A un anno esatto dallo scoppio della guerra in Ucraina, si può aggiungere qualche considerazione da “non esperti” ai tanti interventi di “esperti”. Come ha sostenuto Noam Chomsky (un altro “non esperto”, essendo di professione linguista e filosofo del linguaggio), dietro alla pretesa che solo gli “esperti” abbiano il diritto di esprimersi sui grandi problemi politici e sociali, c’è il tentativo di escludere la maggior parte dei cittadini dal dibattito; mentre, come ancora ha detto Chomsky, per potere esprimere un’opinione fondata sui problemi del nostro mondo sono sufficienti un’adeguata dose di informazione e l’uso libero da ogni pregiudizio di una qualità tipicamente umana, cioè la ragione. Ma partiamo proprio dall’intervento di un “esperto”, Andreas Umland (analista al Centro di Stoccolma per gli studi sull’Europa orientale), pubblicato sulla “Neue Zürcher Zeitung” del 6 febbraio scorso, in cui si legge testualmente: “Indipendentemente dalla questione se una conclusione negoziata della guerra sia desiderabile (wünschenswert), occorre rendersi conto delle enormi difficoltà che a una tale conclusione sono connesse”.
L’autore dell’articolo suggerisce quindi che una conclusione della guerra ottenuta mediante negoziati, che inevitabilmente comporterebbero l’accettazione di qualcuna delle richieste russe, non sia desiderabile: questo significa che si auspica un’intensificazione della guerra, che porti alla sconfitta militare della Russia. L’intervento di Umland ha un merito: quello di smascherare, di fatto, l’ipocrisia di chi sostiene che il continuo aumento della fornitura di armi all’Ucraina non porterà a una escalation, ma a una “pace giusta”. Infatti, pare chiaro che, se queste nuove armi (dai carri armati ai caccia) riusciranno a frenare l’offensiva russa, la Russia ricorrerà a mezzi ancora più potenti di quelli dispiegati finora, dalla mobilitazione sempre più massiccia di truppe all’uso di armi più distruttive, comprese quelle atomiche. La prospettiva di una terza guerra mondiale si fa dunque sempre più concreta. Ed è legittimo porsi la domanda: chi vuole questa guerra e perché? Vediamo qualche aspetto relativo alla situazione italiana, riferendoci in particolare agli interventi di alcuni “esperti”.
Anche se i dati reali sono ovviamente difficili da ottenere, e quelli ricavati da sondaggi oscillano, appare ormai abbastanza chiaro che la maggioranza (non schiacciante, ma comunque maggioranza) dell’opinione pubblica italiana sia contraria alla guerra. Questo stato di fatto è stato riconosciuto, tra l’altro, da una “esperta” decisamente a favore di una pace “solo alle condizioni accettabili dall’Ucraina”, cioè Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali, che, nella trasmissione radiofonica “Zapping” di qualche giorno fa, ne attribuiva le colpe “ai media” (non meglio precisati). Ora, dato che gli unici giornali che sostengono la necessità di una soluzione negoziata della guerra sono “Avvenire”, “Il fatto quotidiano” e “il manifesto”, cioè tre testate a diffusione non elevatissima, Tocci esprimeva evidentemente il disappunto di chi non vuole accettare che la maggioranza degli italiani sia contraria all’intensificarsi della guerra.
Occorre dunque attuare una “mobilitazione delle coscienze”, e cioè convincere gli italiani che stiamo combattendo una guerra non solo “per la libertà dell’Ucraina”, ma anche “per la libertà nostra e di tutto il mondo”. Chiamate a raccolta di questo genere si erano già sentite poco dopo lo scoppio della guerra, quando qualche illustre penna di casa nostra sosteneva (forse confondendosi con il progettato corridoio ferroviario) che Putin voleva estendere il suo dominio “da Kiev a Lisbona”. Invece, nella trasmissione “Radio anch’io” del 24 febbraio, un altro “esperto”, lo storico Andrea Graziosi, sosteneva che l’obiettivo finale di Putin è combattere le libertà (finalmente, aggiungo) raggiunte nelle società occidentali, come per esempio i diritti degli omosessuali, purtroppo calpestati in Russia, com’è noto. Quindi, alla minaccia dei cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli nelle fontane di piazza San Pietro, come diceva la propaganda democristiana nel 1948, per distogliere dal votare Fronte popolare, si sostituisce quella di Putin e del patriarca Kirill, che verranno a sciogliere le unioni civili e forse a incarcerare quelli che le hanno contratte.
A questo punto, un “non esperto” quale chi scrive si domanda: non sarà invece che, tra le cause della guerra, oltre alle tensioni etniche nel Donbass, ci siano anche le ingenti ricchezze minerarie di tale regione, che fanno comprensibilmente gola tanto a Putin e ai suoi oligarchi quanto all’Occidente, per il tramite dell’Ucraina? E noi vogliamo rischiare la terza guerra mondiale per questo? Sono certamente domande ingenue, ma meriterebbero una risposta.