Serena Sorrentino dirige il sindacato dei lavoratori pubblici. Pur essendo molto giovane, ha un curriculum importante, essendo stata anche segretaria confederale della Cgil nazionale. Napoletana, ha iniziato le sue esperienze come rappresentante degli studenti medi, prima, e universitari poi. Le abbiamo chiesto un commento sulla vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd. Ecco cosa ci ha detto.
Segretaria Sorrentino, Elly Schlein era considerata una outsider, si è iscritta al Pd per candidarsi, dopo varie esperienze precedenti nel partito. Ora che ha vinto la gara delle primarie avrà davanti a sé le prove più difficili. E deve reggere l’occasione storica della prima donna alla guida di un grande partito di sinistra. Ha le carte giuste per navigare?
Penso che sia competente e determinata: l’abbiamo coinvolta come categoria in veste di parlamentare europea, per il suo impegno sulle politiche delle migrazioni, quando con i sindacati europei abbiamo promosso una rete europea dei lavoratori del sistema dell’accoglienza. Se vedo un problema nella discussione che si sta generando in queste ore, è che anziché discutere di come si rafforzi la squadra intorno a lei, sia sotto la lente di osservazione il fatto che è una donna. La difficoltà per chiunque sarà soprattutto affrontare la questione sociale, in una società dilaniata dalle disuguaglianze, con un governo che sceglie non la coesione ma la divisione, di generazione, territoriale, di genere, sociale e dei diritti di cittadinanza.
Molti commentatori parlano di un partito spaccato, i cittadini che battono gli iscritti nella consultazione. Come esce il Pd da questa esperienza?
Non sono iscritta al Pd, quindi posso parlare da progressista che guarda alla ricostruzione di un progetto eco-laburista, inclusivo, che sappia cogliere i cambiamenti che attraversano la società: dalle transizioni demografiche a quelle ambientali e digitali. Rispetto il dibattito interno a un’organizzazione democratica, ma credo che il messaggio lanciato dai cittadini che scelgono di astenersi nel voto, alle amministrative e alle politiche, sia che non convincono quei soggetti che si comportano come gruppi chiusi di interessi, e che se si apre alla partecipazione, facendo incidere sulle scelte le persone, queste si riattivano, come nel caso delle manifestazioni per la pace e in quello delle stesse primarie. Una opzione di divisione, perché a una parte del gruppo dirigente non piace una scelta popolare e statutaria, si qualificherebbe da sola. Se il Pd troverà il modo giusto per affrontare questa fase di ricostruzione, potrà forse ritrovare sintonia con l’elettorato democratico. Diventare un luogo diffuso e aperto alla discussione, alla partecipazione e alla costruzione di cittadinanza, potrebbe rilanciare un progetto che aveva l’ambizione di unire culture politiche, quella democratico-progressista e quella cattolico-sociale, ed è finito per essere il superamento di quelle storie e valori per rimanere ostaggio del governismo e delle correnti. Se la segretaria saprà costruire una visione prospettica di neo-attivismo democratico a sostegno delle comunità locali, e con un progetto di società orientato alla cura e al benessere, con al centro le persone e il loro diritti, in cui solidarietà e dignità ritrovino senso, e il lavoro sicuro ed equamente retribuito, e la sostenibilità degli stili di vita e di consumo, diventino nuovi paradigmi su cui orientare le politiche, allora torneranno anche le nuove generazioni, quelle a cui tutte e tutti abbiamo il compito di affidare il futuro.
Per vincere, Elly Schlein ha rilanciato tematiche di sinistra che sembravano un po’ oscurate (dalla lotta al lavoro precario alle scelte ambientali e sui diritti civili). C’è il rischio del massimalismo in un partito per sua natura moderato e riformista?
Radicalità, piuttosto di questo abbiamo bisogno. Servono scelte chiare su temi come la ricostruzione dei diritti del lavoro, facendo i conti con ventuno anni di politiche di destrutturazione e impoverimento degli stessi, dalla legge 30 al jobs act, che dicano parole chiare sul rapporto tra la salute del pianeta e i limiti allo sfruttamento dei beni comuni, che colleghino la questione ambientale al futuro dell’umanità e ai grandi cambiamenti. Le categorie del Novecento sono suggestive, ma probabilmente inefficaci a definire soggettività politiche dopo la fine post-globalizzazione dei partiti legati alle grandi ideologie, e dopo la crisi della democrazia a cui si fatica a dare risposta.
La questione sembra travalichi la collocazione e il destino del Pd. Tutta la sinistra mondiale si sta misurando con le grandi trasformazioni e, in particolare in Europa, non si è trovato ancora un modello che sostituisca il compromesso socialdemocratico novecentesco. Si apre un’epoca nuova?
