Martedì 16 maggio, il giorno prima dell’inizio del disastro, è stata una bella giornata di sole a Bologna. La città era piena di studenti e turisti per strada a godersi la luce dorata del centro storico. Tante le persone in giro a fare spese o sedute a tavoli dei bar. Chi sapeva che da lì a poco sarebbe iniziata una tremenda due giorni di pioggia avrà pensato di essere in uno di quei kolossal americani sulle catastrofi, che iniziano sempre con scene di gente festante e ignara del pericolo incombente. Le amministrazioni locali sapevano e non si sono fatte trovare impreparate, grazie a un lavoro di coordinamento iniziato qualche giorno prima. Sono scattati i soccorsi con tempestività, e con un lavoro capillare sono stati aiutati tutti casa per casa, famiglia per famiglia. A Bologna hanno utilizzato anche un drone dei vigili del fuoco per portare le medicine salvavita a un’anzianissima signora rimasta isolata in casa a causa di una frana.
Questo va sottolineato soprattutto in un Paese come il nostro, attanagliato dall’antipolitica e, in occasioni come queste, dalla retorica sulla forza della gente, sulla sua operosità, sui fatti contro le parole, su qualche fantomatico carattere regionale di “resilienza”, come si usa dire oggi. È allora bene ricordare che ogni volta che arriva un elicottero, un gommone dei vigili del fuoco o dei carabinieri, un camion della protezione civile, un gruppo di volontari o la polizia municipale, siamo di fronte alla dimostrazione che non è il popolo che ce l’ha fatta, in virtù della sua operosità che non ha bisogno di niente e di nessuno. È la politica ad avercela fatta. Dietro a quei soccorsi ci sono le riunioni di coordinamento e i sopralluoghi che giorno e notte vedono impegnati sindaci, assessori, presidenti di quartiere, capi di gabinetto, autorità idriche, regioni, prefetture, questure, ecc. C’è insomma la politica e quella solidarietà che solo il sentirsi Stato e cittadini riconosciuti dallo Stato e dalle istituzioni può creare.
Forse la retorica dell’essere forti e del farcela da soli può dare coraggio nei momenti difficili, ma quando arriva un soccorritore è bene sapere che è stato mandato da qualcuno che non conosciamo personalmente, che è venuto perché lo Stato, la politica, l’ha inviato a salvarci, anche senza conoscerci. E se prevenzione s’è fatta, per limitare i danni nelle ore precedenti l’emergenza, è perché la politica fa il suo lavoro anche quando i cittadini pensano, giustamente, alle loro occupazioni e preoccupazioni private.
La politica, però, deve trovare ora la capacità di uno scatto di immaginazione a fronte di una crisi climatica che va affrontata prima di tutto con la riflessione filosofica, antropologica e sociale. Il rischio – e già lo vediamo in questi primi giorni dopo il disastro – è quello di una saldatura tra antipolitica e tecnica che, come sempre, scalzerà la politica dal compito di quella riflessione. Quello tra antipolitica e tecnica è un binomio a cui non siamo portati a pensare. Ci pare, infatti, che da una parte ci siano i populisti antipolitici e, dall’altra, i competenti, i tecnici, gli esperti. In realtà, antipolitica e tecnica si tengono stupendamente, da quasi trent’anni in Europa come nel resto dell’Occidente. E in Emilia-Romagna sta montando la solita retorica antipolitica contro gli amministratori incapaci, che si nutre, allo stesso tempo, di argomenti di tipo tecnico: troppo cemento, più manutenzione, casse di espansione, e così via. La saldatura è immediata: meno politica e più tecnica. Ed è quella saldatura grazie alla quale il neoliberalismo continua a prosperare e a essere egemone.
E nessuno sarà allora capace di quello scatto di immaginazione politica per parlare di natura, capitalismo, socialismo, ecologia e orizzonte comunista. Gli emiliani e i romagnoli torneranno a fare le vacanze nei resort e nei B&B, e passeranno i sabati nei centri commerciali, convinti che la tecnica, con tutte le sue manutenzioni-prevenzioni e le sue emissioni zero, li salverà consentendo loro di continuare a vivere come al solito.
Qualcuno forse ricorderà che Legambiente propose, già nel secolo scorso, un grande piano di messa in sicurezza del territorio e di recupero dei fragilissimi centri storici delle nostre città e dei nostri bellissimi borghi. Ebbero la sponda di una minoranza politica comunista e ambientalista, che ancora si arrovellava sul rapporto tra uomo e natura, sul significato del produrre e del contemplare. Tutti gli altri soggetti politici? Non pervenuti. Senza critica del capitalismo, senza tensione a una vita più umana e meno alienata non c’è nemmeno la manutenzione e la cura – non il benessere della pubblicità, delle creme e delle room spa – di sé, degli altri, e dell’eredità dei nostri antenati.