La data del 4 maggio, in cui è stata “posata” la prima pietra della costruenda nuova Diga Foranea, la più costosa tra le opere da realizzare con il contributo del Pnrr, parrebbe destinata a entrare negli annali della storia genovese e nazionale, se non addirittura mondiale, almeno se si dà credito alle strampalate affermazioni di alcuni dei politici partecipanti alla cerimonia. Il presidente della Regione Toti ha dichiarato trattarsi di “una tappa fondamentale di un nuovo Risorgimento, che oltretutto prende il via negli stessi giorni di maggio che videro i Mille di Garibaldi partire dagli scogli di Quarto: un secondo Risorgimento che, partendo da Genova, può scuotere tutta l’economia italiana e portare benessere a tutto il Paese”. E ha aggiunto in maniera sfacciatamente autoapologetica: “Il lavoro per arrivare a questo traguardo è stato lungo e faticoso, ma è la dimostrazione che in Italia le grandi opere si possono realizzare (…); ogni polemica mi pare fuori luogo davanti a un’opera che prova le capacità ingegneristiche e costruttive del nostro Paese, oltre a creare migliaia di posti di lavoro (…); celebriamo anche una politica che ha dimostrato di saper decidere e costruire, parafrasando quanto diceva Albert Einstein, ‘chi pensa che qualcosa sia impossibile, dovrebbe evitare di disturbare chi ce la sta facendo’”.
Gli ha fatto eco Matteo Salvini: “Grazie all’Italia del sì che è in questa sala. Venendo da Milano pensavo a Leonardo da Vinci e al sistema di conche sui navigli che sarebbe stato bocciato ai suoi tempi da quelli che dicono sempre no. Gli avrebbero detto che è matto. Che costa troppo. Per cui ringrazio chi riporta Genova al centro del mondo, perché era al centro del mondo con le banche, con il calcio (…). I critici dicono che mai è stata fatta prima una diga così, ma l’Italia è il Paese dove si osa, dove si crea con gli ingegneri migliori al mondo”. Così, tra i Mille, Leonardo, Einstein, e l’ingegno italiano che osa l’impossibile, la giornata si è svolta tutta all’insegna del trionfalismo e della retorica di quart’ordine.
La “posa” della prima pietra è in realtà consistita unicamente nella gru di una nave che ha versato un carico di ghiaia in mare, ma non potevano mancare gli spettacoli e i cotillons: al termine della cerimonia, le autorità presenti insieme all’amministratore delegato della Webuild – la cordata di costruttori vincitrice dell’appalto – si sono recati al Porto Antico di Genova, dove tre palloni aerostatici di 4,5 metri di diametro hanno sollevato nel cielo, con una contemporanea analoga performance in piazza De Ferrari, la riproduzione in scala dei cassoni che dovrebbero andare a comporre la diga, accompagnati dalla musica di “la leggenda del pianista sull’oceano” di Ennio Morricone. Sulla riproduzione dei cassoni campeggiava la scritta “Immersi nel futuro”. È seguita la consueta abbuffata di prodotti tipici, e la sera successiva uno spettacolo pirotecnico sul mare.
All’insegna del Kitsch caratteristico della comunicazione politica contemporanea, si avvia l’impresa che l’ingegner Pietro Silva, uno dei maggiori esperti del settore, docente universitario e consulente, ha definito “l’inizio di un incubo”. In una disperata lettera aperta fatta circolare alcuni giorni fa, “sperando in un sussulto da parte della società civile”, Silva ha ricordato tutti i punti deboli dell’opera, che ha da tempo denunciato, completamente inascoltato. La diga proposta dall’Autorità portuale è un progetto mastodontico, assolutamente sovradimensionato, anche rispetto agli stessi obiettivi che si ripromette. Il layout è inadeguato, con un cerchio di evoluzione delle grandi navi troppo a ovest per servire al bacino storico e presenta gravi problemi dal punto di vista della sicurezza della navigazione. La rotta d’ingresso e uscita delle navi non è parallela alla diga: questo difetto – del tutto inusuale – potrebbe facilitare in condizioni avverse impatti tra navi e diga stessa.
