Non è certo un fulmine a ciel sereno. Le residue speranze che il presidente tunisino Kaïs Saïed tornasse un po’ sui suoi passi, rallentando la sua deriva autoritaria, sono ormai svanite del tutto. Anzi, l’uomo ha accentuato la sua propensione repressiva con il rischio, anzi la certezza, che la “rivoluzione dei gelsomini” del 2011, unica sopravvissuta delle varie “primavere arabe”, faccia anch’essa una brutta fine.
Eletto nel 2019 con un grandissimo consenso, che non è scomparso del tutto, nel 2021 ha esautorato dei suoi poteri un parlamento corrotto per poi arrivare, attraverso il referendum del luglio scorso – che ha visto una partecipazione alle urne del 30% per scendere poi all’11 nelle legislative del 17 dicembre e del 29 gennaio –, all’approvazione di una nuova Costituzione che gli ha conferito ulteriori poteri. Il prossimo anno dovrebbero esserci, il condizionale è d’obbligo, nuove elezioni presidenziali, ma è credibile pensare che il capo dello Stato – che a oggi gode ancora di circa il 50% dei consensi –non abbia alcuna intenzione di confrontarsi democraticamente con eventuali avversari politici.
Jawhar Ben Mbarek, leader del Movimento dei cittadini contro il colpo di Stato, è stato tra i principali bersagli di una repressione messa in atto dalla procura nazionale antiterrorismo. Fermato lo scorso 24 febbraio, l’esponente dell’opposizione non si è potuto avvalere del supporto della sua avvocata, Dalila Msaddek, che non ha potuto avere accesso al suo fascicolo. Stesso rischio stava per correre suo padre Ezzeddine Hazgui, rimasto fortunatamente in carcere soloper poche ore. “Mbarek – comunica la testata “Africanews”– è anche uno dei principali leader del Fronte di salvezza nazionale (Fsn), la principale coalizione di opposizione emersa dopo che Saïed ha assunto i pieni poteri in Tunisia”. Una deriva autoritaria che non esitiamo a definire paranoica, nel cui mirino non sono finiti solo politici ma anche giornalisti, giudici – la magistratura dopo la riforma della Costituzione è di fatto dipendente dalla politica –, e addirittura imprenditori che lavorano già in un contesto economico in piena e gravissima crisi. Tutti accusati di cospirazione contro lo Stato.
Dietro le sbarre, soprattutto i leader della Fratellanza musulmana, ricalcando in questo la politica del presidente egiziano al-Sisi. Tra questi, Abelhamid Jlassi, Faouzi Kammoun e Noureddine Bhiri, già ministro della Giustizia, e vicini al partito islamico moderato Ennahda, presente anche in Algeria. Vittime della repressione, inoltre, Noureddine Boutar, direttore della radio indipendente “Mosaique Fm” e l’imprenditore Kamal Eltaief, già uomo legato al dittatore Ben Ali costretto alla fuga dal Paese dalla rivolta del 2011. Eltaief è molto legato agli interessi occidentali, e dunque appare ancora più incomprensibile farne oggetto di repressione; ma ormai non c’è più una logica nell’agire di Saïed.
Non sono mancati arresti di sindacalisti scesi in piazza per manifestare contro il regime, ai quali la Cgil ha espresso immediatamente solidarietà e vicinanza. “Nei giorni scorsi – ha denunciato il principale sindacato italiano – numerosi sindacalisti sono stati arrestati o posti sotto sorveglianza dalle forze dell’ordine. Attacchi culminati con l’arresto del funzionario sindacale dell’Ugtt (Union générale tunisienne du travail), Anis Al-Kaabi, e con l’espulsione dalla Tunisia della segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces) Esther Lynch, presente a Tunisi per manifestare la solidarietà del movimento sindacale europeo al segretario generale dell’Ugtt, NoureddineTaboubi.Unavera e propria campagna per spezzare la resistenza dei sindacati alle politiche in atto, che scaricano sulle spalle di lavoratrici e lavoratori la crisi economica, sociale e costituzionale del Paese”.
Fondato il 20 gennaio1946 da Farhat Hached, il principale sindacato tunisino può contare circa 700mila iscritti e ha una importante capacità di mobilitazione che,in questo caso, ha riempito le piazze di ben otto città. A farne le spese, come dicevamo, anche Anis Al-Kaabi, dirigente della Ugtt, agli arresti dopo una manifestazione. Immediata la mobilitazione a favore di una sua scarcerazione, con un appello firmato da decine di dirigenti politici, intellettuali e sindacalisti. “L’Ugtt non può lasciare il Paese nelle mani di un uomo solo e con una Costituzione redatta dal presidente della Repubblica per costruire una nuova dittatura” – ha denunciato il vice segretario generale dell’Ugtt, Taher Barbari.
