Martedì 28 marzo, manifesteremo per la libertà, l’integrità e la giustizia. Tre anni fa, in pieno confinamento, circa diecimila persone si associavano a un appello di RogueESR, al fine di riprendere possesso del mondo e delle nostre vite, e affermare che l’impegno per la libertà e la responsabilità degli studiosi e di tutta l’Università va di pari passo con una rifondazione democratica, ecologica e sociale delle istituzioni. Tre anni dopo, ecco che un nuovo momento parossistico della crisi democratica francese viene a cristallizzare quelle aspirazioni, lasciando intravedere la possibilità di realizzare a breve tale esigenza.
Le dimostrazioni di giovedì 23 hanno superato in numero e intensità quelle del 7 marzo scorso. Chi vi ha partecipato ha potuto notare la gioia e la vera determinazione dei cortei, condotti dai movimenti di sciopero a oltranza nei settori più strategici dell’economia, ma caratterizzati anche dalla presenza massiccia della gioventù dei licei e dell’università. Soprattutto, la “folla” determinata e allegra era animata da un sentimento, da un’energia che probabilmente non erano stati mai così forti da una ventina d’anni a questa parte: possiamo vincere.
Vincere non significa solo fare arretrare il governo su una riforma respinta dalla quasi totalità dei lavoratori attivi. Rispetto alla situazione attuale, vincere vuol dire anche innescare una ripresa della democrazia deliberativa, appunto quella che il governo sbeffeggia oggi, e anzi approfondirla grazie a una democrazia sociale e ambientale. Come ha notato subito la stampa estera, a cominciare da quella economica di centrodestra, la crisi francese è ormai una crisi di regime che troverà uno sbocco solo in una nuova organizzazione politica, in cui la deliberazione informata e tramite contraddittorio dovrà ritrovare lo spazio che le compete in un regime di libertà ritrovata.
Abbiamo visto come l’intervento di economisti universitari nel dibattito pubblico abbia contribuito a trasformare la percezione del progetto distruttivo delle pensioni, imponendo subito esigenze di esattezza fattuale, di analisi mediante cifre e di semplice lettura dei testi dinanzi un governo abituato ad affabulare con effetti linguistici abbinati a studi d’impatto raffazzonati. Le norme dell’integrità scientifica hanno contribuito a smascherare e a indebolire quel progetto. Vediamo pure come l’entrata delle nostre studentesse e dei nostri studenti nella resistenza ha sconvolto la fisionomia del movimento, e contribuisce a dargli una forza d’urto indirizzata al futuro. Tali sviluppi costituiscono per noi degli obblighi.
Intanto, assistiamo a una fuga in avanti dell’esecutivo: menzogne spudorate, tentativi d’intimidazione, diffamazione delle opposizioni di ogni colore, attentati contro il diritto a manifestare, violenza cieca e criminale: minacce, privazioni abusive di libertà, umiliazioni, pestaggi, violenze sessuali e mutilazioni – e pesiamo le parole. L’antagonismo tra i principi costitutivi dell’università e la pratica del governo non potrebbe essere più chiaro. Anche la deriva del governo ci obbliga.
La forza dei folti cortei sindacali, debitamente dichiarati, che hanno il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione, costituisce oggi il baluardo principale a difesa della democrazia liberale. Ma al di là c’è anche una leva di massa per realizzare, in un prossimo avvenire, quel momento di aggregazione della vita civile con i principi d’integrità intellettuale, di solidarietà e responsabilità sociale, che per noi stanno alla base dell’idea stessa di università. Il nostro posto è in quei cortei, vicino alle nostre studentesse e ai nostri studenti. Nella legittimità della folla.