Via Rasella, Roma, 23 marzo 1944. Poco prima delle quattro del pomeriggio, quindi in pieno giorno e soprattutto in pieno centro, lì dove avevano sede diversi comandi delle truppe d’occupazione naziste, il plotone di reclute altoatesine viene attaccato da dodici partigiani comunisti dei Gruppi d’azione patriottica (Gap). L’esplosione di un ordigno, e a seguire di quattro bombe a mano, uccidono trentatré militari nazisti e due civili. Tanti i morti dell’attacco partigiano. Anche perché gli altoatesini erano armati, non portavano certo con sé strumenti musicali. Il giorno seguente, la rappresaglia tedesca (con la complicità degli alleati fascisti italiani che forniscono gli elenchi dei comunisti, degli ebrei, degli oppositori politici) e l’eccidio delle Fosse Ardeatine, 335 morti.
Sabato 22, alla vigilia di questo importante 25 aprile, un incontro in via Rasella per ricordare e per capire il presente. Colpiscono alcuni passaggi dell’intervento dello storico Sandro Portelli. Intanto, nonostante il revisionismo di destra, via Rasella non fu un atto terroristico, ma un’azione di guerra, un episodio di battaglia contro un esercito di occupazione. Roma, per 271 interminabili giorni, fu occupata dai nazisti. Manca, nella ricostruzione storica a uso e consumo del revisionismo della destra, che via Rasella non fu l’unica azione di guerra, e che essa avvenne dopo mesi di violenze naziste in città.
Bella e commovente la lezione di storia di sabato scorso. Tanti romani (ma pochi giovani) seduti come se fossero in un’aula scolastica. E, nel centro del cerchio, una sedia per il “professore”. Risuonano come bestemmie le parole del nostalgico Ignazio La Russa, purtroppo presidente del Senato: “Nella Costituzione non c’è scritta la parola antifascismo”. Qualche giorno prima, lo stesso nostalgico che conserva a casa, gelosamente, i cimeli del ventennio fascista, se n’era uscito con il plotone degli altoatesini arruolati dai nazisti come una banda musicale di pensionati. E prima ancora, nel giorno dell’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva affermato che 335 “italiani” furono trucidati per rappresaglia dell’attacco partigiano in via Rasella. E invece sentir dire, proprio in via Rasella, che non fu così, che quelle affermazioni improvvide della destra oggi al governo offendono la memoria delle povere vittime dell’odio nazista. Fu un atto di guerra. Legittimo, come testimoniato, del resto, dalle motivazioni dei giudici nei processi penali e civili celebrati nel tempo.
Fanno riflettere le affermazioni ascoltate sabato, che invitano a leggere la cultura e i provvedimenti di questo governo di destra in continuità ideologica con il passato. I provvedimenti contro i rave, le donne, gli immigrati, le Ong, la proposta di abolizione del reato di tortura – scelte divisive che, di fronte all’incapacità di governare la complessità dell’oggi, trovano nelle misure autoritarie e repressive l’unica strada possibile. Portelli e gli altri oratori hanno ricordato le vittime della violenza nazista e l’importanza della sconfitta militare che subirono i nazisti con l’attacco di via Rasella. Non è vero che la decisione di uccidere dieci italiani per ogni tedesco caduto fosse una scelta “regolare”, quasi obbligata. A Boves furono trucidati 19 italiani per una sola vittima tedesca, 156 per tre a Civitella, 22 a Caiazzo, dove non era morto nessun nazista. Questo 25 aprile ci ricorda quanto sia importante tenere viva la memoria di quegli anni, che portarono alla sconfitta del fascismo e del nazismo. Non dimenticare, per non rivivere mai più quelle tragedie.