Il degrado della classe dirigente italiana negli ultimi trent’anni si evince anche dall’istituzione del “giorno del ricordo”. La destra volle una sua data solenne, un giorno in cui pareggiare i conti con i comunisti. Il ragionamento – si fa per dire – di Berlusconi e compagnia fu il seguente: voi comunisti avete la Shoah, a gennaio, in cui mettete in croce i fascisti, a noi dovete dare qualcosa per fare lo stesso con voi.
Già è deprecabile il fatto che la vita pubblica sia caratterizzata da scambi tanto miseri, ma è davvero vergognoso che si possano mettere sullo stesso piano lo sterminio degli ebrei con le foibe, che non furono né sterminio – e neppure quindi genocidio – né qualcosa di ascrivibile a una forma di razzismo o pulizia etnica. Eppure ogni anno, fra gennaio e febbraio, si ripete questo parallelo: ai nazifascisti gli ebrei, ai comunisti i poveri italiani. È un parallelismo che inquina la vita politica e culturale del Paese, che rinchiude fascismo e comunismo in un unico buco nero novecentesco, senza distinzioni: operazione con cui si vuole espellere il Ventesimo secolo dalla politica e dalla cultura del Paese. Si vuole cioè eliminare il secolo dei grandi scontri politici, culturali e ideologici, dei grandi movimenti, dell’irrompere delle masse nell’agone politico e sociale, per aprire il nuovo secolo neoliberale. Si vuole eliminare soprattutto il fatto che la Costituzione italiana – e l’assetto politico, sociale e culturale che nasce nel 1948 – è antifascista, fondato sul protagonismo dei partiti di massa e contro ogni forma di razzismo e nazionalismo.
La cosa incredibile è che le sinistre abbiano accettato lo scambio, non abbiano fatto opposizione in alcun modo all’istituzione di quella data e di quell’ignobile parallelismo. Anzi, l’approvarono decisamente, come leali sottoscrittori di un patto di scambio con la destra.
C’è un’ultima cosa incredibile che non dice mai nessuno a proposito della data. Che giorno è il 10 febbraio? Ebbene, il 10 febbraio 1947 è la data della firma dei trattati di Parigi, che assegnarono l’Istria e Zara alla Jugoslavia. Eccolo il significato del 10 febbraio! Altro che memoria e ricordo: qui siamo di fronte a una vera e propria rivendicazione nazionalista, quel nazionalismo che non fa parte dei valori fondanti della Repubblica italiana, nata dalla sconfitta del fascismo. Nessuno dice niente, tutti muti. Anzi, assistiamo ogni anno ai discorsi dei presidenti della Repubblica che, magari non in modo esplicito, hanno in sé parole di rivendicazione anti-slava, come se nell’episodio delle foibe si trattasse di pulizia etnica anti-italiana. D’altronde – questo è il non detto – gli slavi sarebbero feroci nazionalisti, che per secoli si sono macchiati di delitti del genere. Peccato che la Jugoslavia di Tito nacque proprio contro ogni nazionalismo, fondandosi sullo slogan Bratstvo i jedinstvo (“fratellanza e unità”). Per non parlare del fatto che, sebbene l’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia sia fatto passare per un episodio di pulizia etnica, tutti sanno che gli italiani che decisero di rimanere vennero salvaguardati come minoranza con tutti i diritti, la possibilità di avere scuole e posti riservati nelle assemblee legislative croate. Ma anche questo non lo dice nessuno. Lo scambio è stato fatto, e ogni anno, tra gennaio e febbraio, dobbiamo accettare quel vergognoso parallelismo.