Il punto più debole del progetto è però il rischio tecnico altissimo che presenta, dato che prevede la realizzazione della diga a cinquanta metri di profondità, su di uno spesso strato limo-argilloso inconsistente, una profondità in cui l’indispensabile consolidazione di tale strato è – a detta degli esperti – impossibile. Il metodo di consolidazione proposto – una rete fitta di colonne di ghiaia che dovrebbero attraversare tutto lo strato inconsistente e assestarsi nello strato sabbioso sottostante – è normalmente realizzato a terra, oppure a mare ma su profondità modeste, che finora non hanno mai superato i ventisette metri.
La possibilità di un nuovo Mose, di una grande opera pressoché interminabile, sotto questo profilo, è evidente. Ci sono inoltre aspetti non marginali di ricaduta sulla città delle opere che si stanno avviando. Da un punto di vista urbanistico, l’ambizione di realizzare un grande terminale contenitori – rumorosissimo e sempre più automatizzato –, davanti a quartieri ad alta densità abitativa, appare ovviamente uno sproposito, un’operazione che rischia di aprire un conflitto tra il porto e la città; ed è del tutto in controtendenza rispetto agli orientamenti più moderni nello sviluppo delle strutture portuali, che sono invece indirizzati a realizzare green ports. Come ha sottolineato un comitato di cittadini, nato per rispondere al progetto, qui del green neanche l’ombra o la menzione, nonostante gli “stretti criteri di sostenibilità” sbandierati dai costruttori. Non solo si vuole creare un terminale per grandi navi contenitori davanti alle abitazioni del lungomare Canepa, ma, a causa della facilmente prevedibile lunga durata di un cantiere di opere marittime interno alla città, sono previsti impatti gravi, diversi nel tempo e nelle zone, come ha richiamato una recente manifestazione cittadina, di cui abbiamo già in precedenza parlato (vedi qui).
Sul piano ambientale potrebbero esserci altri danni, visto che si è pensato – “per risparmiare” – di utilizzare i detriti provenienti dalla demolizione della diga attuale come materiale per il basamento della nuova diga. Materiali di risulta di cui non si conosce bene il potenziale inquinante, come ha denunciato Legambiente, e che potrebbero alterare il delicato equilibrio dei fondali. Suscita inoltre inquietudine il previsto aggiornamento della rete ferroviaria, che dovrebbe essere un giorno in grado di trasportare migliaia di container verso gli scali logistici più importanti del Nord. Una ferrovia sotterranea passante sotto il quartiere di Sampierdarena dovrebbe andare a raccordare la mega-struttura portuale con gli snodi ferroviari già esistenti, con un traffico previsto di decine di treni al giorno.
Le preoccupazioni non sono solo dell’ingegner Silva e degli abitanti delle zone interessate dalla realizzazione della Nuova Diga, voci critiche giungono anche dal mondo dello shipping: l’opera nascerebbe già vecchia, rispetto alle continue trasformazioni del mondo dei trasporti e della logistica, con il rischio di ritrovarsi, anche una volta venisse completata, di fronte a una struttura divenuta nel frattempo obsoleta.
In ogni caso, the show must go on, e – nonostante manchino ancora valutazioni importanti dal punto di vista geotecnico, e la progettazione esecutiva non sia stata ancora completata – non si poteva perdere l’occasione di autocelebrarsi. La “giunta del fare”, l’“uomo del ponte” con il suo codazzo di cortigiani, i comunicatori creatori del “modello Genova”, non potevano perdere l’ennesima occasione per fare parlare di sé. Ma le ombre intorno a tutta l’operazione crescono. Solo il tempo saprà dirci se l’ingentissima somma di denaro richiesta dall’opera, valutata in due miliardi di euro, avrà avuto un impiego sensato, e quali saranno le conseguenze degli immani lavori per la città nel suo complesso. Per il momento Genova più che “immersa nel futuro” pare più che altro “sommersa” da problemi economici e demografici, cui non è facile trovare soluzione, e inondata da un fiume di denaro pubblico speso in maniera discutibile.