C’eravamo dati appuntamento il 30 marzo scorso, nella sede della Fondazione per la critica sociale e della redazione di “terzogiornale”. Al nostro forum sul welfare hanno partecipato: Enrica Morlicchio, docente di Sociologia economica presso il Dipartimento di scienze sociali dell’Università Federico II di Napoli, una studiosa che si occupa in particolare di povertà ed esclusione sociale; Maurizio Franzini, già professore di Politica economica presso la Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma, è stato presidente facente funzioni dell’Istat, ora responsabile scientifico del programma VisitInps; e Stefano Cecconi, segretario nazionale dello Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil, sindacalista con una lunga esperienza in Cgil nazionale come responsabile delle Politiche sanitarie e del welfare. Per “terzogiornale” erano presenti Rino Genovese e Paolo Andruccioli. La prima puntata (vedi qui) è stata pubblicata il 27 aprile. Questa è la seconda parte sulle proposte
Metà dei futuri pensionati sarà povera
Maurizio Franzini
Per quanto riguarda il futuro, ovvero la questione delle pensioni povere, è necessario intervenire con delle misure che precostituiscono l’ammontare equivalente della contribuzione per far sì che quando si arriva all’età pensionabile si possa avere una pensione dignitosa. Secondo calcoli fatti con altri colleghi (Michele Raitano e altri), almeno il 50% di quelli che hanno già vent’anni di contributi, hanno accumulato risparmi che non gli permetteranno di arrivare alla soglia della povertà. Se continuano con questo andamento, avremo un numero esagerato di pensionati che non hanno accumulato contributi per avere una pensione normale. Si tratta – com’è evidente – di un problema molto serio che deve essere affrontato oggi. Ma i segnali che ci arrivano sono tutti preoccupanti.
Intervento di Maurizio Franzini: “Una pensione di garanzia per tutti”
L’illusione del taglio del cuneo fiscale
Maurizio Franzini
Queste considerazioni di Maurizio Franzini le abbiamo raccolte durante il nostro forum prima della presentazione del Decreto lavoro varato dal governo il primo maggio. Le riproponiamo perché Il ragionamento dell’economista ci pare confermato dalle scelte fatte.
A proposito del Def, il Documento di economia e finanza, si è parlato di tre miliardi del cosiddetto “tesoretto”. È probabile che si tratti di un artificio contabile, non illegale. Qualche spesa di competenza che diventa di cassa rendendo disponibili i tre miliardi. Queste risorse il governo vorrebbe metterle in campo per la riduzione del cuneo fiscale. Si ridurrebbero quindi i contributi che i lavoratori e i datori versano. Intanto stiamo parlando di una una tantum, e quindi non sappiamo che cosa succederà il prossimo anno. Inoltre, non c’è nessuna garanzia che ne beneficino i lavoratori perché esperienze precedenti di taglio del cuneo fiscale si sono tradotte, alla fine, in una riduzione dei salari lordi (con i salari netti che rimanevano invariati a fronte di un aumento dei profitti delle imprese). Si tratta di un problema molto delicato, che dimostra comunque che le questioni di fondo non sono all’attenzione di chi governa, altrimenti si imboccherebbero altre strade. I tre miliardi si potrebbe spendere in un altro modo. Se pensiamo, per esempio, allo stato in cui si trova la sanità pubblica in Italia, ci rendiamo conto che con un investimento di tre miliardi qualcosa si potrebbe fare: a cominciare, per esempio, da un intervento sui pronto soccorso, che sono perennemente in emergenza.
Intervento di Maurizio Franzini: “Quei soldi si potevano spendere meglio”
Quale redistribuzione della ricchezza
Enrica Morlicchio
Per quanto riguarda il problema della contribuzione, dice Enrica Morlicchio, come abbiamo già spiegato nella prima parte di questo forum, il nostro è già un sistema misto. Io penso comunque che sarebbe auspicabile il passaggio a un sistema di fiscalità generale, come nei sistemi universalistici più avanzati, ma sulla base di una riforma del sistema fiscale che sia effettivamente redistributivo, ovvero con una capacità di redistribuzione dalle categorie più ricche a quelle più povere. Insomma, una redistribuzione effettiva affiancata da una lotta, anche questa effettiva, all’evasione fiscale a tutti i livelli, perché spesso l’attenzione si concentra sull’evasione fiscale del piccolo commerciante o dell’artigiano, ma poi non si presta la dovuta attenzione all’evasione su scala molto più ampia.
