Se ne parla poco, ma Cipro, oltre a far parte dell’Unione europea, è un Paese che per la collocazione geopolitica e le risorse di cui dispone ha un ruolo tutt’altro che marginale nel Mediterraneo. In questi giorni, la terza isola per grandezza del mare nostrum, dopo Sicilia e Sardegna, ha avuto una maggiore visibilità per via delle elezioni presidenziali vinte da Nikos Christodoulides, eletto domenica al ballottaggio contro Andreas Mavroyiannis. Il primo conservatore, il secondo di sinistra, hanno preso rispettivamente il 51,9 e il 48,1% dei consensi, a fronte di un’affluenza del 72,2% degli aventi diritto. Al primo turno, i due candidati avevano preso rispettivamente il 32 e il 29,2%. A uscire di scena è Nikos Anastasiadis, esponente del partito di destra Disy(Raduno democratico). Un uomo screditato per avere venduto cittadinanze europee, i cosiddetti “passaporti d’oro”, a due milioni e mezzo di euro, grazie ai quali si acquisiva la cittadinanza cipriota, e dunque europea, a chiunque dimostrasse di avere investito sull’isola una certa somma. Un escamotage attraverso il quale hanno conseguito questo prezioso titolo oligarchi russi, trafficanti vari e – non potevano mancare – membri della famiglia reale saudita. Pratica archiviata nel 2020, dopo le proteste dell’Unione europea e varie inchieste giornalistiche. Non contento, Anastasiadis si era macchiato di reati di corruzione, avendo messo in atto flussi finanziari di oscura origine e pratiche amministrative poco chiare. Oltre alla pessima gestione degli eterni colloqui con i leader turco-ciprioti, un fallimento – che ha portato il candidato del Disy, Averof Neophytou, alla sconfitta, arrivando terzo con il 26% dei consensi.
Ricordiamo che, dal 20 luglio 1974,la Turchia controlla la parte nord dell’isola, in seguito all’invasione messa in atto dopo il colpo di Stato militare organizzato dal regime golpista di Atene, che depose il presidente cipriota, l’arcivescovo greco-ortodosso Makarios, avversario dei colonnelli. L’imperizia di Anastasiadis ha consentito a Erdogan di piazzare un suo uomo ai negoziati, il falco ErsinTatar, che non vuole sentire parlare di riunificazione dell’isola, preferendo mantenere l’esistenza dei due Stati. Christodoulides, che ha fatto a meno del sostegno di Disy ed è invece stato appoggiato da diversi partiti di centro e di destra – Diko (Partito democratico), Edek (Movimento dei socialdemocratici), Dipa (Allineamento democratico) e i nazionalisti del Movimento di solidarietà – vuole coinvolgere sul destino dell’isola l’Europa(che nel corso del tempo ha dato un forte sostegno ai vari soggetti culturali e politici favorevoli alla pace), con l’appoggio in particolare di Macron, per riaprire i negoziati con la comunità turco-cipriota. Obiettivo: riunificare l’isola su base federale, in presenza di un inviato speciale del Consiglio europeo. Al riguardo, molto dipenderà dall’esito delle elezioni turche di maggio. Nel caso il presidente turco fosse sconfitto, la riapertura di un dialogo sarebbe facilitata.
Tornando all’esito del voto, il nuovo leader greco-cipriota ha dovuto fronteggiare una sinistra tradizionalmente forte nell’isola, rappresentata in particolare dai comunisti del Partito progressista dei lavoratori (Akel),che già nel 2008 aveva espresso come presidente della repubblica Dimitris Christofias e, precedentemente, sostenuto candidati non propri, ma sempre collocati all’interno del fronte progressista. Il nuovo governo, approfittando della crisi energetica determinata dalla guerra russo-ucraina, potrà fare valere le proprie risorse, in particolare l’enorme quantità di gas, mettendo a frutto anche l’importante rete di collaborazione con i Paesi dell’area, come Egitto, Israele, Libano, Grecia, Malta, senza dimenticare i Paesi del Golfo e la stessa Italia, che nel 2018 obbligò l’Eni a ritirarsi dalla regione cedendo alle pressioni turche.
L’economia cipriota, nel suo complesso, ha risentito delle gravi conseguenze dell’epidemia da Covid-19. “La pandemia prima e la crisi dei prezzi ora – dice Mary Drosopoulos, giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, mediatrice culturale e attivista per i diritti umani –spingono sempre di più le comunità greca e turca di Cipro a varcare i confini che le dividono e a interagire, nonostante il permanere di pregiudizi e sfiducia reciproca”. Del crollo della lira turca, causato da un’inflazione sempre più alta – viaggerebbe intorno al 137,55%contro il 7-8% dei greco-ciprioti –,stanno approfittando gli ellenici dell’isola, che sempre più passano il confine per fare un pieno di benzina, che a Nicosia costerebbe centoventi euro, mentre a Lefkosa (Nicosia in turco) ottanta, e acquistare prodotti vari. Non manca una sorta di gioco basato sui tassi di cambio fluttuanti della lira turca. “Conosco persone che comprano lire quando il tasso è basso e le scambiano con euro quando il prezzo sale – racconta un cittadino greco-cipriota a Drosopoulos –, è rischioso, ma a seconda della quantità di denaro scambiato, si può anche guadagnare un reddito extra ogni mese”.
