Come si fa a non ricordare Papillon. Il film tratto dall’omonimo romanzo di Henri Charrière, che vide protagonisti due prigionieri interpretati da Steve McQueen e Dustin Hoffman,e i tentativi di fuga dalla famigerata colonia penale dell’Isola del Diavolo, nella Guyana francese? Ma a parte il libro e il film, di questo piccolo Paese – ottantamila chilometri quadrati e circa trecentomila abitanti, vero e proprio pezzo di Unione europea in America latina –, non si ricorda proprio nessuno, a parte i francesi ovviamente. Questa terra, scoperta da Cristoforo Colombo il 5 agosto del 1498, è infatti uno dei tanti Drom-Com (Départements et régions d’outre-mer), veri e propri residui coloniali del vecchio impero francese, di fatto Francia a tutti gli effetti.
Si potrebbe immaginare che, essendo legata mani e piedi a Parigi e avendo l’euro come moneta corrente, la Guyana, una volta ricordata per la sua fama sinistra, goda di una maggiore tranquillità economica e sociale, come succede più o meno negli altri Drom-Com. Invece, per tanti aspetti, non ha nulla da invidiare ai suoi vicini Paesi del continente, a cominciare dal gigante brasiliano.
A Cayenne – è questo il nome, anch’esso sinistro, della capitale – e dintorni la fanno da padrone la criminalità, la povertà e il traffico di droga. Soprattutto, le modalità con le quali viene gestito questo commercio sono inquietanti. Se dalla Francia non arrivano aiuti di nessun tipo, dal proprio dipartimento sudamericano alla “madre-patria”, come si diceva ai tempi del colonialismo, arriva invece tanta droga, contro il cui commercio lo Stato francese riesce a fare poco o niente. In un anno, il traffico di droga tra i due Paesi ammonta a circa quattro tonnellate. Chi fisicamente è adibito all’organizzazione di questo commercio utilizza i cosiddetti “muli”, ovvero persone disposte a viaggiare con piccole quantità di droga utilizzando voli commerciali.
Prima della pandemia, che ha temporaneamente arrestato il commercio a causa della chiusura dell’aeroporto di Cayenne, tredici voli provenienti dalla Guyana francese atterravano ogni giorno allo scalo parigino. “Su ciascun volo – informa il sito “Milano Finanza”– salivano a bordo tra gli otto e i dieci corrieri. La droga veniva sia ingerita (nel 30% dei casi) sia nascosta tra i vestiti (30%) sia trasportata nei bagagli (40%). La quantità media di cocaina trasportata da ciascun corriere era pari a circa due kg nel 2019”.
Un commercio assolutamente redditizio, se consideriamo che per acquistare un chilo di cocaina nel piccolo Paese amazzonico ci vogliono 3.500 euro, e in Francia diventano 35mila. “Secondo l’ufficio antidroga – informa sempre la testata finanziaria –nel 2019 sono stati fermati 1.200 corrieri e sono stati sequestrati 2.500 kg di cocaina proveniente dal dipartimento francese. Ciononostante, il traffico rimane redditizio”. Inoltre,“ i trafficanti adottano una strategia di saturazione – aggiunge il senatore Antoine Karam, già presidente del Consiglio regionale della Guyana francese –,inviano un gran numero di corrieri, sapendo che noi non possiamo controllare tutto”.
Tuttavia, proprio lo scorso primo marzo, le autorità francesi hanno reso noti i risultati della lotta al narcotraffico del 2022, definendoli una “vittoria storica”. Come riporta la testata internazionale “Euroactiv”, promossa in Italia dal “Corriere della Sera”, il ministro Darmanin ha dichiarato che il sequestro di cannabis ha raggiunto il massimo storico di 128,6 tonnellate, con un aumento del 15% rispetto al 2021 e del 47% rispetto al 2017. Sono finite nelle reti della polizia e dei servizi doganali anche 27,7 tonnellate di cocaina, con un aumento del 5% rispetto al 2021. Il 55% della cocaina che raggiunge le coste francesi proviene dalle isole caraibiche e dalla Guyana, una zona di transito chiave per la produzione sudamericana.