Intervento di Enrica Morlicchio: “L’evasione fiscale la madre di tutti i mali“
Le tre cose da fare
Stefano Cecconi
Per Stefano Cecconi le politiche da fare vanno in più direzioni: la prima è quella di valorizzare e qualificare il lavoro, e quindi il salario e la condizione di stabilità, perché questo permette ai singoli di costruirsi un futuro previdenziale diverso. Il secondo intervento è quello di predeterminare il futuro pensionistico di chi non ha le condizioni di garantirsi una pensione sufficiente e dignitosa. E questo prevede la necessità di mescolare la fiscalità generale con il sistema basato sulla contribuzione di chi lavora. Ed è evidente che già questo crea un problema enorme, perché confligge con le politiche del governo (quello in carica in particolare), che invece di cercare le risorse finanziarie laddove si annidano (evasione fiscale e grandi ricchezze), sta privilegiando scelte che impoveriscono il sistema fiscale, rendendo più difficoltosa questa operazione. La terza grande questione riguarda la necessità di allargare la platea contributiva, perché il destino e le condizioni dei pensionati non dipendono solo dai loro singoli percorsi individuali, ma anche dalla platea generale che versa i contributi, siano essi specifici per la previdenza, siano essi di natura fiscale. Se non si allarga la platea, che contribuisce a determinare le risorse sia per la previdenza sia per il sistema di welfare in generale non se ne potrà venir fuori. E allora qui parliamo di immigrazione e di una politica che non solo è disumana, ma è anche autolesionista. C’è una miopia sulle politiche riguardanti la conciliabilità tra lavoro e vita famigliare dal punto di vista delle condizioni delle donne. Pensiamo al problema degli anziani non autosufficienti. Si dovrebbero mettere in campo politiche che permettano più libertà e più spazio alle persone che sono costrette (e quasi sempre sono donne) a farsi carico dei parenti non autosufficienti. C’è quindi un mix di interventi da fare, che rende molto complicato, ma anche affascinante, il lavoro da fare sul welfare.
Intervento di Stefano Cecconi: “Il mix di interventi per rilanciare il welfare”
Welfare arcobaleno
Enrica Morlicchio
Se guardiamo a quello che succede negli altri Paesi, riusciamo anche a capire quali sarebbero le scelte da fare. Ci sono stati, per esempio, Paesi che hanno imboccato la via della cosiddetta “ricalibratura”, cioè lo spostamento di risorse da una funzione all’altra. Poi ci sono altri Paesi (dell’area scandinava, che in passato noi abbiamo usato anche come modello) che ora hanno imboccato la strada dello sciovinismo del welfare, ovvero chiudendo la porta di accesso alle prestazioni ai non cittadini e agli immigrati principalmente. E infine c’è la strada della maggiore selettività nell’erogazione dei servizi. Noi in Italia – come succede di solito – siamo in mezzo, facciamo un po’ qui e un po’ là. Non c’è un modello preciso, una visione chiara di una possibile revisione della spesa pubblica che non sia solo in senso restrittivo e selettivo, ma che possa mantenere alcuni livelli di prestazioni. In un’ottica che non sia di breve periodo. Una possibilità è anche quella di una maggiore valorizzazione del Terzo settore, perché noi siamo ancora legati a una visione del pubblico come statale. E invece abbiamo visto, soprattutto nei momenti di crisi come è stata la pandemia, che c’è un ruolo importante del Terzo settore, che ovviamente va regolamentato, deve garantire certi standard di prestazioni. In ogni caso bisognerebbe valorizzare il cosiddetto welfare mix, con il ruolo della famiglia e il mix tra interventi del Terzo settore ed erogazioni dirette da parte dello Stato.
Intervento di Enrica Morlicchio: “Coinvolgere il Terzo settore“
Ma le tasse sono il male assoluto?
