La protesta che gli studenti stanno portando avanti in questi giorni è sacrosanta, e va sostenuta come un fatto eminentemente politico, che riguarda la redistribuzione della ricchezza, il diritto allo studio e alla casa (vedi qui l’articolo di Agostino Petrillo di qualche giorno fa sul nostro giornale), più in generale il modello di sviluppo e l’ecologia politica. Infatti, il turismo ipermoderno sta distruggendo il territorio e la vita delle città. Il colonialismo occidentale aveva già distrutto intere regioni del Sud del mondo nei secoli scorsi; e il capitale per fare profitti sta spremendo mari, montagne e fragilissime città secolari, finché non resteranno che dei gusci vuoti senza più abitanti veri e propri, o cittadini e cittadine degni di questo nome.
Il turismo di massa porta con sé vere e proprie forme di servitù, con operatori non solo sottopagati ma trattati da schiavi. Quei lavoratori, anche a tempo indeterminato, non hanno le risorse per prendere in affitto una casa. Si innesca una spirale tremenda tra turismo e crisi dell’abitare, che non è solo difficoltà a trovare alloggi a prezzi equi, ma diventa impossibilità di vivere una vita decente in città fatte di comunità solidali, di centri di aggregazione, di associazioni, di rapporti di buon vicinato, di socialità diffusa (tutte cose che stanno scomparendo sotto i colpi dei centri commerciali, dei B&B, dei resort e della gentrificazione in genere). Con i lavoratori fanno le spese di tutto questo gli studenti, le cui università stanno – come il più delle volte accade – in città in via di modificazione a causa del turismo.
L’ecologia politica rimane però la grande assente, nonostante i venerdì per il pianeta e la retorica green. Ecologia non significa soltanto abbattimento delle emissioni e dell’uso della plastica, oppure auto elettriche. Significa ripensare il nostro modo di abitare, di essere società, all’interno delle città. Per esempio, nessuno può mettere in discussione le auto elettriche: ma i centri storici intasati, e il modello di vita e di socialità imperniato sul trasporto privato, non cambieranno se le auto saranno elettriche e non a benzina.
La mobilitazione degli studenti dovrebbe allora diventare la protesta di tutti i nuovi schiavi del turismo: e su questa possibile saldatura dovrebbe lavorare il sindacato. Agli studenti verrebbe da chiedere uno sforzo ulteriore: quello di rifiutare ciò che stanno imparando nelle università. Stanno insegnando loro che l’ecologia è il green, e che è possibile continuare a vivere oltre ogni limite, grazie appunto alla tecnica che si farà carico dell’azzeramento delle emissioni inquinanti.
A partire da quelle tende si cominci a ragionare piuttosto sul fatto che ecologia è prima di tutto cultura del limite, è l’idea che il mondo non è un insieme di cose da prendere e sfruttare, ma la casa in cui abitiamo, in cui ci riconosciamo, in cui proviamo a trovare un modo di lavorare, senza essere alienati. Ecologia non è vivere come viviamo oggi ma senza inquinare, per poter consumare ancora di più e meglio, e magari non morire di cancro perché l’aria sarà più pulita. È mettere in discussione una tecnica che ci sottrae ogni giorno sempre di più la possibilità di decidere delle nostre sorti, di decidere cosa produrre, per quali bisogni e in quale modo. È l’idea che la natura non può essere sottomessa all’uomo per produrre oggetti, ma è il luogo in cui l’uomo abita. E abitare non significa solo avere un tetto sulla testa, ma anche e soprattutto avere un luogo in cui riconoscere gli altri ed essere riconosciuti senza sforzo, in cui trasformare la natura non per consumare cose, ma perché essa possa esprimere possibilità nascoste grazie al lavoro e alla cultura-coltura degli esseri umani.