Sono arrivati dallo stabilimento Stellantis di Trnava, una fabbrica del gruppo aperta in Slovacchia nel 2006. Sono diciassette operai specializzati slovacchi, che Stellantis ha trasferito da Trnava a Mirafiori, storico stabilimento che fu della Fiat, per lavorare durante alcuni mesi sulla linea della 500 elettrica, una delle automobili più vendute in Europa. La produzione viaggia infatti a gonfie vele, con punte di centomila vetture. Gli operai di Mirafiori non ce l’avrebbero fatta da soli, e altra forza lavoro verrà trasferita dalla Sevel di Atessa. Siamo al “calcio mercato” degli operai europei? È un segno di un cambiamento dell’organizzazione del lavoro o della mancanza di politiche industriali strategiche? Ne parliamo con Giorgio Airaudo, rieletto segretario generale della Cgil Piemonte, un sindacalista di grande esperienza, che conosce molto bene le dinamiche industriali dell’automotive, avendo diretto anche la Fiom regionale.
Airaudo, siamo di fronte a una novità? Ora i grandi gruppi industriali usano gli operai stranieri per indebolire gli italiani?
Per Torino si tratta sicuramente di una novità, anche se un fenomeno del genere era già successo durante le varie fasi di lancio di nuove produzioni o di apertura di stabilimenti all’estero. C’erano stati in passato scambi tra lavoratori stranieri e italiani, in fasi di addestramento in Serbia o in Polonia. Si è verificato il fenomeno opposto: italiani inviati all’estero per addestrare gli operai locali. Ma si trattava sempre di casi limitati. Ora sappiamo di almeno quattrocento lavoratori metalmeccanici che circolano per l’Europa nei vari stabilimenti. Ci sono, per esempio, anche degli italiani che stanno lavorando in Francia. Ma il punto non è questo. La morale della favola è molto semplice e ha due facce. Da una parte, vediamo un gruppo industriale come Stellantis che, in un momento di spinta produttiva su un prodotto, invece di assumere in Italia, sposta la sua forza lavoro dall’estero a seconda delle necessità produttive, e senza fare accordi con i sindacati; il secondo punto riguarda il governo: sentiamo ogni giorno dichiarazioni altisonanti in difesa della nazione e degli italiani, ma poi il governo in carica non ha alcuna proposta di politica industriale e lascia fare a Stellantis, facendo finta di niente rispetto a scelte industriali che rischiano di favorire la Francia. Non c’è uno straccio di idea sullo sviluppo dell’auto elettrica, che evidentemente è il futuro dell’industria della mobilità. Non parliamo poi delle scelte sulla riconversione necessaria in vista di uno sviluppo ecosostenibile. Basti pensare alle dichiarazioni del ministro Salvini e alle scene che abbiamo visto riguardo al ruolo dell’Italia in Europa sui carburanti.
Parlaci meglio di questa 500. Perché Stellantis in Italia ha bisogno degli operai slovacchi?
Il modello della 500 elettrica riscontra un grande successo. È quello che cresce di più, in Europa, in questo momento: siamo a livelli di oltre centomila pezzi e al 25% della produzione italiana. In Italia, però, il mercato dell’auto elettrica è in forte ritardo, siamo stati superati anche dalla Grecia. In Francia si muovono diversamente e con grande lungimiranza. Vengono assunti centinaia di lavoratori, milleduecento solo per produrre modelli elettrici. In Italia, invece, non si assume anche quando ci sono punte di mercato di questo tipo. Siamo alla follia. Il governo dovrebbe cambiare radicalmente il suo approccio alle politiche industriali se si vuole davvero incrementare l’occupazione nazionale (non si diceva una volta “prima gli italiani”?). Per creare sviluppo sostenibile, si deve scegliere l’auto elettrica e, conseguentemente, mettere in campo una serie di agevolazioni per allargare il mercato con incentivi fiscali e agevolazioni per chi compra. Rendere insomma conveniente l’elettrico. Invece l’Italia su questo è in forte ritardo, nelle classifiche europee siamo molto bassi. La Slovacchia è molto più forte di noi, mentre ci vorrebbe un forte incentivo per fare crescere il mercato interno. Ma evidentemente il governo Meloni ha più interesse a riscrivere la storia di via Rasella che a occuparsi dell’industria italiana.
Ma c’è anche una questione di gruppo industriale. Ancora una volta si delega tutto all’impresa, come succedeva con la Fiat degli Agnelli?
Questa storia degli operai slovacchi è l’ennesima dimostrazione dell’assenza totale di una politica industriale. Rinunciare a fare investimenti nel settore dell’elettrico, in un momento in cui nel mondo c’è un riposizionamento generale dei produttori, è una scelta miope. Si tratterebbe invece di mettere in campo politiche capaci di attrarre in Italia produttori stranieri, per superare finalmente il modello antico dell’impresa unica. Si dovrebbero attrarre anche produttori asiatici per farli venire a produrre in Europa. E invece, evidentemente, l’Italia non ci crede e lascia fare alla Francia che sta investendo molte risorse nei settori innovativi. Da questo punto di vista, il “calcio mercato” degli operai si lega più a fenomeni di speculazione commerciale che a un vero e proprio cambio di strategia nell’organizzazione del lavoro. Ovviamente, sono scelte che contribuiscono a indebolire il sindacato. Lo hanno detto con nettezza i sindacati metalmeccanici, Fim, Fiom, Uilm, in questo caso uniti. Ha protestato la Fiom che non ha firmato il rinnovo del contratto aziendale, ma hanno espresso forti preoccupazioni anche i sindacati firmatari.
A proposito di sindacati e di unità. A livello nazionale, tra le tre confederazioni, pare ci siano stati problemi nel decidere le mobilitazioni contro il governo. L’idea dello sciopero generale è già stata messa da parte?
Per come si stanno mettendo le cose, l’esigenza di una risposta forte contro le scelte del governo sta crescendo. Ci sono tutte le condizioni per lo sciopero. Basti pensare non solo ai salari, ma anche a quello che sta succedendo sulla sanità. Siamo al punto di non ritorno. Si sta rischiando di mandare in frantumi l’intero sistema di sanità pubblica costruito dagli anni Settanta. Siamo all’implosione e nessuno si muove. Certo, lo sciopero non basta proclamarlo. I sindacati lo devono preparare bene tra i lavoratori, e per questo sono importanti le assemblee e le mobilitazioni regionali. Ma non ci si dovrà fermare. Le scelte del governo sono sbagliate e pericolose. Il movimento dei lavoratori deve tornare in campo, come si è detto anche al Congresso di Rimini.