La destra è alla ricerca di una legittimità culturale. Non le basta il bottino degli apparati occupati in queste settimane, ultimo il palazzo della Rai di viale Mazzini. L’eccentrico ministro Sangiuliano si aggira fra musei e centri artistici alla ricerca di qualcosa o qualcuno da adottare. Il nodo riguarda la collocazione di una cultura reazionaria nell’attuale scenario, in cui il mercato sta facendo correre il sapere allontanandolo dalle tradizionali e rassicuranti sponde moderate. In discussione c’è oggi la riprogrammazione stessa della vita umana mediante le biotecnologie, spinte dalle correnti anarco-capitaliste che pretendono di applicare il liberismo finanziario alla cura del corpo, con soluzioni e interventi che si basano sulla rigida subordinazione degli individui ai grandi centri tecnologici privati.
Nei giorni scorsi, in soccorso del vincitore, è arrivato il solito Ernesto Galli della Loggia, che si è spericolatamente cimentato in un ennesimo gioco delle tre carte per accreditare un ruolo progressivo dei conservatori. L’opinionista del “Corriere”, in un editoriale sul quotidiano milanese, si inserisce nella scia trentennale del fortunato saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra (Donzelli editore), per dare una sua versione dell’attualità di un pensiero conservatore nel pieno dell’ondata tecnologica. Nel mirino la figura del progressista, versione ancora attuale di una visione tenacemente di sinistra nel Ventunesimo secolo, che si caratterizzerebbe per una permanente fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive” di un futuro linearmente migliorato dall’evoluzione tecnologica, che invece – scrive – alla luce di quanto sta accadendo, con l’irruzione nelle nostre vite dell’intelligenza artificiale, minaccia oggi chiaramente di “sostituire il naturale con l’artificiale”. Se cambia il volto e il destino del progresso – argomenta golosamente Galli della Loggia – cambia anche la funzione e l’immagine di un conservatorismo che non sarebbe più caratterizzato dall’interesse a frenare il futuro positivo, quanto piuttosto a controllare e umanizzare una tecnologia indiscriminata.
Una visione che, oggettivamente, dà corpo e attualità al dualismo su cui ragionava Bobbio, contrariamente all’ideologia dell’omologazione fra destra e sinistra propugnata dai sostenitori mascherati della “fine della storia”. Solo che il senso di quella contrapposizione di valori e di culture è esattamente l’opposto di ciò che tenta di accreditare Galli della Loggia. Perché le forme incontrollate del mercato tecnologico sono esattamente la conseguenza di quella deregolamentazione e brusco ridimensionamento di ogni spazio pubblico, che proprio la destra conservatrice ha propugnato, eccitando quegli “spiriti animali” del capitalismo che hanno anche consumato ogni posizione moderata e centrista, sostituendola con una radicalizzazione dei ceti medi proprietari, che ha mutato volto alle democrazie occidentali, come la vicenda del nostro Paese può abbondantemente dimostrare. Ma anche perché il versante progressista e democratico, che oggi rappresenta la maggioranza di una possibile sinistra, trova la sua ragion d’essere proprio in una contrattualizzazione sociale dei processi digitali, rendendo proprio quei valori che la destra considera intoccabili – l’oggettività della meccanica numerica e l’intoccabilità dei sistemi di calcolo – oggetto di una possibile negoziazione conflittuale, che mirerebbe a rendere il mondo tecnologico da esclusivo, privato e costoso, trasparente, condiviso e mutualistico.
Più che una contesa idealistica sull’idea di calcolo, quello che Galli della Loggia non vede, condannando ancora una volta la destra conservatrice ai margini della storia, è che l’innovazione tecnologica non è la conseguenza solo di strategie di ristrette élite, che impongono procedure e linguaggi discriminatori, come sembra indicare il commentatore con l’esempio dei risponditori automatici telefonici, che renderebbero impossibile alla maggioranza dei cittadini di accedere e contestare il funzionamento dei nuovi servizi. Quanto invece – ed è qui una delle differenze non solo fra destra e sinistra, ma anche all’interno della stessa sinistra, fra chi considera la tecnologia un complotto del capitale e chi la vede, invece, come un’opportunità da riprogrammare – il fatto che l’automazione, come spiega nitidamente Bernard Stiegler nel suo La società automatica (Meltemi editore), è oggi l’unico linguaggio che permette a un’umanità aumentata di partecipare alla vita moderna.
Galli della Loggia come i conservatori di ogni estrazione, sia di destra sia di sinistra, si rifanno a un piccolo mondo antico – direbbe Fogazzaro –, in cui era più intima e sicura la vita relazionale, anche se più discriminatoria ed esclusiva. Stiamo parlando di quella ristretta “società del benessere” che, fino a qualche decennio fa, coinvolgeva non più di settecento-ottocento milioni di individui che vivevano, con grandi differenze ma sicuramente anche grandi privilegi comuni rispetto al resto del mondo, nell’Occidente dominante: Europa, Nord America e “tigri asiatiche”. In quel salotto perbene le relazioni e i servizi erano agevolmente gestibili umanamente. Sanità e informazione, per fare un esempio, erano sistemi artigianali, organizzati attorno al contatto diretto fra figure di mediazione – il medico e il giornalista –, che distribuivano saperi e informazioni. I centralini potevano parlare i dialetti, assistendo personalmente gli utenti.
Oggi abbiamo dinanzi una platea di almeno cinque miliardi di persone, che pretendono di usufruire di quelle garanzie, di essere curati e informati esattamente con quegli standard di qualità. Di più: oggi, a differenza di quel piccolo mondo antico, i cittadini, a tutte le latitudini, perfino in regimi autarchici e autoritari, esprimono una forte ambizione a partecipare direttamente all’organizzazione dei servizi, personalizzandone la distribuzione.
Questa è la matrice di quei disagi e di quelle evoluzioni che stanno riorganizzando ambiti come appunto il sistema giornalistico o quello sanitario. Il mediatore non può più contare su un primato indispensabile. Come si può assicurare assistenza o notizie a cinque miliardi di persone se non con sistemi ad alta automazione? Come si può garantire un’ecografia a una puerpera dell’Amazzonia, o l’opportunità relazionale e informativa a una comunità centro-africana, se non smaterializzando le infrastrutture attraverso smartphone e sistemi artificiali?
In realtà i conservatori, a differenza di quanto scrive Galli della Loggia, non si oppongono a uno “snaturamento della vita individuale e della vita sociale, promosso dal combinato disposto di progresso tecnico e interessi economici” – ma, avendo agevolato la strada al liberismo finanziario, vogliono oggi proteggere le aree privilegiate del mondo, distinguendole dal resto dell’umanità, che pretende di condividere con noi il modello di vita. Per questo, contesta immigrazione e innovazione, cercando di alzare steccati dinanzi alla contaminazione comunitaria che il mondo digitale comporta, persino sul mercato più sfrenato. Semmai è la sinistra che dovrebbe dare un’anima a questa svolta comunitaria, togliendo dalle mani dei gruppi monopolisti privati l’idea di libertà e di egualitarismo nei servizi, che tengono in ostaggio, contestando il controllo proprietario di risorse pubbliche quali sono i dati e i sistemi di calcolo. Ancora una volta, la bussola democratica indica che solo accelerando il progresso, e governandone meccanismi e valori, può essere superato il vecchio mondo. Cosa che i conservatori non vogliono.