Anche sul fronte dell’immigrazione sub-sahariana Saïed ha espresso delle posizioni molto gravi e xenofobe, simili a quelle di molti Paesi occidentali. L’ossessione del capo dello Stato riguarda l’inquinamento dell’identità tunisina arabo-musulmana. Al punto tale da ipotizzare complotti finalizzati a raggiungere questo obiettivo, con l’arrivo organizzato di donne e uomini provenienti dal centro e dal sud dell’Africa. “Saïed – informa la testata online “Africarivista”– ha persino denunciato l’arrivo di ingenti somme di denaro, dopo il 2011, per insediare i sub-sahariani in Tunisia”. Per questa ragione, avrebbe mobilitato diplomatici, militari e forze dell’ordine al fine di contrastare l’immigrazione clandestina. Anche in questo caso, in assoluta consonanza con il nostro governo, avrebbe accusato chi in realtà difende i diritti umani di queste persone di organizzare, invece, una tratta di esseri umani. Immediate le proteste contro le dichiarazioni di Saïed.
Per Amine Snoussi, giovane saggista tunisino e giornalista, “il presidente della Repubblica tunisina ha appena convalidato la tesi del grande ricambio. Abbiamo un dittatore razzista che arresta i suoi oppositori e incolpa gli immigrati sub-sahariani per i nostri problemi. È il peggior regime nella storia di questo Paese”. Parole di condanna sono arrivate anche da Mohamed Dhia Hammam, ricercatore in scienze politiche alla Maxwell School, che definisce le parole di Saïed disgustose: “L’oltraggiosa dichiarazione di ieri (il 21 febbraio scorso, ndr) della presidenza sulla riunione del Consiglio di sicurezza nazionale– durante la quale Saïed ha deciso di usare tutte le forze, compresi i militari, per prendere di mira gli immigrati neri– arriva nel bel mezzo di una odiosa campagna mediatica. La logica del complotto messa in atto dal governo – ha proseguito l’analista –fa eco alle teorie diffuse sia nei media mainstream sia nei social media pro-Saïed”.
A rendere ancora più grave lo sciagurato comportamento del presidente, è la gravissima crisi economica della quale abbiamo già parlato (vedi qui), che richiederebbe un’intesa tra tutte le forze politiche e sociali del Paese piuttosto che una politica repressiva. La grave carenza alimentare dei beni di prima necessità ha costretto Tunisi ad accettare aiuti dalla Libia, considerati da alcuni una evidente boccata d’ossigeno, ma da altri una umiliazione. Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio, sono arrivati dal governo di unità nazionale di AbdelhamidDbeibah170 veicoli che trasportavano duecento tonnellate di zucchero bianco, 28mila casse di olio alimentare, cinquemila tonnellate di semolino e 1.040 tonnellate di riso. Per Tunisi una situazione imbarazzante, visto che per decenni è stato il più piccolo Paese maghrebino ad aiutare il gigante nordafricano. Ne deriva una ferita all’orgoglio nazionale. “Molti tunisini rimangono sbalorditi da questa situazione senza precedenti – dice Frida Dahmani, analista politica e giornalista dello storico settimanale francese “Jeune Afrique”–e pochissimi pensano di ringraziare pubblicamente la Libia per il suo aiuto, che costituisce certamente una goccia d’acqua in un oceano di bisogni. È necessario risalire al 1969 – dice Dahmani – per trovare un precedente, l’unica volta in cui la Tunisia indipendente ha chiesto aiuti internazionali. Stava allora affrontando drammatiche alluvioni, episodio che segnò gli animi. Alcuni non esitano a tracciare un parallelo, paragonando la situazione attuale a una calamità naturale”.
Va tuttavia aggiunto che la sovranità nazionale della Tunisia era stata già avvilita, non tanto quando nel novembre 2022 dalla Libia arrivò un importante carico di benzina, quanto dalla dipendenza dagli aiuti del Fondo monetario internazionale per trecento milioni di dollari, di cui cento sotto forma di donazioni. L’arrivo di altri sostegni sarà molto condizionato dalla stabilità politica del Paese, che appare però sempre più lontana. E il malcontento non potrà non aumentare se, in prossimità del periodo del Ramadan, che prevede un maggiore approvvigionamento di cibo, quest’ultimo dovesse scarseggiare. Un ulteriore motivo per dialogare con una popolazione in estrema difficoltà, piuttosto che scontrarsi con essa. Ma a quanto pare Saïed preferisce un salto nel buio, che potrebbe travolgere anche lui.