Maurizio Franzini
In Italia, come abbiamo già spiegato nel corso di questo forum, si è costruito un sistema misto tra intervento statale e forme di welfare a misura di individui con la sanità privata, i fondi previdenziali, il welfare aziendale, eccetera. Negli anni passati, si è anche discusso sui possibili effetti negativi sulla tenuta generale del welfare universale. Ma la domanda a questo punto è: perché si è scelta questa strada? Il discorso che non ci sono risorse non mi convince tanto. In un mondo politicamente “corretto” se il problema fosse stato solo quello di recuperare risorse, si sarebbe cercato in altre direzioni. Bastava guardare all’evasione fiscale, oppure andare a guardare quelle forme di spreco, che pure ci sono. Ma la mia sensazione è che queste misure piacciono molto ai politici, perché, da una parte, il beneficiario si sente individuato (e quindi ti ringrazia perché gli hai fatto un privilegio). Dall’altra, si rende opaco o difficilmente controllabile il beneficio che stai dando da parte di altri (che ne sono esclusi). Quindi, da un lato, hai i contenti, e dall’altro non hai gli scontenti. Poi c’è un aggancio alle ideologie dominanti. Il discorso è: se bisogna finanziare la sanità pubblica, allora lo Stato mi mette le tasse. Ma invece di finanziare la sanità pubblica si procede con gli sgravi a qualcuno, e quindi le persone non si preoccupano che non avranno più una buona sanità, ma al contrario sono contente perché avranno meno tasse. Naturalmente sto esagerando, ma c’è una combinazione tra interessi individuali e rappresentazione di che cosa è davvero importante. Alla base di tutto questo c’è la convinzione che meno tasse si pagano e meglio è per tutti. Questo è uno dei difetti principali: le tasse sono considerate un male per tutti (anche per coloro che invece hanno dei benefici dalle entrate fiscali). Pensiamo alle reazioni isteriche che scattano ogni volta che qualcuno parla di patrimoniale. Tutti si sentono immediatamente più poveri, come se con la patrimoniale dovesse sparire tutta la ricchezza non si sa in quale direzione. Questa è una costante nel nostro Paese. Una combinazione velenosa: da una parte, l’interesse del politico che non vuole essere responsabile apertamente delle scelte che fa e, dall’altra, che le scelte in questa direzione vadano verso un alleggerimento del carico fiscale: la cosa che conta sempre di più su tutto il resto. Qui, dunque, siamo arrivati al punto: si tratta della necessità di un cambiamento culturale nella nuova cultura della sinistra. Dovremmo riuscire a convincere del fatto che le tasse non sono solo soldi che escono dalle tasche degli italiani, ma sono anche soldi che entrano nella costruzione del benessere di tutti coloro che si dovrebbero arrabbiare quando vengono ridotte le tasse solo a qualcuno. Secondo me questo non è un problema, è il problema.
Intervento di Maurizio Franzini: “Le ambiguità del Welfare fiscale“
È questione di scelte politiche
Stefano Cecconi
Le stratificazioni del welfare nel nostro Paese sono il frutto di scelte politiche, condizioni economiche e culturali. Scegliere che l’università, la scuola e la sanità, siano dei cittadini da tutelare in modo universale, prelevando quanto serve per pagare queste spese da tutta la ricchezza che il Paese produce, è una scelta politica precisa. Nessuno impedisce di farlo, salvo valutazioni sulla sostenibilità economica delle operazioni in altri campi del welfare. Tant’è che per esempio gli interventi di contrasto alla povertà erano nati, anche se in modo contraddittorio, come misure di carattere universale su una platea ben definita di bisogni come per la sanità per la quale scatta la spesa sanitaria quando una persona si rivolge al Servizio sanitario nazionale. Il welfare attiva così il suo intervento. Ma, dal punto di vista del finanziamento, la scelta è che tutti contribuiscano. Il Paese nella sua interezza contribuisce a garantire le prestazioni del welfare. Si tratta di una precisa scelta che può essere motivata dalla necessità di garantire la coesione sociale, ma anche il vantaggio economico per tutti. Avere un Paese istruito, persone preparate, innovazione, capacità di muoversi su terreni sempre più complicati, è un vantaggio anche in termini di produttività e competitività del sistema Italia. Soprattutto adesso, con l’avvento della rivoluzione digitale, se non ci sarà una popolazione preparata e istruita, si rischia di restare molto indietro.
Intervento di Stefano Cecconi: “La scelta”
Ora il vero rischio è la svolta autoritaria
Enrica Morlicchio
L’idea che è stata sostenuta con molta forza da Mariana Mazzucato si basa sul fatto che anche lo Stato può produrre un valore. Molte delle innovazioni di cui hanno beneficiato i settori privati (compreso quello sanitario) sono innovazioni nate grazie ai grossi finanziamenti pubblici. Si tratta di saper vedere il ritorno di questi investimenti, cambiando l’ottica che vede la spesa pubblica come improduttiva. Qui non si tratta (com’è stato detto) di andare a sostenere tutti quelli che stanno sul divano a girarsi i pollici, ma di mettere in campo un investimento sociale di lunga durata. Penso quindi che si debba agire su tutte e due i fronti. Il piano della giustizia sociale, con azioni fortemente redistributive, ma anche attraverso una operazione che deve essere di tipo culturale. Un’operazione che negli anni scorsi è fallita, perché si è creata un’élite sociale autosufficiente, che vive in una sorta di bolla e che ha pensato che poteva in qualche modo isolarsi dal resto della popolazione. Un fenomeno che nemmeno con la pandemia si è arrestato. Si è verificata, quindi, una vera e propria rottura del legame sociale. Se non si ricostituisce questo legame sociale potremmo rischiare di andare incontro a una svolta autoritaria. Questo rischio io lo vedo. Lo vedo molto forte.
Intervento di Enrica Morlicchio: “Un nuovo patto per evitare la catastrofe”