Sono nate male le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Sarzana: per le troppe scorie del passato ancora presenti, e per un nuovo che stenta ad affermarsi ed è persino combattuto con tutti i mezzi dalle vecchie cariatidi del potere locale. Sarzana ha una storia gloriosa per la sinistra italiana. Il comune fu uno dei primi a essere conquistato dai socialisti, già nel 1904; nel 1921 la città e la sua amministrazione comunale, guidata dal sindaco socialista Pietro Arnaldo Terzi, insieme ai carabinieri, per una volta schierati a difesa dell’ordine e della cittadinanza, respinsero l’assalto delle squadracce fasciste, che lasciarono diciotto morti sul terreno. Seguirono anni di esilio, di confino, di condanne del tribunale speciale e di volontari in Spagna. Poi ci fu la resistenza, con la partecipazione in massa dei sarzanesi. Nel 1945 le sinistre (Pci e Psi) riconquistarono il comune, sino al 2018, quando, per la prima volta, si affermò una giunta di “destra-centro”, grazie ai gravi errori delle ultime amministrazioni di centrosinistra, a un sindaco che non riscuoteva fiducia, alle drammatiche divisioni nel campo progressista – e anche a qualche “collusione col nemico”. Così il centrodestra, con soltanto il 33% dei voti, conquistò il comune.
Il Pd, partito di maggioranza, col 22%, più che dimezzato rispetto a un recente passato, non ha saputo esprimere una candidatura. È nata così la proposta, promossa inizialmente nell’area di Italia viva e Azione, con una lista personale locale di ex notabili, della candidatura di un vecchio sindaco di trent’anni prima, Renzo Guccinelli, settant’anni, assessore regionale con la giunta di Claudio Burlando, uscito polemicamente dal Pd qualche tempo fa. Di fatto il Pd locale, disabituato a fare politica e a condurre l’opposizione, ha subito un’operazione, ben congegnata e dotata di buone risorse, simile a un’Opa ostile. Si è fatto “scalare”, e la maggioranza dei suoi aderenti ha sposato la candidatura di Guccinelli.
Da subito, è stata scartata ogni ipotesi di alleanza con i 5 Stelle (14% alle politiche del settembre 2022) e con l’area a sinistra del Pd. Oggi sono quindi in campo quattro candidature: quella della sindaca uscente, Cristina Ponzanelli (della destra “totiana”), appoggiata da tutto lo schieramento di “destra-centro”; quella di Guccinelli, appoggiato da Pd, Iv, Azione e da alcune liste civiche; quella di Federica Giorgi dei 5 Stelle, in alleanza con ciò che è a sinistra del Pd (Sinistra italiana, verdi, Rifondazione); infine la lista di Matteo Bellegoni, candidato comunista.
Gli accordi, fatti solo pochi mesi orsono, appaiono già vecchi e superati. Stridono con la nuova linea del Pd, indicata da Elly Schlein e dalle dichiarazioni degli esponenti del mai nato “terzo polo”, che sembrano preferire un’alleanza a sinistra allo schierarsi con le truppe, ammesso che ne abbiano, di Renzi e Calenda. Nelle primarie del Pd, il voto degli iscritti aveva premiato, seppure di stretta misura, Bonaccini, per il quale si era speso il candidato sindaco. La seconda tornata, aperta agli elettori, ha ribaltato il risultato, segnando il grande successo di Elly Schlein.
Non si può non vedere la contraddizione aperta. Ora, chi appoggia Guccinelli accusa i sostenitori della sinistra, schierata con i 5 Stelle, di avere rotto l’unità. Ma la verità è che l’unità non è mai stata cercata, sin dal metodo scelto da Guccinelli, che si è autocandidato sui giornali locali, e non ha cercato consenso e partecipazione intorno a una possibile candidatura condivisa. Un documento, sottoscritto da duecentocinquanta giovani, al di sotto dei 35 anni – un fatto inedito e molto significativo –, che proponeva un rinnovamento e un ricambio politico e generazionale alla sinistra, è stato osteggiato in tutti i modi. Ai giovani, disponibili a sostenere una nuova sinistra, si è preferita l’eterna riproposizione dei “cacicchi” legati a un vecchio sistema di potere locale.
*Presidente del Circolo Pertini di Sarzana