“Una piccola cosa l’abbiamo ottenuta: la notizia di questa nostra tragedia ha sorvolato il mare ed è arrivata anche a Roma, al ministero. Ma è solo un piccolo passo e noi di passi in questi anni ne abbiamo visti tanti, e non hanno mai portato a niente. Quattro impianti sono già chiusi e gli altri stanno già al 50%. Siamo sull’orlo del baratro. Abbiamo bisogno solo di un piccolo aiuto del governo”.
Le immagini sono sfocate, ma le voci chiare. A parlare, in un video che sta facendo il giro della rete, sono i quattro operai della Portovesme Srl del Sulcis Iglesiente, asserragliati da ieri (28 febbraio) sulla più alta ciminiera dell’impianto sardo Kss, a cento metri di altezza. Mentre parlano, si vede dietro di loro la tenda da campeggio che dovrebbe proteggerli dal vento e dalla pioggia. Il tempo è inclemente. Caschetti in testa, giacche a vento, sacchi a pelo: i lavoratori non hanno intenzione di mollare nonostante la preoccupazione di tutti, a partire dai parenti, dai compagni di lavoro e dai sindacalisti, che hanno organizzato un presidio alla base della ciminiera dell’impianto.
Quando gli operai parlano dei tanti passi falsi che sono stati fatti in questi anni dalla politica (sia locale, sia nazionale) hanno ragione. La crisi è di lunga data e ha coinvolto in quella zona della Sardegna meridionale tanti impianti e condizionato le vite di migliaia di lavoratori. Basta fare qualche nome per ricordarci il progressivo e inesorabile declino industriale. A Portovesme si lavorava l’allumina da bauxite nello stabilimento Eurallumina, ora chiuso; l’alluminio primario (lingotti da fonderia) negli stabilimenti Alcoa, ex Aluminia, ex Alsar ex Alumix, chiusi o in procinto di essere chiusi, e infine le lavorazioni appunto del piombo, dello zinco nello stabilimento della Portovesme Srl. Tutta una storia industriale rimessa in discussione e su cui pesano le mancate scelte di riconversione e di innovazione di impianti che all’estero non sono più inquinanti, come negli anni dell’industrializzazione forzata. Nello stesso tempo, lo sviluppo di Portovesme si è intrecciato con le fortune, prima, e con la tormentata crisi del settore minerario sardo poi.
Oltre al video, con le drammatiche dichiarazioni dei quattro operai sulla ciminiera, ieri sul sito di Collettiva.it, la piattaforma online della Cgil, è stato pubblicato un podcast con le parole del segretario della Cgil sarda, Fausto Durante. Intervistato da Giorgio Sbordoni, il sindacalista ha parlato dal presidio organizzato davanti ai cancelli dell’azienda: “Il presidente della giunta regionale, Solinas, firmando un verbale di accordo con sindacati e azienda aveva promesso che, entro il 28 febbraio, la Regione avrebbe messo in campo una soluzione al caro energia per proteggere i posti di lavoro. Ma la Regione non basta, di questa situazione deve occuparsi il governo, aprendo un tavolo. Bisogna coinvolgere in questa vertenza il convitato di pietra, l’Enel”. E questa mattina (primo marzo) è arrivata la notizia della convocazione di venerdì. Sino a oggi l’azienda, sulla base di un accordo siglato a fine gennaio, aveva sospeso l’avvio della procedura di cassa integrazione, in attesa di trovare un’intesa sul prezzo dell’energia; ma in assenza di una soluzione i lavoratori sono stati costretti a scegliere ancora una volta la strada di una clamorosa protesta per sollecitare un confronto sui tavoli nazionali. L’appuntamento è stato fissato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per venerdì 3 marzo, alle 10, con la sottosegretaria Fausta Bergamotto, Regione Sardegna, istituzioni locali, azienda e parti sociali. Non si hanno notizie precise sull’eventuale coinvolgimento dell’Enel evocato dalla Cgil della Sardegna.
La questione centrale, questa volta, è proprio quella relativa ai costi dell’energia. Come si ricorda oggi su qualche quotidiano, a un certo punto l’Unione europea intervenne contro il governo italiano, perché fornendo elettricità con lo sconto per garantire le produzioni, rischiava di distorcere la libera concorrenza. La prima a mollare fu l’Eurallumina, ricorda Giorgio Meletti su “Domani”: l’azienda ha fermato la produzione nel 2009, da allora politici regionali e nazionali di ogni colore hanno annunciano mediamente tre volte all’anno l’imminente ripresa della produzione. Poi Bruxelles fece una mega multa all’Alcoa, che decise di andarsene, visto che gestisce fabbriche di alluminio in tutto il mondo (anche in Islanda, dove l’energia è geotermica e viene via gratis).
Dall’inizio del 2010 sono passati tredici anni: dei duemila operai espulsi ne sono tornati al lavoro solo un centinaio. Nel frattempo, dei 450 lavoratori Eurallumina di allora qualcuno è morto, qualcuno è andato in pensione, qualcuno ha continuato a prendere la cassa integrazione, qualcun altro ha trovato altri lavoretti. E poi è cominciato l’incubo dell’Alcoa, che dava lavoro a duemila persone. In quel caso il protagonista politico fu Silvio Berlusconi, che ha dato poi la linea a tutti i suoi successori. Invece di risolvere il problema dell’energia alla radice, si è pensato di scaricare le responsabilità da azienda ad azienda. Se una non ce la fa ad affrontare i costi dell’energia, ce ne sarà sicuramente un’altra che subentrerà. Ma si trattava solo di una farsa. E anche quando si decise di farla finita per sempre con l’elettricità prodotta dalle centrali a carbone e di ricorrere al gas, si scoprì che la Sardegna non ne ha.
E arriviamo così ai nostri giorni: a quei quattro operai asserragliati a cento metri di altezza. “Stiamo bene fisicamente, anche se abbiamo patito il freddo: siamo esposti al vento e all’acqua”, ha raccontato al telefono dell’agenzia Agi uno dei lavoratori, saliti coi caschetti da lavoro della Portovesme Srl e con lumicino con l’immagine di papa Francesco. “Siamo preparati a restare quassù a lungo, non ci basta l’annuncio dell’incontro col ministero venerdì. Non vorremmo che la convocazione fosse solo un modo per spegnere l’attenzione mediatica seguita al nostro gesto. Da più di un anno, abbiamo posto il problema del caro energia e del futuro della Portovesme Srl. Dal governo ci aspettiamo su questa vertenza lo stesso impegno che è stato riservato ad altre simili in Italia. Dall’azienda abbiamo ottenuto una serie di proroghe, ma il problema va risolto a livello istituzionale”.
Fino in fondo, dunque, con il coraggio della disperazione. Come purtroppo è già successo tante volte in passato. Le lotte operaie del Sulcis non sono mai state leggere ed effimere. Nel 1904, dopo un eccidio in miniera, fu proclamato il primo sciopero generale nazionale. E trent’anni fa otto minatori rimasero quarantacinque giorni (anche Natale e Capodanno) nelle gallerie, quattrocento metri sottoterra, mentre, a pochi chilometri, quatto operai dell’Enichem resistettero due mesi barricati su una ciminiera.