La finanziarizzazione dell’economia ha messo in crisi il modello di accumulazione capitalistica, e la ricorsività delle crisi e l’instabilità dei mercati hanno determinato uno squilibrio nel vecchio compromesso capitale-lavoro. Oggi utilizziamo termini diversi, ma al fondo il tema delle diseguaglianze e della distribuzione della ricchezza richiama sempre il concetto di giustizia sociale. L’universalità di alcuni diritti fondamentali della persona, e un’esistenza libera e dignitosa, sono ancora tra i valori fondanti l’Europa, la cui crisi deriva dalla scarsa legittimazione istituzionale, dal rapporto tra prerogative degli Stati sulle politiche economiche e una europeizzazione delle politiche monetarie, che rendono la competizione interna allo spazio europeo incentrata sulla capacità di generare modelli di produzione che garantiscano un giusto livello di protezione sociale. Viviamo ancora in una dimensione di egoismi nazionali, che difendono prerogative e sovranità a discapito delle politiche di coesione: vale per il welfare, vale per le migrazioni, vale per la ricerca o le politiche industriali. L’epoca nuova porta con sé antiche contraddizioni: ci sono sempre sfruttati e sfruttatori, viviamo più a lungo e meglio, ma la distanza tra chi è povero e chi ricco si allarga sempre di più; le marginalità crescono e l’assistenza si riduce in nome di politiche fiscali che non guardano ai bisogni di comunità e al progresso, ma solo alla stabilità, senza misure di equità redistribuiva.
Anche per dare risposte al mondo del lavoro, c’è bisogno di indossare lenti nuove: che cosa vi aspettate ora nei rapporti tra sindacato e partito dopo gli allontanamenti e perfino gli scontri degli anni passati?
Il sindacato ha la sua autonomia, certo il Pd del jobs act, della “buona scuola”, degli accordi con la Libia sui migranti, del sì all’autonomia differenziata, delle esternalizzazioni dei servizi pubblici e delle privatizzazioni, non era vicino alle nostre proposte su temi molto importanti per il sindacato confederale. In altri casi – come su povertà e non autosufficienza, salario minimo, ius soli e antifascismo – abbiamo invece condiviso battaglie comuni. Se cambieranno linea su molti di questi argomenti, dal confronto su posizioni talvolta divergenti, potremmo avviare una stagione che porti anche a positivi percorsi di iniziative che possano rappresentare le ragioni del lavoro.
Qualche titolo a effetto parla di “donna contro donna”, a proposito dei giudizi di Elly Schlein su Giorgia Meloni. Che opposizione farà?
Bisogna chiederlo alla segretaria; dubito però che ci sarebbe stato un titolo analogo al maschile. Abbiamo un problema in questo Paese, e non sono le donne, ma gli uomini che le rendono una eccezionalità.
Nel corso della battaglia delle primarie, non si è quasi mai parlato di pubblica amministrazione e di salti tecnologici in corso (basti pensare alla corsa dell’intelligenza artificiale). Dal suo punto di vista, che suggerimenti darebbe alla nuova segretaria la segretaria generale del più importante sindacato dei lavoratori pubblici?
Assuma il nostro piano straordinario di assunzioni, si lavori per una pubblica amministrazione più competente, che riacquisti valore sociale investendo nel fattore umano, valorizzando competenze e aumentando le retribuzioni; scelga di assumere la cura come orientamento delle politiche della salute, e combatta insieme a noi per ricostruire un sistema sanitario a livello nazionale, che non sia un prestazionificio, ma ritrovi lo spirito della legge che fondò il servizio sanitario: occuparsi del benessere delle persone, non solo curare le malattie. Infine, avvii una grande discussione partecipata con gli amministratori locali sulla vera riforma istituzionale che serve al Paese, che non è la secessione legislativa del ministro Calderoli, ma la riforma della finanza locale che ridia ai comuni, alle province e alle città metropolitane non solo funzioni e personale, ma anche quelle risorse necessarie per prendersi cura dei cittadini, con più servizi e migliore qualità della vita. Il settore pubblico è il perno fondamentale dell’architettura istituzionale, della garanzia dell’effettività dei diritti costituzionali: è un motore dello sviluppo, ed è anche l’unico vero grande strumento di uguaglianza dei cittadini. Bisogna cogliere l’occasione dell’innovazione, sia digitale sia organizzativa, per ridare al settore pubblico quel carattere strategico che può rendere il nostro Paese più resiliente, perché in grado di proteggere di più e meglio i cittadini dalla vulnerabilità sociale e più orientato a una crescita giusta, con un sistema pubblico che torna ad avere una funzione regolatrice, ma anche innovatrice, dell’economia.
Per chiudere, la politica internazionale. Viste le tante dichiarazioni rilasciate prima delle primarie dalla nuova segretaria Pd, si può immaginare un cambio di rotta, o almeno un aggiustamento della linea sulle questioni pace-guerra in Ucraina, invio di armi, Nato, rapporti tra Occidente e Oriente?
Sarà uno dei terreni su cui si misureranno la coerenza e il reale cambiamento. Scegliere la pace non è un atteggiamento etico ma un programma politico che rifiuta l’economia di guerra, dà il primato alla diplomazia, sceglie il disarmo e l’abbandono del ricorso alla violenza come strumento di azione geopolitica per riconfigurare i poteri e l’appropriazione di risorse tra potenze nel mondo.