È in sciopero della fame dalla fine di febbraio. È un detenuto recluso al 41-bis. Finora, ha perso “soltanto” dodici chili. Da quanto trapela da ambienti carcerari, “la protesta continua e non è rivolta al 41-bis in quanto tale ma al suo specifico rinnovo del regime speciale”. Solo ieri ventitré detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame. Sabato ventidue, giovedì diciotto. Numeri che cambiano, aumentano, diminuiscono. Detenuti che scioperano, magari solo per un paio di giorni. Altri che si aggiungono. Altri ancora che annunciano di farlo. Protestano perché chiedono di essere ascoltati, di vivere in condizioni più umane, di credere nella loro innocenza. Dimenticati, sentono su di loro il peso della degenerazione del mondo “esterno”. Grida di dolore, fame, morte. Il Covid, la guerra in Ucraina e gli aumenti del costo della vita e della disoccupazione. E sentono, sanno, che la risposta repressiva del governo è una dichiarazione di impotenza ad affrontare i veri problemi della società.
Vedono, in parole povere, il loro futuro senza un briciolo di speranza. Sorridevano felici i ministri del governo della destra quando la presidente del Consiglio giurava solennemente che mai avrebbe cambiato o cancellato il 41-bis, il carcere duro. Erano i giorni dello sciopero della fame del detenuto Alfredo Cospito, anarco-insurrezionalista condannato per attentati e gambizzazioni. Chiedeva, Cospito, l’abolizione del 41-bis, per sé e anche per gli altri detenuti (mafiosi).
In quei giorni (20 marzo scorso), in via Arenula, sede del ministero di Giustizia, e a Palazzo Chigi, facevano a gara a nascondere nei cassetti delle scrivanie e degli archivi, la relazione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, sull’applicazione del 41-bis nei sessanta reparti dei dodici istituti penitenziari che li ospitano. Il quadro che emerge dal Rapporto è di una realtà profondamente compromessa. In gioco, è il rispetto dei diritti della persona. Attenzione, Palma è convinto che il 41-bis, ossia il regime di isolamento dei detenuti ritenuti pericolosi, sia uno strumento necessario per impedire che i boss possano comunicare con l’esterno, con gli affiliati allo stesso clan; ma oggi questo strumento, a trent’anni dalla sua entrata in vigore, sembra rispondere più a una logica di vendetta (il Garante parla di “misura afflittiva”) che di prevenzione.
Intanto, sollecita il Garante, va ridotto il numero dei detenuti sottoposti al carcere speciale. Oggi sono 740. Di questi, 613 hanno sentenze definitive, 200 sono gli ergastolani e 127 i detenuti finiti in carcere nella fase delle indagini preliminari, cioè non hanno condanne sulle spalle, ma solo una misura cautelare, aggravata dal 41-bis. Il dato scandaloso è che l’anno scorso sono stati scarcerati ventotto detenuti sottoposti al 41-bis, perché hanno scontato la pena o sono scaduti i termini della custodia cautelare, o infine perché le loro posizioni sono state archiviate.
Capito? Per il ministro della Giustizia, che firma i decreti di 41-bis su proposta della magistratura inquirente, quei detenuti erano pericolosi e quindi andavano isolati. Di chi è la colpa di questo cortocircuito? Perché 250 detenuti al 41-bis stanno scontando una pena temporanea? Il Garante si interroga su cosa si debba fare, invitando “a riflettere sulla possibilità di un limite massimo di durata” del provvedimento.
Com’è possibile che, negli ultimi dieci anni, il loro numero è più o meno sempre lo stesso? Il Garante raccomanda alle autorità competenti “che non si protragga il regime speciale previsto dall’articolo 41-bis fino al termine della esecuzione di una pena temporanea e che, al contrario, qualora nel periodo previsto per un eventuale rinnovo sia compreso il termine dell’esecuzione penale, si eviti la reiterazione (del 41-bis, ndr). Dando così la possibilità all’Amministrazione penitenziaria di progettare percorsi che gradualmente accompagnino alla dimissione, utili al positivo reinserimento sociale, nonché maggiormente efficaci per la tutela della sicurezza esterna”.
I detenuti del 41-bis vivono in reparti speciali riservati a loro. Ma perché non possono usufruire anche di un certo tempo della giornata all’aperto? Raccomanda il Garante: “In tutte le sezioni di regime speciale siano garantite a ogni persona detenuta due ore di permanenza all’aria aperta, salvo i casi previsti”.
Quando il Palma parla di “misura afflittiva” ha ben chiare le ragioni: “Il Garante raccomanda l’esclusione di misure inerenti alla vita quotidiana non strettamente funzionali alle esigenze di prevenzione dei collegamenti interni ed esterni con la criminalità organizzata, quali l’ampliamento delle possibilità di esercizio del diritto all’informazione con l’esclusione dei limiti orari all’uso dell’apparecchio televisivo e dei limiti alla ricezione della stampa nazionale”. E soprattutto Palma raccomanda “l’ampliamento della possibilità di comunicazione con i propri familiari, in condizioni di sicurezza, ma in numero e forme tali da garantire la continuità delle relazioni affettive”.