La sindaca uscente, Cristina Ponzanelli, salita alla ribalta solo in occasione delle scorse elezioni, senza alcuna precedente esperienza politica, è stata confermata al primo turno, e il suo personale successo, tradotto in un forte consenso alle sue liste civiche, è frutto della capacità di creare un rapporto di empatia con la città. Non era facile. Sarzana ha un’intensa e lunga storia antifascista, e ben 73 anni di giunte di sinistra sino al 2018. Ancora nel 2018, una sinistra non esente da colpe sul piano amministrativo, divisa in cinque liste, al primo turno delle elezioni ottenne oltre il 60% dei voti, ma riuscì a perdere al ballottaggio. In queste elezioni il centrosinistra ha ripresentato un vecchio ex sindaco settantenne, Renzo Guccinelli, già primo cittadino per dieci anni, tra il 1995 e il 2005, poi assessore regionale ligure per altri dieci, nella giunta guidata da Claudio Burlando.
Guccinelli era uscito dal Pd per protesta contro la decisione del suo ex partito di candidare Ferruccio Sansa come capolista alle elezioni regionali. Per qualche anno, si è estraniato dalla politica. Poi ha annunciato la sua candidatura, sottomettendo il Pd, incapace di esprimere un altro candidato.
Si è parlato in questi mesi di “usato sicuro”, di “unica possibilità di vincere”. La motivazione adotta era che in altre esperienze, come nei casi di Genova e della Spezia, le lunghe esitazioni, e la scelta tardiva dei candidati a sindaco, avevano danneggiato irreparabilmente il centrosinistra, condannandolo alla sconfitta. Guccinelli ha posto da subito la sua candidatura, senza confronto e senza cercare condivisioni. Nel frattempo, un’attenta campagna interna al Pd ha praticamente “conquistato” il partito locale. Si è così creata un’alleanza fortemente voluta e caldeggiata da Italia viva, da Raffaella Paita e da un gruppo locale che fa riferimento all’ex senatore Forcieri e all’avvocato Mione. Si è dunque prodotta una rottura con i 5 Stelle e con una lista a sinistra del Pd, alleata dei 5 Stelle, e appoggiata da Rifondazione Comunista, Sinistra italiana e verdi. Infine, c’era una lista del Partito comunista.
Risultato disastroso. Guccinelli si è fermato a un mediocre 36%; il Pd, che solo dieci anni fa veleggiava al 43% ha dimezzato i propri voti, scendendo al 13%; la lista dei 5 Stelle e della sinistra non arriva al 6%; i comunisti al 3%. È aumentato, seppur di poco l’astensionismo. I votanti sono scesi dal 64% al 62%. Qualcuno ha salutato come un fatto positivo la minore perdita. In realtà, avrebbe dovuto esserci un rialzo della percentuale di elettori. In un comune di 22.000 abitanti e 18.000 elettori, erano in lizza ben diciassette liste con sedici candidati ciascuna. Solo gli ambiti familiari, le amicizie e i colleghi di lavoro, avrebbero potuto garantire più votanti. Ma questo dato smentisce una leggenda politica, secondo la quale le elezioni amministrative sono “più sentite” di quelle politiche e la gente partecipa maggiormente.
Anche nel centrodestra, tuttavia, non mancano i problemi. Il vero vincitore, infatti, è la sindaca uscente con le sue liste civiche, che prendono il 19% e il 7%, mentre crolla la Lega di Salvini dal 14% al 5%, e Fratelli d’Italia, che pensava di diventare il traino egemone della coalizione, ha sì un aumento, ma da circa l’8% al 12%.
Non c’era alternativa? Certo che sbarrare la porta in faccia a un gruppo di giovani che si proponevano, a sinistra, come momento unificante e innovatore per riproporre, ancora una volta, le facce vecchie e consunte della politica non è stata una grande scelta. Si consideri, infine, che le scelte del Pd sarzanese vanno in direzione contraria alla politica impostata da Elly Schlein, che apre a un’alleanza a sinistra, e alla pulizia dei vecchi “cacicchi” dei gruppi di potere locali.
*Presidente del Circolo Pertini di Sarzana