Mentre temiamo un paradossale ritorno della destra in Spagna (vedi qui), in Finlandia le recenti elezioni hanno sancito la fine dell’esperienza di Sanna Marin, la trentasettenne leader, ormai ex, dei socialdemocratici, forza politica che, come in tutti i Paesi di quell’area geografica, ha governato per decenni garantendo un welfare di alto livello, sia pure ridimensionato in questi ultimi decenni di liberismo, coniugato con una grande tradizione democratica. Ed è proprio qui il paradosso: Marin ha accontentato l’ansia del proprio popolo, intimorito dall’aggressività della Russia, facendo entrare il Paese nella Nato, mettendo così fine a decenni di neutralità. E aveva promesso un rafforzamento dello Stato sociale, con investimenti nella sanità e nell’istruzione. Eppure l’elettorato ha preferito dare fiducia alla destra di Kokoomus, Partito di coalizione nazionale, capeggiato da Petteri Orpo, che ha preso il 20,8% dei consensi (48 seggi), e alla formazione di estrema destra Partito dei finlandesi di Riikka Purra, con il 20,1% (46 seggi). Al terzo posto appunto Marin con il 19,9 (43 seggi). Una distanza minima, dunque, separa le tre formazioni, la qual cosa potrebbe portare alla nascita di una coalizione. A danneggiare l’ex premier è stato soprattutto il calo dei consensi dei suoi alleati, a partire dal Partito di centro, l’Alleanza di sinistra e i Verdi. Questa formazione ha subito un crollo, passando dall’11,5% delle preferenze, e 20 seggi in parlamento, al 7% dei voti e 13 seggi.
Ma torniamo alle ragioni che hanno portato alla sconfitta dei socialdemocratici. L’intenzione di Marin di investire ancora nella crescita promettendo lo stanziamento di altri fondi per rafforzare lo Stato sociale non ha convinto una popolazione più propensa a credere all’allarmismo dei conservatori sul debito pubblico – salito sì in quattro anni di dieci punti, ma restando pur sempre tra i più bassi d’Europa –, e dunque disposta a subire incredibilmente un taglio al welfare che dovrebbe portare a un risparmio di sei miliardi di euro. Qualora Orpo non fosse incline a trattare su questo punto, verrebbe meno ogni disponibilità di Marin, come da lei stessa affermato, a concordare una sua presenza in un esecutivo di unità nazionale. Orpo, che sul tema immigrazione si è dimostrato aperto al contrario di Purra, apertamente razzista, si è fatto forte anche del tema della crisi energetica che toglierebbe risorse economiche allo Stato e ai cittadini, rendendo dunque, secondo il leader centrista, velleitaria una politica di incremento del welfare. Questa sorpresa – tale solo in parte, perché fuori dalla Finlandia la popolarità della giovane donna era stata percepita diversamente che all’interno del Paese, dove la sfiducia era maggiore – pone dei notevoli punti interrogativi sull’universo progressista nel vecchio continente.
Ricordiamo, intanto, che cosa è avvenuto recentemente nei Paesi vicini a Helsinki. In Svezia si era verificata la stessa situazione, con la premier socialdemocratica Magdalena Andersson costretta a fare largo alla destra e all’estrema destra, alle elezioni dello scorso settembre 2022 (vedi qui), mentre la socialdemocratica danese, Mette Frederiksen, è riuscita ad affermarsi, a novembre, solo presentando un programma elettorale spostato a destra. Dopo il 1978, è la prima volta che la sinistra socialdemocratica danese è costretta a un’alleanza con il partito di centrodestra Venstre. Una coalizione che ha messo ai margini l’estrema destra xenofoba dei Democratici danesi. Il tratto comune dei tre governi è il ridimensionamento delle politiche di espansione, in virtù della loro appartenenza al gruppo dei cosiddetti “frugali”, dai quali Marin si stava smarcando, almeno sul piano della politica interna.
Nel resto d’Europa, la situazione è a macchie di leopardo, con una destra minacciosa sempre dietro l’angolo o già nella stanza dei bottoni come da noi. Restando nei pressi del Circolo polare artico, i laburisti norvegesi godono di buona salute, dopo la vittoria alle elezioni del settembre 2021 contro i conservatori. Cambiando scenario, anche in Portogallo nelle elezioni del gennaio 2022 i socialisti di Antonio Costa si erano nettamente affermati contro la destra del Partito socialdemocratico, ma ora devono far fronte a una importante ondata di scioperi soprattutto nel pubblico impiego e nei trasporti finalizzati a ottenere un aumento dei salari e delle pensioni.
Stessa musica per i socialdemocratici tedeschi del cancelliere Olaf Scholz, che governano con liberali e verdi dal dicembre 2021, e devono fronteggiare una imponente ondata di scioperi proclamati per chiedere (anche qui) un aumento dei salari per contrastare l’inflazione. La mobilitazione dei lavoratori tedeschi fa seguito a quella straordinaria, e tuttora in corso, dei francesi che, prendendo spunto dal “no” alla riforma delle pensioni, si sono scagliati contro la politica liberista del presidente Macron nel suo complesso. Una lotta che ha una sponda politica nella sinistra unita nella Nuova unione popolare ecologica e sociale, con Jean-Luc Mélenchon suo principale esponente. Per il resto, la sinistra francese è in serie difficoltà, come i socialisti e i comunisti. Un vuoto difficilmente colmabile, grave soprattutto a fronte dell’aggressività della destra estrema di Marine Le Pen. Del governo spagnolo, il più a sinistra d’Europa, e dei rischi che potrebbe correre alle prossime amministrative e politiche, abbiamo già parlato.
Difficile trarre delle conclusioni sulla base di questo scenario. E comunque la sconfitta dei socialdemocratici finlandesi e dei suoi alleati, fautori di una politica sociale avanzata, a vantaggio di chi vuole peggiorare di fatto le condizioni di vita della popolazione, è un evento grave e preoccupante, che rispecchia una grande confusione all’interno dei vari elettorati, non solo di quello finlandese, più attratti, a quanto pare, dalle sirene dell’austerity che dall’esigenza di tutelare i propri diritti sociali.