La visita del ministro degli esteri russo Lavrov in Mali, il 7 febbraio, la prima della diplomazia di Mosca in questo Paese, e la partenza degli ultimi soldati francesi dal Burkina Faso, entro febbraio, illustrano bene il passaggio di campo – la Russia in Africa è già la principale fornitrice di armi – nel Sahel scosso dalle milizie jihadiste, dalle crisi economiche, sociali e climatiche. Il Mali vive da decenni in una profonda instabilità: dall’installazione dei gruppi terroristi affiliati ad Al-Qaida e poi allo Stato islamico, alla ribellione tuareg. La Francia, ex potenza coloniale, ha cercato, una decina di anni fa, di portare sicurezza con missioni militari, prima Seval e poi Barkhane, che hanno dimostrato l’insufficienza di un approccio esclusivamente militare al terrorismo. Uno studio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), pubblicato a inizio febbraio, rivela l’aumento dell’estremismo in Mali e nella regione del Sahel. Oltre alle cifre di questo fenomeno politico, lo studio presenta un’inchiesta sull’adesione ai gruppi violenti. Più che l’ideologia islamica fondamentalista, conta l’emarginazione dei gruppi sociali, il senso di ingiustizia, la corruzione, la gestione dei terreni nel conflitto tra pastorizia e agricoltura, a sua volta alimentato dal cambiamento climatico. In particolare sono la mancanza di lavoro, di un reddito e le violenze dei militari a spingere le persone nelle braccia dell’estremismo.
L’illusione della pace militare unita alla memoria del colonialismo e del neocolonialismo di Parigi hanno alimentato il sentimento antifrancese che ha portato, nella successione di colpi di Stato militari degli ultimi anni, all’uscita di scena dei soldati francesi. È troppo facile collegare questo fatto esclusivamente all’accorta politica russa di penetrazione in Africa, di cui la visita di Lavrov è la plastica rappresentazione. Quello che è certo è che la presenza di consiglieri militari russi, e soprattutto dei mercenari della organizzazione Wagner (vedi qui), non sortiranno migliore effetto della presenza francese. I colpi di Stato militari e l’instabilità non sono la causa ma l’effetto dell’illusione militare, che in Mali compone e scompone gruppi sociali e comunità nella speranza di trovare ascolto e risposte, che non arrivano.
Lo stesso scenario si sta precisando in Burkina Faso, dove la giunta militare del capitano Traoré, al potere da settembre, a otto mesi dal precedente golpe, ha chiesto alle truppe francesi di lasciare il Paese, senza per questo rompere le relazioni con Parigi. È verosimile che un Paese in preda alla recrudescenza del terrorismo a partire dal 2015, con il 40% del territorio in mano ai jihadisti, cerchi a questo punto di guardare altrove, anche se Traoré smentisce la presenza di mercenari russi. La rapida successione di colpi di Stato degli ultimi anni dimostra, anche in questo caso, l’impossibilità della soluzione militare per mettere un termine alla crisi. Ma non si vede come i giovani militari al potere sappiano trovare una strada per la democrazia e lo sviluppo, in un Paese in cui Thomas Sankara rimane solo un lontano ricordo.
Il Burkina Faso rimane uno dei Paesi più poveri del mondo, all’ottavo posto tra quelli che hanno l’indice di sviluppo umano più basso, appena al di sopra del Mali. La continua rincorsa all’emergenza umanitaria non ha dato risposte sufficienti, malgrado gli appelli e le mobilitazioni di risorse delle agenzie umanitarie internazionali. Non lo consente la spirale tra insicurezza e risposta militare. Non sembrano esserci le condizioni per disinnescare questo circolo vizioso che caratterizza il Sahel nell’ultimo decennio. È probabilmente la consapevolezza dell’enorme sfida, unitamente al bisogno di trovare nuovi partner internazionali, ad avere spinto a inizio febbraio il primo ministro del Burkina a proporre al Mali una federazione. Per il momento Bamako non ha reagito alla proposta. Per entrambe le giunte militari, il controllo del rispettivo territorio è una priorità che male si presta a relazioni aperte, salvo quelle su base militare e di sicurezza.