“Il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte del sesso maschile”: così Engels in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Il pensiero socialista ha saputo mettere a fuoco come l’evoluzione sociale sia consistita in un progressivo asservimento della donna all’uomo: specialmente a partire da quelle culture arcaiche in cui è ipotizzabile, al contrario, un sistema delle relazioni del tutto diverso, incentrato sul matriarcato. È soprattutto però con il passaggio al moderno modo di produzione capitalistico che la regola diventa la monogamia come un regime imposto alla donna, per avere la certezza che il patrimonio lasciato in eredità da un uomo vada proprio ai suoi figli e non ad altri. Ma, come Engels non manca di sottolineare, l’istituto monogamico è ipocrita: permette livelli di trasgressione molto differenti nel caso dell’uomo e in quello della donna, con una tolleranza diversa registrata perfino dai codici, che puniscono l’adulterio della donna e non quello dell’uomo, se non in via eccezionale. E con l’adulterio c’è l’altra immancabile istituzione che accompagna la famiglia, quella della prostituzione.
Oggi si dice che le cose siano cambiate. In parte lo sono, è vero, ma non più di tanto, e comunque non esattamente nella direzione sperata. Il capitalismo si è diffuso a tal punto, diventando “modo di produzione e di consumo”, che non esiste più strato sociale al riparo dall’ipocrisia borghese riguardante la famiglia e, più in generale, i rapporti di coppia. Forse le forme più oneste di oppressione della donna sono quelle ancora presenti nel mondo arabo e islamico: in certi contesti, è proclamato a chiare lettere che le donne non contano nulla per sé, che sono solo cose appartenenti a un marito, a un padre, a un fratello. Lì è evidente l’oltraggio che si fa alle persone.
Un aspetto dell’ipocrisia occidentale sono i bordelli privati nati dopo l’abolizione di quelli pubblici. In Italia ne sappiamo qualcosa, con il berlusconismo che ci ha costruito intorno una piccola epopea – non si sa se più dannosa o proficua in termini propagandistici. Ma è anche vero (come sostiene, tra le altre, Ida Dominijanni) che fenomeni del genere sono la spia di un declino inarrestabile del predominio maschile, il segno di una volontà di potenza ormai ridotta in un angolo dall’ascesa dei movimenti femminili e femministi.
Tuttavia, da contraltare a tutto questo, c’è anche tanta “servitù volontaria”: non qualcosa di specifico delle donne, ovviamente, eppure una trappola in cui esse spesso cadono. Quante delle tante morti femminili – inflitte dal compagno o ex compagno, o dal corteggiatore persecutore – non hanno visto, nella vittima, una sottovalutazione del rischio, cioè della violenza perpetrabile nel contesto di quella ipocrisia formata dalla triade borghese e patriarcale, monogamia-adulterio-prostituzione? È qui che si colloca la radice di una “cultura” della violenza contro le donne che tutti, a parole, dicono di volere estirpare.
Accenniamo al suo grado più elementare. Una donna privata di una propria indipendenza economica (e ancora oggi, in Italia, circa una metà del mondo femminile lo è) è a rischio di subire violenze: per la semplice ragione che non può sbattere la porta di casa e andarsene. Il lavoro non è affatto un che di emancipatorio in sé: ma nel caso di una donna può esserlo, perché le dà autonomia. Così anche sarebbe da mettere in questione un modello non orientato prevalentemente al soddisfacimento dei bisogni sociali, collettivi, ma esclusivamente di quelli familiari (o familistici), quindi individualistici: la sua critica sarebbe essenziale per l’affrancamento femminile dal mondo borghese e dai suoi miti, che fanno rimare il verbo “amare” con “consumare”.
Ogni donna dovrebbe essere consapevole che, da secoli, è in atto una “lotta dei sessi” (o “dei generi”, come più giustamente si direbbe oggi, svincolandosi da un retroterra teorico puramente biologico), che fa parte, irrorandolo senza posa, di un insieme di conflitti sociali più ampio. È questo che andrebbe riattivato, nelle forme nuove che esso assume, per avanzare verso una libertà di tutte e di tutti.