Con tutta evidenza, questa situazione paradossale danneggia l’economia di Nicosia – e questo già prima della crisi energetica. Nel 2019, la vendita di carburante ha raggiunto la cifra di 162 milioni di euro, con conseguente riduzione delle vendite nella parte greca del 35-40% rispetto agli anni 2021 e 2022. E a nulla servono gli appelli patriottici, che di solito funzionano, di politici e uomini d’affari ai cittadini, affinché facciano a meno di acquistare prodotti del “nemico”. Se il risparmio è così importante le famiglie mettono da parte certi argomenti, dando priorità a esigenze più concrete. Altro elemento di criticità, per l’economia greco-cipriota, è il conflitto con la Russia che ha reso imbarazzante la presenza di tanti oligarchi russi nell’isola. “Attirati dalle basse aliquote fiscali dell’ex colonia britannica – dice Elisa Perriqueur della testata francese “Mediaparte”, in un articolo pubblicato da “Internazionale”– si sono costruiti un impero che poggia su aziende offshore e residenze appariscenti. Ma questi russi ricchissimi non sono più ospiti d’onore”. Al riguardo, si esprime Avgi Lapathiotis, direttrice generale della stabilità finanziaria presso il ministero: “Abbiamo congelato – dice la funzionaria – sessanta milioni di euro di quindici aziende di investimento che avevano relazioni commerciali con soggetti sanzionati dall’Unione. La Banca centrale di Cipro aveva già congelato diversi conti russi del valore di una decina di milioni di euro”. Lo Stato rassicura: il venir meno della presenza dei russi non condizionerà negativamente l’economia greco-cipriota.
Ma le cose non stanno proprio così: “I depositi russi nelle banche sono diminuiti negli ultimi anni. Sono solo il 3,8% su un totale di 51,5 miliardi di euro”, dice AvgiLapathiotis. “Ma – precisa invece Perriqueur – la riserva complessiva di investimenti (Ide) dei cittadini russi a Cipro rimane colossale: la Banca di Russia ha stimato un valore di 176 miliardi di euro nel 2020. Dal canto suo – sottolinea la giornalista – la Banca centrale di Cipro dice che gli Ide russi sull’isola sarebbero ‘solo’ novantasette miliardi, una cifra comunque notevole per un Paese che ha un Pil di ventitré miliardi di euro, rileva l’azienda di consulenza indipendente Sapienta economics, che ha sede nella capitale Nicosia”.
L’altra criticità che accomuna Cipro a tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo riguarda l’immigrazione. “Tre anni fa i migranti erano mille e oggi sono diecimila – dice Federico Ribechi, volontario, laureato in scienze politiche, e con un master in Belgio sulle migrazioni, in una intervista per “Vatican News” di Andrea Sarubbi – mentre i campi sono diventati tre: uno piccolo, Kofinou, creato originariamente per i siriani; uno grande, Purnara, creato due anni fa, dove passa chiunque debba presentare la richiesta d’asilo; infine un terzo, Limnes, di cui però si sa poco, perché nessun migrante è ancora uscito da lì e le Ong non possono entrare”. E anche le provenienze sono cambiate. “Prima gli arrivi a Cipro – sottolinea Ribechi – erano soprattutto dal mondo arabo o del Medio Oriente: la Siria in preda alla guerra, l’Iraq, la Giordania, il Libano. C’era anche una buona componente del subcontinente indiano: la stessa India, il Pakistan, il Bangladesh, e così via. Poi, a fine 2016 – dice il volontario – è scoppiata la guerra in Camerun, tra i francofoni e gli anglofoni, che ha provocato la fuga di molte persone verso l’Europa. Passando non per la Libia, ma per la Turchia: mille euro di visti per poi arrivare alla parte turca di Cipro, dove un solo filo spinato ti separa dall’Unione europea. Non potendo prendere un volo per il continente in incognito, acquistano passaporti falsi, ma molte volte vengono arrestati e ritornano nei centri di detenzione. Insomma – conclude Ribechi – il risultato è che la popolazione migrante di Cipro continua a crescere”. In poco più di novemila chilometri quadrati – è questa l’estensione di Cipro –, sono così concentrati i principali problemi che affliggono l’umanità e in particolare i Paesi mediterranei: il nodo delle risorse energetiche aggravato dalla guerra, che a sua volta colpisce l’economia dell’isola; il fenomeno migratorio e, nello specifico, l’eterno conflitto tra Grecia e Turchia – in qualche modo eredità della dissoluzione dell’impero Ottomano – sono rappresentati plasticamente a Cipro. Per il nuovo presidente, ma anche per la sinistra, che dall’alto di un risultato importante non può certo sottrarsi alle sue responsabilità, le gatte da pelare non mancheranno.