In fondo non è importante come sia andata veramente. L’immagine del gruppo quasi scultoreo formato da Dario Nardella, sindaco di Firenze, dal millennial imbrattatore e dal vigile urbano, ha fatto il giro del mondo, finendo sulle pagine dei principali quotidiani del pianeta. Qualcuno ha avanzato dubbi sulla reale dinamica della vicenda: lo “Spiegel” insinua la possibilità di una “messa in scena”, ma la sostanza non cambia. I teorici della comunicazione hanno insegnato che l’effetto mediatico di un’immagine non dipende dalla sua verità. Una delle foto più celebri del Novecento, la “morte di un miliziano spagnolo” di Robert Capa, probabilmente è un falso – ma un falso più vero del vero, in quanto, come diceva Adorno, il contenuto di verità di un’opera è direttamente connesso alla storia, e solo in questo senso è parlante oppure muto. E il “miliziano spagnolo” ha parlato a intere generazioni, raccontando la guerra civile.
Più modestamente, se rimaniamo a quello che la foto scattata davanti a Palazzo Vecchio ci suggerisce, vediamo il sindaco di Firenze, trafelato e aggressivo, operare un vero e proprio placcaggio rugbistico nei confronti di un millennial, catturato nel momento in cui tenta una maldestra fuga dopo il lancio della vernice (delebile). A officiare la cerimonia della intercettazione materiale e simbolica, un vigile che rimane sullo sfondo per non ridurre l’importanza della solitaria azione di Nardella, cui conferisce peraltro, con la sua presenza, la garanzia della legalità istituzionale, evitando il possibile equivoco di una lettura in termini di semplice confronto generazionale. Il dress code del sindaco è quello dei ceti medio-alti: lussuoso mocassino d’ordinanza, jeans di marca. Il millennial abbrancato è invece vestito in maniera approssimativa, quasi misera: spiccano in particolare gli inusitati pantaloni a righe, che richiamano i personaggi della commedia dell’arte: il servitorello infido e attaccabrighe, il contadino pigro e furbo, i Brighella, i Pulcinella. La divisa del vigile rafforza la scena della cattura: rimanda a un ordine ricostituito, a un decoro salvato. La fragilità e la goffaggine dell’imbrattatore contrastano con la maschia determinazione del sindaco, impegnato in una performance insolita, ma non per questo meno efficace nel suo operare. Nei giorni successivi Nardella, sulla scia dell’evento di cui è stato protagonista, non ha mancato di farsi riprendere mentre fa le lodi di Piazza della Signoria, con sullo sfondo ciò che rimane dello spruzzo sul bugnato.
Il discorso sotteso all’immagine non potrebbe essere più chiaro: non c’è spazio per queste azioni, i millennial si arrangeranno, useremo le maniere forti, non ci importa nulla del report annuale dello Ipcc, che annuncia l’incalzare ormai prossimo e incontrastato dell’apocalisse ambientale – di cui ha così bene parlato Enzo Scandurra su queste stesse pagine (vedi qui) –, e i giovani contestatori non contano niente, sono grotteschi e dannosi. Ha un bel protestare nel suo comunicato il gruppo “Ultima generazione”, spiegando che l’azione non aveva certo intenzioni vandaliche, quanto di segnalare l’inerzia del governo italiano sulla questione climatica e la scarsità degli strumenti messi finora in campo al riguardo. Rimane certo il salto di qualità dalle precedenti proteste, in ambito museale, fino a questa più recente, che investe direttamente l’eredità architettonica, e rimane per molti versi di dubbio valore politico e propagandistico, anche se di sicuro richiamo mediatico.
A ben vedere, però, c’è anche un altro aspetto, meno evidente e scarsamente menzionato nei commenti. Palazzo Vecchio, che il sindaco così arcignamente sembra difendere, è parte di un patrimonio architettonico e monumentale che la città sta utilizzando in maniera discutibile. Molte sono le accuse di turistificazione selvaggia e di svendita del patrimonio mosse a Nardella. E c’è un intreccio, tra questione ambientale e questione del patrimonio, che non va sottovalutato, anche perché, storicamente, le due battaglie sono spesso andate insieme, e a lungo si è parlato, in proposito, della necessità di apertura collettiva e di “socializzazione” del paesaggio. Il patrimonio, se visto quale componente del paesaggio, è a rischio anche in conseguenza della crisi ambientale. Come lo è per il giro di affari che lo sta interessando. Da tempo, il sindaco si è trasformato in una sorta di agente turistico e immobiliare: ha girato l’Europa con sotto il braccio elenchi di edifici storici da mettere in vendita, mentre il centro di Firenze si è andato svuotando e gentrificando. Una città senza abitanti, preda delle grandi immobiliari e delle piattaforme dell’affitto temporaneo, con un patrimonio che diventa unicamente scenario, cartolina. Negli ultimi anni, si è profilata inoltre una preoccupante alternativa tra tutelare o ristrutturare demolendo, tra conservare la scena urbana di Firenze, sfruttando il brand che fa cassa, o favorire la speculazione immobiliare sull’edilizia storica, creando una situazione sempre più pericolosa. Il rischio è che si proceda a scavare case e palazzi, mantenendo solo le facciate e inserendo, al loro interno, nuove strutture e nuove funzioni, così da renderli più appetibili a ricchi investitori, a scapito dei precedenti abitanti, espulsi verso la periferia. La salvaguardia dell’eredità architettonica e monumentale non può dunque essere scorporata dalla difesa dell’ambiente e dagli aspetti sociali: il patrimonio storico non deve diventare appannaggio del potere e degli affari, ispirati dalla medesima logica “estrattivista” che sta distruggendo il pianeta. La devastazione non è solo quella provocata dagli uragani… Chi sono, allora, i veri vandali?