Dopo dieci anni di pontificato cosa c’è da dire di papa Francesco? Non sembra utile ricapitolare i fronti sui quali è stato impegnato, dentro e fuori la Chiesa: sono tanti e tutti noti. Lo scontro con i populisti alla Trump e Bolsonaro ha avuto ripercussioni nella Chiesa, l’impegno per i profughi ne ha avute fuori dalla Chiesa (e anche dentro, a dire il vero); i sinodi sulla famiglia – con l’aggiornamento della posizione sui divorziati risposati, che non essendo tutti uguali vanno valutati caso per caso per stabilire se possano o non possano accedere all’eucaristia – hanno prodotto addirittura accuse di eresia. La determinazione a non mollare il filo esile e difficilissimo del dialogo con un osso duro come Pechino ha portato addirittura all’incidente di un segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che ha scritto su un giornale del tradizionalismo cattolico per dire che, mantenendo il suo dialogo con Pechino, il Vaticano avrebbe perso la sua autorevolezza morale. Ma non è stato il solo incidente. Un ex nunzio negli Stati Uniti aveva fatto da battistrada, arrivando a chiedere le dimissioni del papa per “coperture” date a un cardinale reo di abusi (non su minori), che proprio Francesco aveva rimosso dal collegio cardinalizio e poi dal sacerdozio. E nel collegio cardinalizio questo presule era entrato molto prima che Francesco divenisse papa.
Ma ricordare anche così, per sommi capi, tutto questo, ha senso? Solo se inquadrato in un discorso, che non è quello della curiosa idea dei cattolici tradizionalisti che contestano (e con quali parole!) il successore dell’apostolo Pietro, l’autorità suprema e – per loro, in quanto tradizionalisti – sempre comunque nel giusto. È un paradosso, una conseguenza di qualcosa di estremamente importante: la trasparenza. La trasparenza ovviamente è un valore in sé: ma qui abbiamo l’esemplificazione di una trasparenza che non ha prodotto alcuna “scomunica”, o censura da parte della Congregazione per la dottrina della fede, famosa per tante censure nella storia recente, o anche per cose molto più pesanti quando si chiamava Sant’Uffizio.
Questo non c’è stato – e non perché Francesco sia buono. In un’intervista del 2017 ha detto: “L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere. Parlando più in generale, devo dire che amo le opposizioni. Romano Guardini mi ha aiutato, con un suo libro per me importante, L’opposizione polare. Lui parlava di un’opposizione polare in cui i due opposti non si annullano. Non avviene neanche che un polo distrugga l’altro. Non c’è contraddizione né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. La tensione rimane, non si annulla. I limiti vanno superati non negandoli. Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni”.
Se si vuol capire bene cosa significhi, possiamo provare a usare l’accetta: l’opposizione polare classica del giorno d’oggi, quella tra globalismo e localismo, non va risolta; il globale e il locale sono due poli che devono rimanere in tensione tra loro, questo ci arricchisce, e può portarci a una soluzione che sta su un piano più alto. Ma l’opposizione resterà, e occorrerà ancora esercitarsi, confrontarsi dentro di noi e tra noi, e poi salire ulteriormente. Lui, per stare a questo esempio, apprezza la globalizzazione, ma non apprezza questa globalizzazione, la vorrebbe rispettosa del locale, cioè delle diversità. Ma questa formula non è magica, non è un’ideologia, è un’impostazione che nella realtà del fare, della vita, deve portarci a capire, vedere, a non temere la contrapposizione e poi, se necessario, a correggere. Perché un altro caposaldo, per Bergoglio, è che la realtà è superiore all’idea. Un altro esempio, al quale si è spesso richiamato per spiegare la tensione polare, è quello tra innovazione e continuità. Le tradizioni sono importanti, ma non aprirsi al nuovo molto spesso le fa essiccare.
Questa visione si coniuga con un’altra certezza di fondo, figlia del Concilio. La Chiesa non è del clero. Il clero è l’uno per cento dei cattolici, forse meno. Ma loro non sono la Chiesa: la Chiesa è di tutti, è dei battezzati. La prima unzione, ha detto Bergoglio, è quella del battezzato. Modificando il discorso, potremmo dire che non ci sono ali marcianti, non ci sono avanguardie. Non c’è qualcuno che sa e qualcuno che deve seguire quelli che sanno. Ognuno, con il suo ruolo e le proprie specificità, serve alla Chiesa. Questa visione conduce al suo impegno per trasformare la Chiesa cattolica, da verticista, centralista, piramidale, in sinodale. Una comunità nella quale si cammina insieme (“sinodo” vuol dire questo, camminare insieme): dunque variamente consapevoli anche del contesto sociale nel quale si opera. Qui il discorso ecclesiale non può essere applicato a quello sociale, politico, democratico, nella sua pienezza: c’è un’enorme diversità. Ma, pur sapendo e sostenendo questo, Bergoglio, parlando di Chiesa sinodale, già nel 2015, ha detto: “Il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che ‘cammina insieme’ agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.
Tutto ciò, oltre a quelle interne alla Chiesa, come fa capire la precedente citazione, ha conseguenze anche fuori di essa. Propone un cristianesimo non arcignamente dottrinale, ma consapevole della complessità del mondo. Questa complessità ci riporta ai poli, alla tensione polare. Non impone, ma discerne, nella realtà della storia.
Si può concludere in questo modo: Bergoglio è un pluralista. Infatti nel documento sulla “Fratellanza umana”, che ha firmato con l’imam dell’università di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, si legge: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. Più chiaro di così…