estenuanti, leggi e decreti, interventi della Cassazione e della Corte costituzionale, le camere di detenzione hanno ottenuto i televisori, i detenuti possono comprare i giornali ma non le pubblicazioni “di carattere erotico”. La corrispondenza è sotto censura in entrata e in uscita. È previsto un colloquio al mese con i familiari, con il vetro di separazione, ma i figli o nipoti sotto ai 12 anni possono avere un contatto fisico con il detenuto. E infine i colloqui con i difensori non sono videoregistrati.
La legge in vigore dal 2009 ha “disatteso, in diverse parti, le indicazioni che la Consulta aveva reso e sulle quali aveva fissato la linea di compatibilità con i principi costituzionali”. “La Corte costituzionale è stata costretta a ripetuti interventi per riportare sul binario della costituzionalità il 41-bis. Ha eliminato, per esempio, il limite nei colloqui con i difensori, ha tolto al detenuto il divieto di cuocere cibi, e ha legittimato gli scambi di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità. E la posta tra detenuto e suo difensore non può essere sottoposta al visto di censura”.
Ma se “ormai è lecito cuocere cibi, le prescrizioni sulle possibili pentole e sulle dimensioni dei coperchi permangono nella loro capillarità”. C’è anche altro da svecchiare in questo provvedimento che ha ormai una certa età, trent’anni. “C’è la necessità di rivedere concretamente il profilo di pericolosità, nell’ambito della finalità dettata dalla norma, delle singole persone soggette al regime speciale: la mancanza di verifiche effettive sulla permanenza attuale delle esigenze di prevenzione del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata di provenienza viene ritenuto sussistente anche a distanza di oltre venti anni dalla prima applicazione, quando non dall’inizio della detenzione, il dubbio sull’efficacia del sistema preventivo risulta legittimo, soprattutto considerando l’invariabilità nel tempo del numero delle persone a cui è applicato”. “Il dubbio si estende conseguentemente all’effettiva finalità perseguita con la reiterazione del regime detentivo differenziato: se non è fondata sull’effettiva permanenza dei rischi di mantenimento dei collegamenti con l’associazione criminale, risulta diretta esclusivamente a imporre una forma afflittiva di detenzione”.