Come dicevamo, malgrado l’appartenenza all’Unione europea, il Paese sudamericano non gode di quegli strumenti necessari per mettere un freno allo strapotere delle multinazionali, che si riempiono le tasche grazie alle grandi risorse di cui è ricco il territorio, come oro, piombo, manganese, uranio, bauxite, alluminio, diamanti, idrocarburi. È degna di interesse anche la sua collocazione geopolitica. Da un lato, considerando l’appartenenza della Francia alla Nato, la Guyana francese sarebbe verosimilmente, come sostengono alcuni analisti, un punto di osservazione importante per monitorare e controllare ciò che succede nei vicini Venezuela e Brasile, che, come tanti altri Paesi del continente, si sono smarcati più volte dalle mire egemoniche statunitensi. Dall’altro, non va dimenticato che nella piccola città di Kourou, considerata la porta europea verso il cosmo, è presente il più grande lancio di missili spaziali del vecchio continente.
Stiamo parlando del Centro nazionale di studi spaziali creato, nel 1961, dal presidente Charles De Gaulle. Il luogo venne scelto quando la Francia perse l’Algeria, divenuta indipendente. Dal 1973 è divenuta porto spaziale d’Europa e, due anni dopo, base operativa dell’Agenzia spaziale europea Esa, nella quale non ci sono tutti i Paesi europei, mentre ne sono presenti di extraeuropei. La superficie della base è di 650 chilometri quadrati. È collocata nel bel mezzo della foresta amazzonica, popolata danativi che, paradossalmente, vivono in una situazione di relativa tranquillità, visto che nella base può accedere solo personale specializzato e nessun altro.
La presenza di questa struttura avrebbe, secondo alcuni osservatori, anche un riscontro politico e dissuasorio contro velleità autonomiste di movimenti indipendentisti, che con la Francia non vorrebbero avere più nulla a che fare, visto che il Paese non trae vantaggio dall’essere parte del territorio francese ed europeo. Anzi. Per esempio, il livello dell’assistenza medica è lontanissimo da quello francese, potendo contare sulla metà dei medici generici presenti a Parigi e dintorni, e tre volte meno se si parla di specialisti. Le strutture sono fatiscenti e quasi tutti i beni di prima necessità arrivano dalla Francia, con costi molto più alti, malgrado l’appartenenza allo stesso Stato. La disoccupazione è del 22%,e arriva al 70 se parliamo dei giovani.
Contro questo stato di cose si batte il Mouvement de décolonisation et d’émancipation sociale (Mdes),il cui consenso nel Paese è relativamente basso, tra il 6 e l’8% nelle elezioni politiche. Ma il malcontento è molto più diffuso, e si esprime attraverso altre realtà sociali come il Cgd (Collectif Guyane Décollage), che riunisce spontaneamente tutte le categorie professionali e il sindacato Utg (Union des travailleurs de la Guyane française) che, pur mantenendo un forte legame con la Cgt, il principale sindacato francese, dal 1967 è di fatto indipendente. Tutte queste realtà hanno dato vita, nel 2017, alla vigilia delle elezioni presidenziali, a una mobilitazione sociale durata cinque settimane, senza precedenti, che ha costretto Parigi a firmare un accordo che prevedeva scuole superiori, collegi, ponti, una città giudiziaria a Cayenne, un tribunale e una nuova prigione a Saint-Laurent-du-Maroni. Infrastrutture in via di realizzazione.
Insomma, la società franco-guyanese è tutt’altro che sopita e ha detto la sua anche nella recente quanto insoluta questione delle pensioni, che il presidente Macron, come i suoi predecessori, vorrebbe riformare innalzando l’età pensionabile. Ebbene, anche a Cayenne la gente non è rimasta a guardare, in quanto quella decisione per forza di cose li coinvolgerebbe, rendendo ancora più complicata la vita di un popolo già molto provato. “È un problema che riguarda tutti noi” – ha detto Yannick Xavier, segretario generale dell’Utg che proseguirà la battaglia, in consonanza con quanto sta succedendo in Francia. Questa dipendenza dall’ex colonizzatore appare ancora più insopportabile, se consideriamo che rende praticamente impossibile ogni legame autonomo e di coordinamento regionale con gli altri Paesi del continente. Sganciarsi diventa così un imperativo categorico ma difficilmente realizzabile, considerando anche che in Francia, nella migliore delle ipotesi, si propone una maggiore cooperazione economica per migliorare la vita di quella popolazione. Ma nessuno sostiene che sia giunta l’ora di favorire l’indipendenza del territorio, il cui legame con la Francia è solo una palla al piede per ogni ipotesi di sviluppo armonico e di cooperazione con le realtà dell’America del Sud.